«Molti agricoltori italiani stanno utilizzando in questo periodo un pesticida a base di ‘1,3-dicloropropene’ che l’Istituto superiore della sanità ha stabilito poter essere molto pericoloso per la salute umana, in particolare per quella dei bambini, oltre che per gli animali e l’ecosistema, e che la Commissione europea ha ripetutamente rifiutato di autorizzare. È gravissimo pertanto che l’utilizzo di questa sostanza sia stato autorizzato con un decreto del ministero della salute del 13 luglio 2011». Lo dichiara il senatore del Pd Francesco Ferrante, che ha presentato un’interrogazione parlamentare urgente per richiedere l’immediato ritiro del decreto e dunque il divieto a utilizzare il diserbante.
Una perfetta tempesta estiva, verrebbe da dire: le dichiarazioni di Ferrante, presidente di Legambiente, circa la pericolosità dell’agrofarmaco “Telone” della Dow Agro Science – autorizzato provvisoriamente e sotto rigidi requisiti – dal ministro della Salute Fazio. Come stanno realmente le cose? È giustificata o meno la paura evocata dal senatore?
I fumiganti e la Commissione europea
Il Telone è un fumigante, sostanza che è stata ripristinata per sostituirne un’altra sostanza con un profilo peggiore, il bromuro di metile. Senza, buona parte delle coltivazioni della bella stagione di molti Paesi europei sarebbero a rischio serio. Non a caso l’autorizzazione è stata fatta sul periodo estivo.
Il dubbio sulle parole di Ferrante nasce dalla verifica di quel che accade negli altri Paesi europei, dove la sostanza è ammessa a particolari condizioni di uso. È vero che in passato lo stesso ministero della Salute aveva negato l’autorizzazione. Ma è altrettanto vero che l’autorizzazione straordinaria, fatta con Decreto Dirigenziale (Decreto Dirigenziale 13 luglio 2011. Autorizzazione di prodotti fitosanitari a base della sostanza attiva 1,3-dicloropropene, ai sensi dell’articolo 53 , paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 1107/2009.) ne specifica le condizioni di uso.
Come succede con tutti gli agro farmaci, spesso sono proprio le condizioni di utilizzo a far valere il profilo tossicologico di una sostanza attiva e dei suoi residui.
La necessità del 1,3-D è largamente nota: è il più efficace fumigante per il controllo dei nematodi del suolo. Le fumigazioni di 1,3-D interessano numerose colture e riguardano solo il terreno destinato alla coltivazione; infatti, 1,3-D non entra in contatto né con le piante né tanto meno con le parti commestibili della pianta.
Per le modalità con cui si esegue la fumigazione dei suoli agricoli, la Dow AgroScience sostiene che è stato dimostrato che nessun residuo di 1,3-D è presente al momento della raccolta su e nelle derrate agricole. In attesa della conclusione del processo europeo per una definitiva autorizzazione di uso, molti Paesi europei come Italia, Spagna, Grecia, Francia, Olanda, Belgio, Cipro, Malta hanno approvato i cosiddetti “usi di emergenza”. Questo dimostra che al momento una buona parte della produzione ortofrutticola è difficilmente sostenibile senza 1,3-D.
La Commissione Europea, tuttavia, è restia ad accogliere queste richieste. Le perplessità risiedono nel fatto che, trattandosi di una sostanza appartenente alla categoria dei fumiganti, i criteri di valutazione delle sostanze attive stabiliti dalla legislazione vigente potrebbero non essere adatti a valutarne gli effettivi impatti ambientali e sulla salute umana (la maggior parte dei prodotti fitosanitari viene distribuita sulle piante, mentre i fumiganti si applicano al terreno).
C’è da sottolineare, infatti, che la situazione di incertezza riguarda tutti i fumiganti e se a questo problema aggiungiamo quello legato alla generale complessità dei requisiti richiesti dalla normativa europea, che sta spingendo l’industria a investire sempre meno nello sviluppo di nuovi prodotti, è evidente come le preoccupazioni degli imprenditori agricoli risultino sempre più comprensibili.
Più che di aspetti tossicologici certi e noti però, sembra che la decisione della Ce sia dettata dal “principio di precauzione”, laddove mancano dati «relativi alla persistenza, al comportamento tossicologico, all’assorbimento da parte delle colture, all’accumulo, al destino metabolico e al tenore dei residui, come pure la natura inconcludente della valutazione dei rischi per i consumatori e il rischio, per gli uccelli, i mammiferi, gli organismi acquatici e altri organismi non bersaglio, di possibile contaminazione delle acque sotterranee».
I produttori
Sul sito Coldiretti Ambiente e Territorio, a maggio del 2011 si faceva presente la richiesta – avanzata proprio dagli agricoltori – di autorizzazione eccezionale per usi di emergenza dei prodotti fitosanitari contenenti la sostanza attiva 1,3-Dicloropropene, ai sensi dell’art.8 comma 3 del D.Lvo 194/95.
«La strategia europea e italiana per la sostituzione del bromuro di metile è stata basata sulla effettiva disponibilità di due nuovi mezzi chimici fumiganti per i terreni agrari: Cloropicrina e 1,3 Dicloropropene. Il bromuro di metile andava sostituito in quanto lesivo dello strato di ozono dell’atmosfera».
E ancora: «A questo proposito, si ricorda che, negli anni ’90, l’Italia era il maggior utilizzatore di bromuro di metile in Europa e il secondo nel mondo dopo gli Usa; i principali motivi della sua diffusione sono da rincondursi alla gravità degli attacchi da nematodi arrecati alla produzioni agricole». Negli anni successivi l’Italia ha negoziato una riduzione graduale dell’impiego di bromuro di metile, mano a mano che alternative efficaci e sicure si facevano strada.
Dopo l’eliminazione del bromuro di metile, la combinazione della fumigazione del suolo con l’impiego di varietà resistenti o tolleranti ai nematodi consente, infatti, una notevole riduzione dei trattamenti chimici. L’uso di 1,3 Dicloropropene in certe aree ha anche contribuito a diffondere strategie di lotta non chimiche, come l’impiego dell’innesto su piede resistente.
Per questi motivi la situazione attuale vede le imprese agricole fortemente preoccupate perché sia la Cloropicrina sia l’1,3 Dicloropropene rischiano di non essere effettivamente disponibili sul mercato per problemi nella fase di revisione europea delle sostanze attive. Il rischio è allora quello di pagare duramente le conseguenze dell’urgenza comunitaria dell’eliminazione del bromuro di metile, avvenuta senza le necessarie garanzie circa l’affidabilità delle sostanze alternative e del loro iter autorizzativo in ambito europeo. Per quanto riguarda la sostanza 1,3 Diclopropene, la Daw Agroscience (società detentrice del brevetto), infatti, si è vista respingere i dossier per l’iscrizione all’allegato I della direttiva 91/414 e da tempo sta operando in un regime ormai caratterizzato da continue richieste di proroga e di uso in deroga.
In tale contesto, l’attuale situazione di incertezza di reperimento sul mercato di geodisinfestanti adeguati costituisce un elemento in grado di destabilizzare economicamente numerose imprese agricole che, almeno dal 2005, hanno basato le loro strategie di lotta sull’uso di prodotti come l’1,3 Dicloropropene, utilizzando il fumigante anche in combinazione con metodi di lotta non chimici.
Occorre considerare, inoltre, che l’eliminazione del bromuro di metile in ambito europeo, pur se difficile, è stata possibile anche grazie all’immediata disponibilità di mezzi chimici alternativi. Oggi, se dovesse venire a mancare la loro disponibilità sul mercato, molte imprese agricole si troverebbero in una situazione di assoluta impotenza nei confronti dei parassiti del terreno, sia per quanto riguarda la lotta chimica, sia per l’uso combinato di mezzi diversi.
Le colture autorizzate
Oltre al tabacco, l’1,3-dicloropropene si potrà impiegare anche su:
carota in pieno campo
pomodoro in serra
melanzana in serra
peperone in serra
zucchino in serra e in pieno campo
fragola in serra e in pieno campo
fiori in serra e pieno campo
Le misure di mitigazione del rischio vertono principalmente sulla gestione della copertura dei terreni trattati, in modo da minimizzare la volatilizzazione del prodotto in atmosfera e la protezione degli operatori.
Conclusioni
Se è vero che in futuro andranno trovate alternative con un profilo tossicologico più chiaramente descrivibile e delimitabile rispetto al 1,3 dicloropropene, tuttavia non è nemmeno corretto fare allarmismi e addurre pericoli per bambini e consumatori, come invece è stato fatto senza uno straccio di evidenza.
Purtroppo la caccia alle streghe che da anni Legambiente produce in merito, complice anche il rapporto annuale “I pesiticidi nel piatto”, non aiuta per nulla a fare chiarezza.
Non possiamo logicamente sovvertire il principio per cui “la mancata verificabilità della sicurezza” è per ciò stessa “presenza certa di pericolo” come viene fatto strumentalmente.
È facile ergersi a paladini della salute pubblica, ma bisogna essere precisi. Intanto, evidenziare come – in ragione della nuova strada di produzioni di qualità e a basso impatto seguite dalla UE- l’uso di fitosanitari si sia drammaticamente ridotto. -6,8% nel decennio 1999-2009 stando ai dati Istat.
Stando sempre ai dati ufficiali del ministero della Salute, la percentuale di alimenti e ortofrutta in particolare che superano la Dose Giornaliera Ammissibile (DGA) sono costantemente calate. Inoltre, la stessa DGA (o MRL in inglese) non implica in quanto superata un rischio immediato per la salute. Infatti viene stabilita in via del tutto cautelativa (secondo un fattore di divisione di 100 rispetto alla quantità per la quale si verifica un NOAEL, livello minimo di presenza della sostanza al quale si verificano effetti negativi sulla salute o cambiamento nei parametri metabolici.
Quel che invece è assolutamente vero è che i pesticidi sono la prima “paura” alimentare degli italiani, come certificato dall’Eurobarometro nel corso degli anni, e anche degli europei. Ma soffiare sul fuoco non è sempre responsabile. Anche perché sempre più spesso bisogna andare nella direzione di valutare congiuntamente rischi e benefici: quelli che derivano ad esempio dal consumo di frutta e verdura, note per l’effetto protettivo a livello cardiovascolare e su alcuni tumori.
Le battaglie di principio possono anche appassionare, ma bisogna ricostruire la storia nel suo complesso: la volontà di sostituire il bromuro di metile, le alternative esistenti, le difficoltà di valutazione tossicologica dei fumiganti.
Olivia A. Scotti
Per saperne di più
Eurobarometro: intervista ad EFSA
Compimenti per l’equilibrio e la precisione dell’articolo.
Peccato solo che non comprenda un analisi di tutte le possibli alternative: a chi legge verrebbe immediatamente da pensare, forse sbagliando, che l’alternativa al bromuro di metile possa essere una diversa metodologia di coltivazione come quella ecologica/biologica e non un altro prodotto chimico di cui poco o nulla si sa sugli effetti sulla salute (non solo del consumantore, ma anche dell’agricoltore per esempio).
D’altra parte si può procedere come si è sempre fatto: si autorizza, si usa ed abusa, poi si scopre la sua tossicità e si ritira sostituendolo con un prodotto nuovo per ricominciare un’altro giro di giostra.