Da tempo in Gran Bretagna e in altri paesi europei si vendono liquori denominati sambuca che però hanno colori e aromi improbabili, come Sambuca Passione Nera , Orange&Mango, Green Apple, Banana e molto altro, alcuni dei quali confezionati in Italia. Tutto ciò in violazione delle normative comunitarie (il regolamento CE 110 /2008) che stabiliscono le modalità di preparazione e le caratteristiche del liquore italiano più venduto nel mondo. Secondo le norme, si può definire sambuca un liquore trasparente, a base di estratti di anice verde, anice stellato e altre piante, con precise caratteristiche tra cui una quantità di anetolo (l’estratto aromatico dell’anice) compreso tra 1 e 2 grammi per litro e una gradazione non inferiore a 38°.
La vicenda delle “sambuche” colorate è arrivata anche all’autorità giudiziaria die Torino dove i NAS hanno effettuato i primi sequestri. Ma la storia, di cui Il Fatto Alimentare si è già occupato in passato è tutt’altro che conclusa. A sollevare il problema è stata la Molinari, l’azienda che a metà del secolo scorso ha reso famosa la Sambuca Molinari nel mondo e oggi è leader del settore con il 30% circa del mercato, che ha promosso un’azione di sensibilizzazione delle autorità italiane ed europee.
«Il reato contestato a chi mette in vendita sambuca non conforme ai regolamenti è quello di frode – spiega il maggiore Michele Tamponi responsabile dei NAS di Torino – non si tratta di bevande trasparenti e c’è anche da chiedersi se la quantità di anetolo sia quella prevista dalla legge. Non dovrebbero esserci invece pericoli per i consumatori, anche se restano aperti alcuni interrogativi sulla salubrità di alcuni coloranti contenuti nei liquori, ammessi dalla legge ma posti sotto osservazione dal mondo scientifico, come E 102 E110 E 122 E 124». Bisognerebbe poi verificare anche l’effettiva presenza nel liquore della frutta evidenziata nella denominazione. In ogni caso si tratta di prodotti destinati ad un tipo di consumo diverso da quello tradizionale. La sambuca è un classico liquore da fine pasto da consumare in piccole dosi, mentre questi alcolici colorati sono pensati per essere bevute come“shottini” o utilizzate per cocktail. «Da noi – conferma il maggiore Tamponi – questi prodotti sono poco commercializzati, anche perché il consumo di superalcolici è inferiore rispetto al nord Europa».
Sul tema si sono attivati con due interrogazioni anche i parlamentari europei, Giancarlo Scottà e Mara Bizzotto. Nella risposta il commissario europeo per l’agricoltura Dacian Cioloș ha ribadito sostanzialmente la validità della normativa europea, impegnandosi a raccogliere informazioni presso le Autorità nazionali di controllo. Anche la risposta del Ministero dell’agricoltura inglese (DEFRA) è stata positiva. In una circolare dice che un prodotto colorato non può essere indicato come “sambuca” o “liquore di sambuca (“A product that is coloured cannot be marketed as ‘Sambuca’ or ‘Sambuca liqueur’), mentre le risposte del Ministero per l’agricoltura italiano sono ancora interlocutorie. Abbiamo interpellato in proposito Federvini , l’associazione di Confindustria che rappresenta i produttori di alcolici (da cui Molinari è uscito in polemica proprio per questa vicenda), secondo cui la questione si pone in termini diversi. «Esistono due problemi distinti – afferma il direttore generale dell’associazione Ottavio Cagiano de Azevedo – il primo riguarda aziende che etichettano come sambuca bevande diverse rispetto alla definizione comunitaria. Ci sono poi bevande “ a base di sambuca”, in cui il liquore è un ingrediente e che sarebbero anch’esse disciplinate». Si tratta di una situazione analoga a quella dei mix come i “breezer” o la crema di whisky. «In questi casi – continua Cagiano de Azevedo – bisogna solo controllare il rispetto delle norme relative all’etichetta, che deve specificare in modo chiaro il tipo di alcolico». Sull’argomento è stato approvato nel luglio scorso un regolamento comunitario per regolamentare la definizione e l’etichettatura delle bevande alcoliche e degli alimenti che le contengono, ricalcando sostanzialmente la legge italiana del 1997.
Restano vari interrogativi aperti: le etichette delle bottiglie facilmente reperibili su internet non sembrano riferirsi a un mix, inoltre riportano il nome di frutta che in genere non compare nell’elenco degli ingredienti, composto solo da aromi e coloranti. E soprattutto, ci chiediamo se non sarebbe comunque il caso di tutelare il nome di un’eccellenza italiana come la sambuca.
Paola Emilia Cicerone
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24