Gli ftalati e il bisfenolo A sono sostanze plastificanti ubiquitarie, tuttora presenti in una miriade di prodotti e soprattutto di confezioni, già note per provocare una lunga serie di effetti negativi sulla salute. E possono anche avere conseguenze particolarmente pesanti sul feto in sviluppo. Lo confermano due studi molto diversi, che dimostrano come entrambe le categorie possano provocare squilibri le cui ricadute sono in parte note, in parte ancora da esplorare.
Il primo studio è stato condotto su un migliaio di donne in gravidanza, tutte senza particolari fattori di rischio, alle quali è stato misurato, in due momenti diversi della gestazione (circa a metà e verso la fine), il livello dell’ormone placentare di rilascio della corticotropina o pCrh. Si tratta di una sostanza identica a quella di norma presente nel cervello, le cui concentrazioni oscillano in risposta allo stress. Nel caso di una gravidanza, la placenta ne sintetizza una sua versione, che serve a garantire l’armonico avanzamento dello sviluppo del bambino, e ne rilascia in quantità crescenti nel corso della gestazione.
Come riferito su Environment International dagli autori, provenienti da diversi centri di ricerca e cliniche statunitensi, è emersa un’associazione piuttosto chiara tra alterazioni della pCrh rispetto ai livelli medi attesi e la presenza di ftalati nella placenta. Ma è emerso anche come le donne che mostravano livelli anomali dell’ormone –più alti nei a metà gravidanza, e più bassi verso il termine – erano quelle che avevano più spesso patologie quali l’ipertensione o il diabete gravidico, che possono avere effetti molto gravi tanto sulla gestazione, causando parti prematuri, quanto, in casi più rari, sulla vita stessa della madre e del bambino. Per il momento lo studio mette in luce solo un’associazione, ma poiché gli ftalati sono tuttora molto diffusi, gli autori pensano che sia importante andare avanti con la ricerca, e capire fino in fondo questo tipo di relazione.
A una conclusione per alcuni aspetti simile giunge poi il secondo studio, questa volta condotto su modelli animali e incentrato su un altro interferente endocrino, il bisfenolo A o Bpa. In questo caso i ricercatori dell’Università del Missouri hanno pubblicato quanto ottenuto analizzando un particolare tipo di materiale genetico, costituito da minuscoli frammenti di Rna, detti appunto micro Rna (miRna). Questi miRna possono essere racchiusi in piccole vescicole, che e dalla placenta sono in grado di raggiungere ogni distretto corporeo del bambino, a cominciare dal cervello. Per questo si pensa che la loro presenza possa essere associata a danni dello sviluppo cognitivo. Come descritto su Epigenetics, esponendo gli animali al Bpa sia prima che durante la gestazione, si nota un aumento nel rilascio di ben 43 tipi diversi di miRna, le cui oscillazioni sono collegate alla quantità di Bpa presente.
Da una parte questi frammenti, già utilizzati come marcatori in altri ambiti medici quali l’oncologia, per la loro elevata specificità, potrebbero diventare parametri utili per verificare un’eventuale eccessiva esposizione al Bpa. Dall’altra, secondo gli autori, potrebbero anche indicare una nuova strada terapeutica nel caso di sviluppo cognitivo non adeguato del bambino; neutralizzando uno o più dei 43 miRna, probabilmente si bloccherebbero o attenuerebbero gli effetti negativi del Bpa sul cervello.
Al di là dei necessari approfondimenti e delle possibili applicazioni dei risultati, i due studi mettono in evidenza soprattutto un fatto: i plastificanti attualmente più utilizzati, per i quali non sono ancora disponibili alternative convincenti, con ogni probabilità sono assai pericolosi per il feto.
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Giornalista scientifica