Frutti di bosco surgelati, è allerta in Europa. In Italia 200 casi e l’Efsa ne prevede altri. Aziende e supermercati devono informare i consumatori ma non lo fanno
Frutti di bosco surgelati, è allerta in Europa. In Italia 200 casi e l’Efsa ne prevede altri. Aziende e supermercati devono informare i consumatori ma non lo fanno
Roberto La Pira 19 Luglio 2013Il 10 luglio l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), ha focalizzato l’attenzione sull’epidemia di epatite A in corso in Italia e in altri Paesi europei.
La questione è abbastanza seria e il documento ipotizza probabili nuovi casi (in Italia le persone colpite sono oltre 200, i consumatori non sono stati adeguatamente informati e i frutti di bosco surgelati si trovano ancora nel freezer di diverse case ndr).
Rivolgiamo un appello al Ministero della salute perchè pubblichi al più presto le foto dei prodotti ritirati dal mercato e i punti vendita dove sono stati acquistati. Il paradosso è che le aziende coinvolte nel ritiro non indicano nei loro siti quali sono i prodotti e non danno informazione adeguate. Una parte di responsabilità spetta anche alle catene dei supermercati, che devono per legge dare ampia visibilità alla notizia dei prodotti richiamati, invitando i consumatori a non consumarli. Informare i cittadini è un obbligo di legge ma qualcuno fa finta di non saperlo.
C’è un’ultima nota da evidenziare: qualcuno sostiene che si tratti di una novità, ma la questione del virus dell’epatite A che contamina frutti di bosco era già stata evidenziata nel 1997 quando si verificò un’epidemia in Michigan, Stati Uniti.
Ecco una sintesi di quanto riportato nel comunicato del’Efsa.
Dal 1° gennaio 2013, sono 15 i casi confermati in laboratorio di infezione da virus dell’epatite A (HAV) segnalati in Germania, Paesi Bassi e Polonia. Tutti i casi hanno una storia di viaggio nelle Province autonome di Trento e di Bolzano. Durante lo stesso periodo, l’Italia ha registrato un aumento dei casi di infezione da epatite A (HAV) sia in provincia di Trento sia a livello nazionale. Nei primi sei mesi del 2013, l’Italia ha segnalato più di 200 casi in eccesso rispetto al numero medio per gli ultimi tre anni associato a questa epidemia. Ci sono tre persone irlandesi colpite da un virus dell’epatite A con una sequenza identica a quella nel focolaio italiano, anche se gli individui non hanno soggiornato in Italia. Questo elemento induce a credere che lo stesso veicolo di infezione sia presente, almeno, in entrambi i Paesi.
Secondo le indagini epidemiologiche, microbiologiche ed ambientali il virus dell’epatite A si trova in alcuni lotti di frutti di bosco congelati e per questo motivo sono in corso studi caso-controllo nei due Paesi. Nonostante il ritiro del prodotto alimentare è probabile che casi addizionali saranno identificati a causa della lunga durata di conservazione dei frutti di bosco surgelati. ECDC invita gli Stati membri ad aumentare la consapevolezza di un possibile incremento dei casi di HAV associati al ceppo epidemico italiano, di segnalare tutti i nuovi casi di EPIS-FWD, per usare la definizione di caso comune dell’epidemia e dei questionari per intervistare i casi recenti e di sequenza di un sottoinsieme di campioni virali, al fine di rivelare eventuali legami con l’attuale epidemia in Italia.
Va altresì detto che due focolai di epatite A sono contemporaneamente sotto inchiesta in quattro paesi nordici e tra i viaggiatori di ritorno dall’Egitto. Un terzo focolaio di origine alimentare è sotto inchiesta negli Stati Uniti, anche se al momento non ci sono prove di legami tra questi focolai. L’EFSA, l’ECDC e la Commissione europea continueranno a seguire da vicino questo evento per aggiornare la valutazione dei rischio.
Roberto La Pira
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza in test comparativi. Come free lance si è sempre occupato di tematiche alimentari.
Visto l’allerta continuo mi chiedo se quelli freschi sono sicuri o meno… considerando sempre che “sicurezza” è una parola grossa
Diciamo che anche noi aspettiamo risposte che non arrivano dal ministero
Può essere utile consultare la nota su domande e risposte relative all’epatite A che ha redatto il Ministero della salute unm ese fa. Ecco il sito di riferimento: http://www.salute.gov.it/portale/p5_1_1.jsp?lingua=italiano&id=160
“…che devono per legge dare ampia visibilità sui loro siti e nei punti vendita allanotizia dei prodotti richiamati invitando i consumatori a non consumarli”. Scusi dr. La Pira, ma dove sta scritto che si deve utilizzare il mezzo informatico per diffondere la notizia? Una volta esposto il cartello, non si può ritenere assolti i doveri della distribuzione in caso di richiamo? Io credo che spetterebbe ad un sito istituzionale tale incombenza.
Ma se l’intento è di informare i consumatori quale miglior sistema della rete . Costo Zero effetto sicuro .
Ma se manca la volontà si preferisce mettereun cartello che legogno in pochi e possibilmente senza foto.
Ecco, su questo proprio non riesco ad essere d’accordo, l’ho scritto anche in un altro commento: io non ho mai visitato un sito di un’azienda produttrice o di un distributore e come me ritengo siano in molti. Se di efficacia vogliamo parlare, trovo molto più utile un sms o una mail mirata verso i clienti dei quali si hanno i dati (e con tutte le carte fedeltà che ci sono non è impossibile), mentre per gli altri il cartello esposto sul punto vendita ritengo sia ancora la soluzione più idonea. Per quale motivo si ritiene che un cartello sarebbe letto da pochi e l’avviso sul sito da molti? Certo, mettere l’avviso ANCHE sul sito non costa nulla, ma se devo scegliere tra cartello sul punto vendita e avviso sul sito continuo a pensare che il cartello sia più efficace. L’alfabetizzazione informatica in Italia non è purtroppo ai livelli di altri paesi europei.
Condivido l’opinione del sig. Stefano, l’incarico di avvisare o meglio chi dovrebbe garantire che i consumatori siano avvisati è l’Istituzione, il Ministero di competenza ad esempio. Chissà come mai ci erano riusciti così bene nel caso della carne equina nei ragù (peccato solo che il rischio per la salute fosse nullo in quel caso), mentre pare non ci riescano stavolta (o per il rischio botulino nel pesto) che i rischi sono decisamente ben più gravi.