La pandemia ha modificato tanti aspetti della vita quotidiana e la sua influenza sui teenager è stata probabilmente anche superiore di quanto sia stata su altre fasce d’età. Un recente studio condotto da un team composto, tra gli altri, dall’Università Cattolica di Piacenza e dal Crea Alimenti e Nutrizione, ha indagato su come gli eventi determinati dal Covid-19 abbiano modificato l’atteggiamento degli adolescenti nei confronti del cibo. Il progetto, denominato Food Mood, è stato condotto su un gruppo di 482 studenti di scuole superiori dell’Emilia-Romagna (prevalentemente licei) e, pur offrendo molteplici possibilità di analisi, ha il limite di non rappresentare per intero il variegato panorama nazionale ma, in particolare, quello di una regione che vanta un’attenzione particolare per il mondo dell’alimentazione. “Molti di questi dati, comunque – sottolinea Laura Rossi, ricercatrice del Crea Alimenti e Nutrizione – sembrano confermarsi anche a livello nazionale”.
Dallo studio emerge in primo luogo una conferma: per oltre la metà degli intervistati, il Covid-19 e le sue conseguenze hanno prodotto un cambiamento cosciente delle abitudini alimentari. Tale cambiamento, però, non può essere considerato come positivo o negativo tout court, ma contiene elementi di luce e di ombra. Per quanto riguarda le ombre, l’indagine evidenzia come, avendo incrementato di fatto i momenti di solitudine e l’uso delle tecnologie digitali, il 15% degli adolescenti vive l’alimentazione come un problema che l’emergenza pandemica ha di fatto esasperato. Sempre per quanto riguarda gli aspetti negativi, vi è il mantenimento dell’abitudine a non fare colazione. Questa infatti, caratteristica dell’età (secondo i dati della sorveglianza Hbsc, gli adolescenti che non fanno colazione superano il 30%), risulta lievemente migliorata ma comunque confermata e coinvolge circa un quarto degli intervistati.
Tra gli aspetti decisamente migliorativi conseguiti all’emergenza pandemica, la ricerca segnala soprattutto il recupero della ‘socialità’ dei pasti in famiglia, favorita dal maggior tempo trascorso in casa (96% dei casi), l’aumentata attenzione alla sicurezza dei prodotti, legata al bisogno da parte dei giovani di rassicurazione rispetto a tutto ciò che si mangia e si beve e la crescente propensione al ‘salutismo’ alimentare (due adolescenti su tre hanno iniziato a scegliere cibi con meno grassi, meno zuccheri, meno sale e/o hanno ridotto la quantità complessiva di cibo consumato). Aumenta inoltre l’aderenza ai principi-guida della Dieta Mediterranea e si profila una riscoperta dei prodotti tipici del territorio, a cui il 70-80% degli adolescenti associa una superiorità qualitativa.
“I nostri studi stanno confermando che la pandemia ha portato una maggiore attenzione del consumatore al tema della sana alimentazione – dichiara Laura Rossi –. Tuttavia, l’aderenza alla Dieta Mediterranea resta bassa, con il 60% della popolazione che non la segue, soprattutto nelle regioni del sud Italia. Abbiamo inoltre notato che la conoscenza nutrizionale è un fattore determinante per le buone scelte alimentari, ossia chi sa di nutrizione mangia anche meglio e denota una maggiore attenzione alla prevenzione dello spreco alimentare. Tutti elementi importantissimi per l’attuazione di adeguati programmi di politica alimentare”. Per valutare l’attuazione di questi programmi è importante capire anche se i cambiamenti indotti dalla pandemia siano destinati a consolidarsi o ad azzerarsi. Per rispondere a questa domanda il progetto Food Mood porterà avanti nei prossimi due anni ulteriori analisi e approfondimenti sul tema, sempre in collaborazione con le scuole superiori dell’Emilia-Romagna.
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