Mentre i gelatieri che producono un gelato veramente artigianale sono sempre più rari, si moltiplicano gli esercizi che offrono un prodotto industriale standardizzato, in cui la praticità e la facilità di lavorazione ha sostituito la cultura e la professionalità. Ne parla in un post sul suo blog Roberto Lobrano, presidente dell’associazione culturale Gelatieri per il Gelato, che riproponiamo con piacere ai nostri lettori.
Qualche giorno fa mi è capitata tra le mani una lettera del Maestro Luca Caviezel che aveva indirizzato agli associati dei “Gelatieri per il Gelato” nel gennaio del 2015 nel nostro peggior momento di crisi. Da quella lettera traspare la consapevolezza di vivere un momento storico difficile per il gelato artigianale di tradizione italiana, una rabbia per chi da partner nel tempo si è trasformato in altro e il desiderio di riprendere in mano la situazione che ormai è fuori dal controllo di chi questo mestiere lo fa con passione e dedizione, ma quasi non ha più voglia di reagire.
In un passaggio dice: “Non credo che vi sia molto da disquisire sulla ormai penosa decadenza di buona parte dei nostri prodotti nella “Terra d’Elezione del Gelato”. Una volta esistevano notevoli differenze e diversità tra i diversi preparati da una regione e l’altra, diversità tra città e città. Oggi assistiamo ad una deludente massificazione, tipico prodotto della decadenza. Ne siamo sicuramente tutti pienamente convinti ma, si ha l’impressione, che stiamo troppo spesso indifferenti e disattenti. Cari amici, tutto questo non è accettabile! Se avessi ancora 85 anni (ne conto oggi oltre 91) sarei in prima linea con voi, ossia con tutti quelli di voi che sentono il dovere (dico il dovere) di evitare che altri, legati unicamente ai propri interessi ed al proprio bisogno di dominazione distruggano un patrimonio che nessun altro paese possiede e che vale “ancora” il prestigioso titolo del Made in Italy”.
Ecco che quindi mi sono deciso a esternare alcuni pensieri per esprimere la mia vicinanza a questo sentire. Chi frequenta il mondo del gelato artigianale da qualche decina d’anni, come il sottoscritto, si è fatto una visione piuttosto chiara della situazione strutturale che permea il nostro settore. Sono le ultime generazioni che forse non conoscono bene le dinamiche del “sistema gelato italiano” e spesso sono all’oscuro del processo storico che ci ha portati alla situazione attuale.
Un tempo c’erano gli artigiani di bottega che, mutuando ricette di pasticceria, hanno iniziato un proprio percorso professionale proponendo gelati, sorbetti e granite. Le ricette erano semplici, composte in prevalenza da ingredienti freschi e acquistati in prossimità. I gusti erano legati alle stagionalità e le ricette spesso erano il risultato di molte prove. Valevano sudore, fatica e denaro: quindi erano segrete e rappresentavano il vero valore dell’azienda artigiana. Poi col tempo lo scenario è cambiato. L’industrializzazione del dopoguerra ha portato novità dal nuovo continente. Processi produttivi più complessi e igienicamente sicuri si sono finalmente inseriti nei laboratori e con essi anche la possibilità di ridurre il numero di lavorazioni, grazie all’aggiunta di qualche semilavorato industriale.
Dalle uova fresche e pericolose da manipolare, si è passati al tuorlo pastorizzato e già zuccherato. Dalla frutta secca macinata sommariamente in laboratorio si è passati a quella perfettamente raffinata dall’industria. Dalla frutta fresca, non sempre disponibile, si è passati alle paste concentrate, zuccherate e talvolta colorate e aromatizzate, che permettevano di produrre tutti i gelati alla frutta in ogni stagione. Dalle lavorazioni di pasticceria artigianali, e talvolta complesse, si è passati alle paste aromatizzanti da aggiungere alla propria base latte per poter produrre qualsiasi variante di gusto, aggiungendo semplicemente il 10% di preparato industriale. Infine dallo studio della tecnica produttiva e dalla ricerca di ingredienti e dal loro corretto bilanciamento, il gelatiere artigiano è passato all’utilizzo di semilavorati composti a cui aggiungere semplicemente acqua o latte e un po’ di zucchero, seguendo le ricette che la stessa industria ha studiato a tavolino per soddisfare le esigenze di rapidità e semplicità produttiva, di quei gelatieri che presto si sono trasformati in “gelatori”.
Oggi è possibile acquistare anche una miscela liquida già aromatizzata per singolo gusto, da versare in un mantecatore e dichiarare un’artigianalità virtuale, che si esprime nell’azione di accompagnare il prodotto che esce dalla macchina, in un contenitore da mettere in vendita. Senza contare che è anche possibile trovare gelaterie in perfetto “stile artigianale” che propongono gelato industriale in vaschetta e che vengono proposte in franchising con prezzi di investimento di poche migliaia di euro e che promettono margini incredibili di guadagno.
Dalla creatività degli artigiani, basata sui prodotti del territorio, la propria sensibilità di gusto e le proprie conoscenze tecniche si è passati alla ricerca delle novità industriali, appariscenti e spesso legate alle mode del momento (personaggi dei cartoni animati o delle pellicole cinematografiche), o alla riproduzione in forma di gelato delle più note merendine industriali. Il tutto in una folle corsa alla novità a tutti i costi, proposta annualmente nell’ambito fieristico e di fatto delegata completamente agli uffici di marketing delle grandi aziende di semilavorati, costantemente in lotta tra loro per incantare i gelatieri, ma coalizzate per stabilire un modus operandi che portasse gli stessi gelatieri a non poter più fare a meno dei loro prodotti: il “sistema gelato italiano”.
Nel vuoto normativo esistente si è aperta una voragine, non solo relativa alle caratteristiche peculiari del prodotto e ai suoi processi di realizzazione, ma anche sulle competenze e sul percorso formativo del “gelatiere artigiano”. Tale spazio di manovra è stato prontamente ed intelligentemente coperto dalle aziende fornitrici di attrezzature e di prodotti. Il risultato è stato la creazione di scuole, atenei e “università” formative del mestiere di gelatiere, gestite da questa parte di settore e finalizzate alla creazione di un “sistema gelato” che potesse facilitare il proprio sviluppo economico e consolidare il controllo “culturale” di come dovrebbe essere (per loro) il gelato artigianale.
Il gelato si è così trasformato in un prodotto di massa condizionato dalla promozione pubblicitaria e da un’offerta uniformata su scala nazionale (ed oggi anche internazionale), allontanandosi da quell’offerta personalizzata e differenziata nel gusto e nella sua naturale diversità. Da un prodotto in grado di raccontare il proprio territorio il gelato si è trasformato in un surrogato dei gusti dettati dall’industria degli snack. Insomma da un valido aiuto all’artigiano che desiderava aumentare la propria offerta e migliorare i propri processi produttivi, si è passati alla completa sostituzione della cultura di mestiere. Oggi siamo in una situazione nella quale il messaggio, che spesso viene veicolato da chi fa business sulle nuove aperture di gelaterie, è che fare il gelato sia facile, che non richiede alcuna competenza tecnica, che occorre affidarsi ad aziende che forniscono i prodotti di facile utilizzo e che tutto ciò è molto remunerativo. Forse ci sarebbe da chiedersi se sia più remunerativo per i gelatieri o per chi li rifornisce…
Tale situazione sta già mostrando le sue debolezze, come già successo nella ristorazione: l’apertura concentrata e incontrollata di attività identiche che erodono la stessa fetta di mercato, portandolo ai minimi termini e insufficiente a garantire la remuneratività degli investimenti. Credo ci sia qualcosa che non funzioni in questa visione distorta della realtà. I numeri delle Camere di Commercio parlano di 20 mila o addirittura 37 mila gelaterie attive solo in Italia. Ma cosa rappresentano questi numeri? Chi sono in realtà questi gelatieri? Come lavorano?
Qualcuno dice che solo il 3% dei gelatieri presenti sul mercato sono davvero in grado di fare il gelato in autonomia, senza l’ausilio dei prodotti pronti o delle “basi ad alta grammatura” e le paste aromatizzanti commerciali. Se ciò fosse vero sarebbe tragico e significherebbe che su 37 mila gelaterie solo un migliaio offrono un gelato diverso da quello standardizzato dall’industria. Questo non significa che solo il loro sia un gelato “di qualità”. Qui la qualità non c’entra. Anche l’industria è perfettamente in grado di proporre qualità (anzi, a volte di livello superiore a quello di certi mediocri artigiani), ma c’entra la capacità di fare un mestiere e di proporre prodotti che siano frutto di propria esperienza e professionalità, ma anche gusto e cultura. Risulta piuttosto evidente la differenza che ci sarebbe tra il preparare un piatto di spaghetti allo scoglio facendo bollire l’acqua, cuocendo la pasta (scelta dal cuoco), scolandola e abbinandola ad un sugo preparato in modo estemporaneo con ingredienti freschi, ben bilanciati e insaporiti con cognizione e mettere in padella una busta di pasta precotta, condita e surgelata da far “saltare 4 volte”…
Perché dovremmo scandalizzarci se un ristorante ci proponesse quest’ultima soluzione senza dichiararlo, e nessuno si scandalizza se la stessa cosa avviene in gelateria, ormai da decine di anni? Il concetto di artigianalità dovrebbe legarsi alla capacità di interpretazione di una ricetta, alla sua personalizzazione, alla scelta del prodotto… Credo che sia il mercato stesso che oggi richiede maggiore chiarezza. Lo dobbiamo ai nostri clienti: ci chiedono trasparenza e dobbiamo essere in grado di comunicarla. Conosco molte persone che iniziano a fare acquisti in maniera più consapevole rispetto al passato. Perché non è possibile identificare chiaramente una gelateria che utilizza semilavorati pronti da una che propone prodotti freschi, che valorizzano il territorio, che rispettano la biodiversità e che trasmettono la cultura di un mestiere?
Sul mercato della ristorazione convivono tranquillamente realtà diverse e ben identificabili. Da una parte i ristoranti fast food, che offrono un prodotto di qualità costante con la garanzia di ritrovare quel determinato gusto, nel suo genere estremamente bilanciato e ottimizzato, in ogni ristorante della catena. Dall’altra convivono altri generi di ristorante, magari non per forza stellati, magari un osteria nella quale a volte si può anche rischiare di non mangiare benissimo o di non trovare una cucina che soddisfi il nostro gusto ma dove in ogni caso si può vivere un’esperienza diversa che a volte riesce a conquistare i nostri sensi in maniera totalmente appagante, riesce a farci scoprire una specialità o un ingrediente che non conoscevamo, riesce a farci apprezzare l’interpretazione fatta dal cuoco, un professionista, a volte un artista, un artigiano, un interprete responsabile di quello che abbiamo mangiato, ma in ogni caso una figura che non ha motivo di esistere dentro una catena di un fast food.
Noi dovremmo auspicarci che entrambe le realtà coesistano, promuovendosi, facendo leva sui rispettivi punti di forza e non facendosi la guerra. In questo modo il consumatore sarà in grado di scegliere quello che preferisce, non c’è il buono e il cattivo, ma solo due cose differenti. Ci sono molti colleghi che lavorano con coscienza e passione. Sono quelli che scelgono gli ingredienti migliori, sperimentano nuove combinazioni, si formano continuamente, fanno ricerca e sviluppo dentro e fuori la propria attività. Sono quelli che non si accontentano di cosa offre il mercato standardizzato, ma che dialogano con i clienti, ne conquistano la fiducia cercando di soddisfare non solo le esigenze di gusto, ma anche le loro scelte di acquisto etiche. Artigiani dai forti legami con il proprio tessuto sociale che alimentano ed aiutano ad alimentare. Spesso scelgono semilavorati di qualità proposti da aziende che con i loro prodotti “aiutano il gelatiere” e non lo “sostituiscono”.
Molti gelatieri oggi non si rendono conto che la libertà di scelta nell’impiego di certi ingredienti è puramente virtuale. Hanno l’illusione di poter scegliere come aromatizzare il proprio gelato in autonomia, perché possono valutare tutte le proposte delle schiere di agenti di vendita che giornalmente bussano alla loro porta. Ma il problema di fondo è che scelgono tra un prodotto composto ed un altro, senza porsi il problema di verificare se possono essere in grado di farselo da soli…
Questo però non significa rinunciare allo sviluppo tecnologico per rincorrere un sogno dietrologico. La tecnologia e la ricerca sono importanti per migliorare, ma non possono essere utilizzati come mezzi per sostituire la cultura, il buon gusto e la professionalità di un bravo artigiano.
Roberto Lobrano – presidente dell’Associazione culturale dei Gelatieri per il Gelato
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Poco meno di un anno fa nelle vicinanze dell’ufficio dove lavoro (periferia est Milano) ha aperto una gelateria artigianale*, attività che mancava da anni.
(*) Mi fido di quanto dichiarato dai vari cartelli esposti che elencavano ingredienti e modalità di preparazione.
In luglio, viste le temperature africane, ho fatto qualche incursione con l’obiettivo di assaggiare i diversi gusti e, senza essere un esperto, sono rimasto soddisfatto.
Pochi gusti, alcuni classici, altri reinventati, ma così come nei ristoranti apprezzo il menù corto, anche in questo caso preferisco pensare che siano meglio “pochi ma buoni”, piuttosto che troppi e poco curati se non “aiutati” dalla chimica.
Se non fosse che il mese scorso è apparso il cartello di Cessata attività. Un’altra serranda che si abbassa…
Le motivazioni ovviamente non le posso sapere. I prezzi erano in linea con quelli che trovo in giro, la qualità sembrava esserci, non so se sia mancata la clientela ovvero se troppi preferiscano la moltitudine di gusti a prezzo medio-basso che trovano al supermercato.
Oppure si sono resi conto troppo tardi che la Qualità costa e troppi oggigiorno guardano al prezzo** piuttosto che alla qualità del prodotto ed alla fine i conti devono tornare.
** Non ho soldi da buttare, ma preferisco spendere 3 € per un buon cono piuttosto che 5 per una mediocre vaschetta da 1/2 kg.
Buongiorno, vorrei porre la questione anche dal punto di vista del consumatore. Premetto che la maggioranza dei consumatori non è affatto interessata alla questione e, analogamente ai bambini, è attratta solo dal colore vivace o dal gusto originale, però quei pochi consumatori attenti non hanno alcuna capacità di selezionare le aziende migliori. Io personalmente non sono in grado di valutare all’assaggio cosa sto mangiando, non ho le competenze, credo che un gelato artigianale mi possa piacere di più ma non ne sono sicuro, però vorrei comunuque, per tanti motivi e non solo di gusto, poter scegliere una gelateria artigianale. I cartelli esposti fuori non sono ovviamente un elemento distintivo, perchè chiunque li può mettere. Pertanto io chiedo a voi, associazione gelatieri artigianali, che avete le competenze ed il dovere di informarci, di stilare un elenco dei veri gelatieri artigianali e renderlo pubblico. Mandare vostri ispettori presso le aziende che richiedono di entrare in questo elenco e verificare sul posto i processi produttivi, perchè noi consumatori non lo possiamo e sappiamo fare. Solo voi potete fare informazione e state ben attenti a guadagnarvi e mantenervi la fiducia dei consumatori, perchè la diffidenza per incauti inserimenti di aziende non meritevoli in questo elenco, è sempre dietro l’angolo. Sappiamo bene noi consumatori di quanto poco contino le recensioni sui ristoranti, le recenti inchieste mediatiche hanno solo sollevato un problema ben noto a tutti i consumatori attenti. La fiducia si giuadagna con il tempo e con l’onesta’. Concludo dicendo che secondo me il problema dei semilavorati non è affatto limitato ai gelati ma è esteso a tutta la ristorazione esattamente nei medesimi termini come descritto nell’articolo. Chiunque secondo me può aprire un medio ristorante di fatto attingendo in cucina in buona parte a prodotti semilavorati industriali. Per la ristorazione di strada o rivolta ad un pubblico giovane poi credo queste percentuali aumentino ancora di più.
Come non concordare, è ovvio che la stragrande maggioranza delle gelaterie “artigianali” di artigianale non hanno proprio un bel niente.
I gusti sono identici ovunque, magari il prodotto non è cattivo, ma è ovvio che non è artigianale e personalmetne di voglia di mangiare quel gelato che appunto non è cattivo, ma non è neppure un granché, non ne ho molta. Ci sono certi prodotti al supermercato che sono uguali se non migliori di quelli delle gelaterie.
Anch’io come Paolo qui sopra preferisco spendere 3€ per un buon cono che 5 per una vaschetta, il problema è che mi ritrovo a spendere 3 euro per un cono mediocre e a volte la vaschetta del supermercato da 5€ è fin di qualità superiore.
Visto il vuoto legislativo che permette di definire artigianale il gelato anche se è fatto con un preparato e semplice aggiunta di acqua o latte, non potrebbe un’associazione di gelatieri a dare un marchio diciamo così “privato” ma che sarebbe un’indicazione per i clienti di gelato fatto in un determinato modo?
O non si potrebbe avere la lista di quei soli 1000 negozi che fanno gelato davvero artigianale?
Io li andrei a cercare
Carissimo Roberto, mi conosci e sai benissimo come la penso, la faccio breve, anche se mi dispiace per i lettori del Fatto alimentare che seguo da sempre, ma non voglio tediarli con un pistolotto su di me e su quanto fatto “per e con il gelato” nei miei 10 anni di attività con Carapina. Ti faccio una semplice domanda : perchè non è stato fatto un disciplinare che proteggesse il Vero Gelato Artigianale e i suoi Artigiani, dove siete stati tutti questi anni?? io da sempre inizio i convegni dove vengo invitato chiarendo subito che : NON ESISTE UN DISCIPLINARE CHE TUTELI IL VERO GELATO ARTIGIANALE e sul perchè non esiste, bisognerebbe chiederlo a chi fa parte di certe categorie dti abbraca mille anni e che non si è mai chiesto se fosse necessario relaizzarlo. quindi ti chiedo, visto che tu sono “mille” anni che fai parte di queste associazioni, perchè?? un saluto Simone Bonini
Al centro di Roma, vicino Campo de’ Fiori, c’era una gelateria che ha resistito forse un anno o poco più. Con mia moglie ci andavamo, ci prendevamo un cono, certamente buono e veramente artigianale, ma la quantità era modesta. Altre gelaterie, (a Roma centro, ogni 10m metri ne trovi una), e con 2 € ti fanno un cono che trasborda, è ovvio che gustare un gelato per un paio di minuti, è più consolatorio di uno che dura meno di un minuto.
Al rapporto “qualità prezzo” si è sostituita “quantità prezzo”.
Ciao Simone, ti ringrazio della domanda perché mi da la possibilità di dire che i Gelatieri per il Gelato (che è un’associazione culturale e non sindacale) ha un codice etico composto da 10 punti chiari, semplici, ma assolutamente voncolanti. L’associazione è nata come movimento nel 2011 e si è istituzionalizzata solo nel 2016, quindi non sono proprio mille anni che mi occupo di questioni associative. Non è ancora un disciplinare, ma obbliga gli associati a lavorare in un certo modo. Credo sia un passo importante verso la trasparenza nei confronti del consumatore. http://www.gelatieriperilgelato.com
Concordo pienamente con quanto scritto sopra da anonimo e Anna, per la creazione di un marchio di garanzia e che, sulla base di un disciplinare, venga certificati il processo artigianale di produzione e la qualità del prodotto.
Il mercato di nicchia, se è vero che solo il 3% delle gelaterie risponderebbe ai requisiti, va tutelato.
Forse poi, vedendo sulla porta della gelateria l’adesivo con la certificazione, magari diventa meno di nicchia.
Alla fine, per il consumatore la scelta è sempre in funzione delle informazioni che ha.
Che tristezza! Ho 60 anni e il miglior gelato della mia vita l’ho mangiato quest’estate a Modica, ma vivo a Roma e dopo quell’assaggio non c’è storia, aspetto il prossimo viaggio in Sicilia!
Dopo anni di assaggi in tutta italia (dall’alto adige all’amata sicilia che ho girato in lungo e largo, passando per bologna e firenze) gelaterie artigianali finte o mediocri ho finalmente trovato la vera gelateria artigianale gourmet. Sto parlando di Armonia e Poesia di Ermanno di Pomponio, pochi gusti realizzati ad arte con ingredienti esclusivamente biologici, zucchero di canna, latte dell’alta bavaria, pistacchio dop di bronte, cioccolato Valrhona o Amidei, frutta di stagione. Bè dopo aver mangiato il suo gelato non riesco a trovarne nessuno, neanche lontanamente, comparabile in tutta Roma. Come posso Civitavecchia faccio una scappata a godermi un gelato sublime e naturale. Questa non è un post ruffiano ma una dichiarazione d’amore per il suo gelato (non per lui che è abbastanza strambo..), vorrei tanto che lo provaste tutti!
Abito a Firenze, dove grazie al turismo di massa stiamo assistendo ad un continuo fiorire di attività di ristorazione (???) e gelaterie (?????) sempre pronte ad offrire al malcapitato di turno qualcosa da mettere sotto i denti con un alone di genuinità italiana. Il risultato è che specie nel centro storico è impossibile o quasi mangiare un gelato degno di questo nome, si conteranno al massimo cinque gelaterie “vere”, mentre il resto è una montagna di roba colorata e ghiacciata che però evidentemente funziona, visto che mantengono aperto. E per me, che ricordo i gelati di arancia con i semi dentro fatti solo in inverno, oppure la crema che era un pasto completo con le sue uova e la panna, è un dispiacere immenso. Concordo quindi con Simone Bonini (uno dei pochi rimasti a Firenze) sulla sua richiesta di un disciplinare, poi sai quanti devono cambiare nome da “gelateria” a “acqua+preparato ghiacciato”
Il gelato si è globalizzato come tutto il resto:
-i panini globalizzati fatti e venduti uguali in tutto il mondo da una multinazionale;
-le scarpe dove il cuoio è scomparso, fatte in Asia e vendute in tutto il mondo da marchi di multinazionali;
-la crema di nocciole ed altri dolciumi con ingredienti internazionali fabbricata e venduta in tutto il mondo da una multinazionale che in origine era artigianato italiano;
-le auto che in origine erano fatte di legno, ora si realizzano in plastica con pezzi fabbricati chissà dove ed assemblate in molte parti del mondo da multinazionali;
-ecc.. ecc..
Però e per nostra fortuna e per chi vuole e se lo può permettere, ci sono ancora cose di valore tradizionale ed anche artigianale.
Bisogna cercarle e saper scegliere tra le tante offerte del mercato e solo a titolo d’esempio gli alimenti bio compresi i dolciumi ed i gelati, qualche buona gelateria e ristorante con menù corto o cortissimo, i veri agriturismi che coltivano e allevano direttamente le materie prime, la pasta, il riso, i legumi frutta e verdura bio e/o di produzioni tipiche protette e locali, ecc..
Le associazioni di categoria dovrebbero associare solo chi il gelato lo produce direttamente e non chi lo rivende, altrimenti sono punti vendita di industrie dolciarie e catene di franchising, non certo artigiani gelatieri.
Per definizione legale, gli artigiani prevalentemente producono direttamente ciò che vendono, mentre i commercianti prevalentemente rivendono prodotto realizzato da altri.
Difficile accettare la definizione di gelateria artigianale per un commerciante che allunga e raffredda gelato prodotto da altri.