mela, sei mele rosse

Mangiamo poche specie vegetali e di pochissime varietà, uguali le une alle altre ed esteticamente perfette. È un fatto naturale? Assolutamente no. E non è neppure un fatto senza conseguenze. Nel corso dell’ultimo secolo si è perso il 75% delle piante e dei frutti commestibili, a favore di varietà controllate dalle aziende sementiere e vivaistiche. La mela che acquistiamo al supermercato è quindi il risultato di una selezione genetica che l’ha resa identica alle altre con cui condivide il nome. Nel suo libro Chi possiede i frutti della terra, Fabio Ciconte, direttore dell’associazione ambientalista Terra! e portavoce della campagna FilieraSporca, contro lo sfruttamento in agricoltura, racconta come si sia potuta perdere tanta biodiversità. Tra la ricostruzione storica e l’inchiesta sul campo, il libro svela chi controlla le filiere e chi sta trasformando la natura in una fabbrica o, meglio, in una sorta di franchising, impegnato a replicare sempre lo stesso prodotto.

Una mela qualsiasi non è quindi affatto una mela qualsiasi, racconta Ciconte nel suo libro, uscito in maggio per Editori Laterza, ma il risultato di una selezione che l’ha resa perfetta e, spesso, anche proprietà esclusiva di industrie genetiche che controllano l’intera filiera. Questo reportage dalla narrazione scorrevole passa dalla banca del germoplasma (dove sono conservati diversi semi allo scopo di preservarne la varietà biologica) sulle isole Svalbard fino alle campagne pugliesi, dal ‘melo in gabbia’ della Golden delicious, nell’America di inizio Novecento, ai cosiddetti prodotti club per i quali sono i grandi gruppi decidono chi può coltivare cosa, come accade per il kiwi giallo o l’uva senza semi.

uva
L’uva senza semi è oggi al centro di contenziosi tra le aziende che detengono i brevetti e i coltivatori che non accettano di sottostare alle loro condizioni

I coltivatori rischiano di diventare semplici licenziatari di un brand. Chi aderisce ai sistemi di successo può anche essere soddisfatto, ma chi non accetta di produrre alle condizioni imposte dai proprietari del brand viene estromesso dal mercato, come dimostrano i numerosi contenziosi in corso. La questione però è ancora più ampia e non riguarda esclusivamente i produttori ortofrutticoli, ma la sopravvivenza stessa: minore è la varietà e maggiore è la vulnerabilità agli agenti patogeni e ai cambiamenti climatici, lo dimostra la crisi della produzione di pere dell’Emilia-Romagna. Lungi dal voler gettare il lettore nella disperazione, il libro offre anche qualche soluzione di fronte a queste tendenze preoccupanti. In Europa potrebbe già avere un effetto decisivo l’abolizione la norma sulla calibrazione dei prodotti, ritoccata già qualche anno fa, ma tuttora valida per i dieci prodotti ortofrutticoli più diffusi, che rappresentano tre quarti del mercato.

© Riproduzione riservata; Foto: iStock, Editori Laterza

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