La frutta degli italiani: come cambiano i consumi?
La frutta degli italiani: come cambiano i consumi?
Rossella Ardizzone 17 Luglio 2024La recente ricerca Dare buoni frutti – Gli italiani e le ‘nuove’ abitudini di consumo di frutta, condotta dall’Istituto di ricerche Ipsos per il Gruppo Orsero e presentata lo scorso 27 maggio, ha coinvolto un campione di mille individui tra i 18 e i 65 anni di età con l’obiettivo di capire non solo le abitudini legate al consumo di frutta degli italiani, ma anche le loro modalità di acquisto e i cambi di direzione.
Suddivisi in cinque macrogruppi – tradizionalisti, attenti buongustai, food lovers, innovatori del gusto ed esploratori del benessere, – i più grandi consumatori di frutta restano i tradizionalisti (27%). Sul totale degli intervistati il 60% sceglie la frutta in quanto sinonimo di ‘sana’ alimentazione, grazie alle sue proprietà nutrizionali, non dimenticando il concetto di qualità.
Come scelgono la frutta gli italiani?
Ogni italiano consuma sette tipi di frutta diversi al mese e la scelta di acquisto è influenzata soprattutto da stagionalità (51%), rapporto qualità-prezzo (44%) e gusto (42%), seguiti dall’origine del prodotto e dalle sue proprietà nutrizionali. Il tema della stagionalità viene meno quando si parla di frutti esotici come avocado, zenzero, mango e papaya, per i quali la scelta è guidata dal gusto.
Km zero e innovazione non sembrano essere tra le prime motivazione a guidare le scelte dei consumatori. I consumatori infatti scelgono i ‘nuovi’ frutti, come uva e anguria senza semi e kiwi giallo, per gusto, stagionalità e praticità in quanto più facili da gestire, ma non li associano al concetto di innovazione.
Insieme ad avocado e zenzero, i frutti più presenti nel carrello degli italiani sono quelli che si trovano tutto l’anno nel reparto ortofrutta, in particolare fragole (59%), kiwi (40%) e frutti di bosco (21%), per i quali varietà, gusto e qualità percepita sono gli aspetti che ne consolidano la scelta. Mele e banane sono i frutti più consumati con una percentuale che rasenta l’80%, a cui seguono le arance (69%).
Come cambiano i consumi
Il consumo di frutta negli ultimi anni non ha subito grandi variazioni, secondo i risultati della ricerca Ipsos. Il 45% degli intervistati dichiara di non aver modificato le proprie abitudini, ma una uguale percentuale di persone ne ha aumentato il consumo. Di questi il 51% lo ha fatto per seguire una dieta sana. Il 10% degli intervistati ha invece diminuito il consumo di frutta, soprattutto a causa dell’aumento dei prezzi (58%). La GDO è il canale preferenziale per l’acquisto di frutta perché offre più varietà e costi a volte inferiori. Il fruttivendolo conserva ancora il secondo posto perché offre un prodotto più fresco.
Secondo i risultati della ricerca, riassumendo, la frutta fa parte delle abitudini degli italiani al di là degli stili alimentari del singolo in quanto simbolo del ‘mangiar sano’ con una grande attenzione alla qualità. Solo il 20% degli italiani associa il concetto di innovazione alla categoria della frutta, nonostante i ‘nuovi’ tipi di frutta rientrino tra le abitudini di consumo degli intervistati. Sembra inoltre esserci una scarsa capacità nell’individuare il prodotto di stagione, visto che frutti indicati come stagionali in realtà spesso non lo sono.
Il dato che manca in questa ricerca, che è per lo più qualitativa, è quello quantitativo. “La verità – ha commentato Raffaella Orsero durante la presentazione della ricerca – è che in Italia da ormai 15 anni non si consuma più frutta in termini di chili consumati, la quantità è sempre uguale, quello che cambia è che diminuisce il consumo di un tipo di frutta e aumenta quello di un altra,” come nel caso delle pere ‘sostituite’ dai frutti esotici come l’avocado.
Frutta, spreco e qualità
Resta da chiedersi come mai con consumatori dichiaratamente così attenti all’inserimento della frutta nell’alimentazione giornaliera i consumi siano stabili in termini quantitativi. Che cosa fanno le aziende per far sì che la frutta sia qualitativamente valida per riportare il consumatore sulla retta via?
È interessante la sezione Reflection, presente sul sito , dove viene stilata una classifica dei prodotti alimentari che vengono sprecati di più in Italia e che vede la frutta al primo posto con il 27%. Ci chiediamo quanto possa incidere su questa percentuale il fatto che nei banchi ortofrutta si trovi frutta acerba, poco o per nulla zuccherina e che, una volta acquistata, non matura in maniera adeguata. Forse la tematica della qualità è quella più importante, anche nel contrasto allo spreco.
Siamo d’accordo che non si può chiedere alle aziende di vendere frutta a prezzi stracciati perché la sua produzione ha dei costi. Ma si può chiedere che il prodotto sia accettabile da un punto di vista organolettico, sia che costi molto sia che abbia dei prezzi più accessibili.
Frutta a prezzi accessibili
Se da un lato il reparto ortofrutticolo dei supermercati offre una vasta scelta di prodotto, in realtà il consumatore si trova poi a dover affrontare una scelta obbligata se vuole un prodotto di qualità. Spesso, infatti, la frutta più economica finisce nella spazzatura. Così, il consumatore deve virare sull’acquisto di un frutto più caro, ma che gli dia la certezza di mangiare un prodotto buono.
Il Fatto Alimentare ha già parlato della tematica qualità in riferimento alle scelte di acquisto fatte dai supermercati. Adesso ci chiediamo cosa fanno i grossi distributori di frutta su questo tema: la presenza di un prodotto qualitativamente migliore concorrerebbe a un aumento dei consumi e dei volumi di acquisto?
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Uno degli slogan di successo dell’impero diretto dalla inestimabile signora Raffaella recita più o meno ” uniamo il mondo ” declinato come prendere frutta e verdura da tutto il mondo da servire sulla vostra tavola.
Il suo business si fonda soprattutto su quanti accantonano la frutta di ordinaria provenienza italiana, permettendole di far girare enormi navi avanti e indietro.
Slogan entusiasmante all’inizio e alimenti come ananas, banane, mango, papaya e cocco e qualche altra dozzina avevano un’aura di mistero esotico che sollecitava la curiosità e invogliava all’acquisto ben oltre il loro innegabile valore intrinseco, mettendo in ombra il valore dei prodotti delle nostre campagne che nulla hanno da invidiare, e reggono il confronto in ogni sede se presi nei giusti tempi.
Premesso questo, poi riflettendoci bene sono emersi i punti interrogativi, i lati nascosti del processo sottostante, più ombre che luci.
Un difetto sistematico emerso che progressivamente niente risparmia……la raccolta anticipata per aderire agli standard commerciali, anche piccoli anticipi vanificano molti benefici vantati.
I tempi di trasporto e i sistemi (e sostanze) di conservazione dal campo, quando lontano dalla dispensa, hanno tolto altri vantaggi.
La scelta di cultivar che favoriscono la forma e la conservazione lunga ha fatto molto altro.
Tutti questi motivi remano contro maggiori consumi complessivi.
Non prendiamoci in giro…..scrivano pure protocolli ma le grandi distanze da superare rendono la parola ” sostenibilità ” fuori luogo pur con tanti artifici studiati scientificamente e utilizzati per minimizzare.
Chi come me ha vissuto molte stagioni estive ascoltando con ansia il lamento esasperato dei compressori, utili a mantenere temperature degli impianti congrue ai processi di conservazione ( e maturazione ) ha potuto capire quanta energia sia necessaria.
Impianti costosi e anche quando le cose andavano bene bisognava tenere l’agenda telefonica aperta alla pagina frigoristi/elettricisti……
Rispetto alla domanda su cosa fanno le catene per migliorare la qualità e la freschezza dei prodotti, con i vigenti criteri gli ostacoli sono difficilmente aggirabili, un modo semplicistico per alcuni è il trasporto per via aerea, imballaggi molto protettivi, sostanze da applicare a copertura dei frutti ecc. ma non sembrano esattamente sostenibili.
Rifiutando di vedere l’evidenza e lasciandosi guidare dalla pubblicità tutto concorre a scoraggiare il consumo dei prodotti freschi e tenta i consumatori con prodotti trasformati, con pochissimi pregi e molti difetti.
Non ci può essere nulla di meglio dei prodotti raccolti solo a maturazione e con conservazione antispreco espressa ai minimi termini.
Indubbiamente meno varietà a disposizione degli occhi avidi ma le scelte stagionali rimangono sempre numerose e il gusto, freschezza e proprietà nutrizionali ne guadagnerebbero infinitamente.
Compro abitualmente frutta di stagione e verdura al mercato da pochi contadini che conosco o da un banco di vendita : buona o buonissima. La frutta della Coop in genere è altrettanto buona .
Per caso ho comprato pesche al supermercato Pam, sembravano di plastica.