Il 15 marzo è la giornata nazionale del ‘Fiocchetto lilla’, giunta alla sua undicesima edizione, questa ricorrenza dedicata ai disturbi alimentari è l’occasione per fare un bilancio dei risultati raggiunti e dei passi ancora da compiere per affrontare e gestire al meglio il problema. Le statistiche parlano di 3,5-4 milioni di italiani (il 5% della popolazione, di cui il 70% adolescenti) affetti da disturbi del comportamento alimentare (Dca) che, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, rappresentano la seconda causa di morte (dopo gli incidenti stradali) con circa 4 mila decessi all’anno per le ragazze nella fascia d’età tra i 12 e i 25 anni.
Secondo i dati della prima indagine epidemiologica nazionale sul tema, diffusi lo scorso febbraio dal ministero della Salute, l’incidenza di anoressia e bulimia è aumentata del 30% per effetto della pandemia, con un picco soprattutto tra i giovanissimi (12-17 anni di età di entrambi i sessi), colpiti fino a quattro volte di più rispetto al periodo pre-Covid a causa dell’isolamento, della permanenza forzata a casa, della chiusura delle scuole e dell’annullamento delle iniziative di coinvolgimento sociale.
Per rendersi conto di quanto il problema si sia aggravato, basta confrontare i dati riferiti al primo semestre del 2019, in cui sono stati rilevati 163.547 nuovi casi, con quelli riguardanti lo stesso periodo del 2020, in cui ne sono stati registrati 230.458. Si tratta di dati provvisori, non solo perché l’emergenza Covid non è ancora risolta, ma anche perché riguardano esclusivamente chi si ha chiesto assistenza a strutture del Sistema sanitario nazionale, mentre un gran numero di persone che soffre di Dca si rivolge a privati o resta nell’ombra.
In più, ci vorrà tempo per valutare a pieno le ripercussioni che i traumi e il disagio sperimentati nel passato recente avranno sulla salute mentale in generale e, nello specifico, sui comportamenti alimentari dei giovani (e non solo). Inoltre, al numero di chi potrebbe manifestare problemi del comportamento alimentare in futuro, bisognerà aggiungere coloro che erano in terapia già prima dello scoppio della pandemia e che hanno visto un peggioramento della malattia durante il lockdown, quando molti centri dedicati alla cura dei disturbi alimentari hanno dovuto sospendere l’attività, escludendo i pazienti dai ricoveri e dai trattamenti ambulatoriali diurni.
Mai come in questa fase storica, quindi, la giornata del ‘Fiocchetto lilla’ acquista una particolare importanza, per sottoporre all’attenzione delle istituzioni e dell’opinione pubblica le dimensioni di un problema che non può essere ignorato o sottovalutato, ma anche per far conoscere l’attività delle molte associazioni che se ne occupano quotidianamente, nell’ambito di quello che è stato definito il Movimento lilla. Con l’obiettivo di far luce sulla situazione attuale e sulle prospettive di questo fenomeno, abbiamo intervistato Stefano Tavilla, dell’associazione no profit Mi nutro di vita.
Perché è così importante la ricorrenza del 15 marzo?
L’obiettivo della giornata nazionale dedicata ai disturbi del comportamento alimentare è da sempre quello di divulgare, informare, favorire i contatti e creare una rete di collaborazione, supporto e confronto sull’argomento, innanzitutto per far sentire meno soli coloro che soffrono di queste malattie e le loro famiglie. Tuttavia, mai come in questa fase storica l’attività di sensibilizzazione svolta dalle associazioni e dalle famiglie, riunite nel Movimento lilla, è fondamentale per sensibilizzare l’opinione pubblica e chiedere alle istituzioni un impegno concreto per contenere un fenomeno che ha raggiunto dimensioni epidemiche.
Lo scorso ottobre il Movimento lilla ha manifestato davanti al Ministero della salute. Quali erano le istanze della protesta?
L’obiettivo è lo stesso per il quale il Movimento si batte da anni: ottenere dal Governo il potenziamento dei sistemi di cura e l’inserimento strutturale del tema dei disturbi del comportamento alimentare nell’agenda politica, con la creazione di un piano nazionale per la diagnosi e cura dei disturbi del comportamento alimentare e la predisposizione di strutture e percorsi ad hoc, rapidi nell’accesso, di qualità e integrati nel Servizio sanitario nazionale, dunque gratuiti o erogati a fronte del pagamento di un semplice ticket.
Quali sono i limiti attuali del Ssn nei confronti dei disturbi del comportamento alimentare?
Sono moltissimi, a partire dalle basi: non esiste un corso di specializzazione universitaria per la formazione di figure professionali qualificate nell’approccio a queste patologie. Ciò si traduce nell’impossibilità di individuare precocemente il problema, prima che il disturbo si manifesti in forma conclamata o che si aggravi al punto da rendere necessario il ricorso a centri specialistici. Inoltre, le strutture pubbliche dedicate alla cura dei disturbi alimentari e della nutrizione sono poche e distribuite in maniera disomogenea. L’aspetto più problematico riguarda poi le liste d’attesa che possono ritardare l’accesso ai percorsi terapeutici da tre a sei mesi, ma anche oltre. Molte famiglie si rivolgono quindi ai privati per evitare di restare bloccate in un limbo in cui i sintomi diventano più difficili da risolvere, aprendo la strada a conseguenze gravi.
Di recente sono stati raggiunti alcuni risultati significativi. Quali?
Un importante passo avanti nell’inquadramento del problema è rappresentato dalla distinzione dei Dca rispetto ai disturbi della salute mentale. Per la prima volta anoressia, bulimia, ortoressia, vigoressia e binge eating (per elencare i principali) vengono riconosciuti come una categoria a sé e circoscritti a un’area specifica, oggetto di un approccio mirato. Inoltre, la legge di bilancio del 2021 ha inserito questi disturbi nei Livelli essenziali di assistenza (Lea) e stanziato, per il biennio 2022/2023, un fondo da 25 milioni di euro che le Regioni potranno utilizzare per dotarsi delle strutture e del personale qualificato per erogare le cure necessarie.
Nel 2018 le istituzioni avevano fatto un primo tentativo con l’aggiunta del ‘Codice lilla’ nel triage dei Pronto soccorso. Che cosa ne è stato?
Pensato per accogliere e avviare a un percorso terapeutico mirato chi si presenti in pronto soccorso con un sospetto Dca, il ‘Codice lilla’ è rimasto finora al livello di semplice raccomandazione e non è mai stato applicato. Per riconoscere e affrontare questo tipo di patologie, infatti, servirebbe personale con una formazione specifica, capace di adottare un approccio diverso da quello meramente clinico fin dal primo accesso in struttura.
Il ‘Bonus psicologo’ può avere un effetto positivo anche per quanto riguarda il trattamento del Dca?
I disturbi del comportamento alimentare non si affrontano solo con la psicoterapia, ma richiedono la collaborazione continuativa e strutturata tra il paziente e un’equipe di professionisti con differenti specializzazioni (psichiatria, pediatria, scienza dell’alimentazione, medicina interna, dietologia, psicologia e psicoterapia). Questo consente di affrontare in modo complementare gli aspetti clinici, psicologici e psichiatrici tipici delle condotte alimentari alterate. L’incontro preliminare con lo psicologo può quindi essere utile a identificare un disturbo nelle fasi iniziali, ma poi serve un percorso di cura specifico.
Quale messaggio è importante veicolare per il futuro?
Finora sui disturbi del comportamento alimentare ci sono stati troppi tabù: per anni non se ne è parlato abbastanza o lo si è fatto nei termini sbagliati. La pandemia ha peggiorato la situazione, costringendo anche le istituzioni ad aprire gli occhi e ad acquisire la consapevolezza che, per affrontare il problema, servono un ripensamento dell’intero sistema di presa in carico e di cura, ma anche la creazione di una rete sociale di supporto (per i pazienti e per le famiglie) che finora non è mai esistita al di fuori dei circuiti informali.
Recentemente l’Istituto superiore di sanità, attraverso il suo Centro nazionale dipendenze e doping e in collaborazione con le Regioni e le Associazioni di settore, ha avviato una mappatura dei servizi territoriali per la cura dei disturbi della nutrizione e dell’alimentazione. Il suo scopo è garantire ai cittadini affetti da tali patologie e alle loro famiglie informazioni che faciliteranno l’accesso alle strutture, agevolando un intervento precoce e quindi più efficace. Come abbiamo riferito in un precedente articolo, le informazioni sono consultabili attraverso una piattaforma online interattiva e in continuo aggiornamento, in cui saranno censiti i servizi ambulatoriali, residenziali e semi-residenziali appartenenti al Servizio sanitario nazionale e del privato accreditato (attualmente sono 108).
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