Alcuni paesi asiatici propongono all’interno di Expo padiglioni molto grandi supportati dall’uso massiccio di tecnologie moderne, ma con scarsi contenuti, si spazia infatti dall’assenza pressoché totale di elementi collegati al tema dell’esposizione, al lancio di messaggi più che rassicuranti su argomenti controversi.
Cina e Giappone hanno enormi padiglioni, in cui dominano le atmosfere orientali ma dove il tema dell’Expo è solo marginale, se non assente. Lunghe attese per entrare nel padiglione del Giappone, dove si attraversano sale di ambientazione e si arriva a una cascata virtuale da cui scendono immagini di piatti giapponesi, con cui si può interagire attraverso un’applicazione telefonica, che si è invitati a scaricare prima di entrare. La visita finisce con uno spettacolo in un ristorante virtuale. Il messaggio ottimistico del Giappone è che la terra se la caverà, perché ha già affrontato e superato altre situazioni critiche.
Anche la Cina gioca con le atmosfere orientali, immergendo i visitatori nelle quattro stagioni e nei cinque cicli del calendario lunare cinese, per poi presentare dei videopannelli, dedicati alla cultura del tè, del baco da seta, alla tradizione dei campi terrazzati e all’agricoltura classica. Dopo la presentazione delle ricerche sul riso ibrido, arrivano i giochi di luci di quella che viene presentata come una grande distesa di steli di grano. La visita assicura grandi effetti scenici ma pochi contenuti.
La Corea del Sud propone una presentazione della propria tradizione alimentare caratterizzata da equilibrio, fermentazione e conservazione. Mentre si è in fila, una sfera rappresenta l’obesità e l’eccesso di cibo. Varcata la soglia si incontrano tre sculture con video, il cui racconto va dall’obesità alla malnutrizione. Due pannelli in movimento sono dedicati a come e cosa mangiare. Anche il padiglione coreano è caratterizzato da grandi spazi, dove dominano il colore bianco, video, musica e grandi effetti scenografici.
Il padiglione della Thailandia è diviso in tre sezioni ed è una grande opera di autopromozione nel campo agroalimentare. Nella prima sala ci si siede per terra e si osserva un video a 360° sulla natura e la biodiversità del paese, l’agricoltura e gli allevamenti. In particolare, si vedono agricoltori che plaudono alla pioggia, che solo successivamente si capisce essere provocata artificialmente. La seconda sala è caratterizzata da una specie di piscina vuota, in cui a volte c’è un ballerino, dove viene proiettato un video sui prodotti e la sicurezza alimentare thailandese, a livello industriale. Con giochi di specchi e immagini molto veloci, si parla di sistemi di alta tecnologia, controllo di qualità, sicurezza, innovazione e standard internazionali, per finire con fotografie di piatti tipici. Nell’ultima sala, viene presentato un video dedicato al Re della Thailandia, chiamato anche Re dell’Agricoltura. Qui si capisce l’invenzione della pioggia provocata artificialmente, il cui merito viene attribuito al Re, perché “anche quando piove, Sua Maestà lavora per il popolo”. A differenza di altri padiglioni, in cui il video finale viene salutato con un applauso, questo filmato reale termina nel silenzio.
Quando si entra nel piccolo padiglione dell’Indonesia, si rimane colpiti dall’assenza delle foreste tropicali. Facendo sparire le foreste, il paese asiatico cancella anche i problemi legati alla deforestazione selvaggia. L’Indonesia sceglie di presentarsi come una nazione marittima e in particolare sul suo essere collocata all’interno del Triangolo corallino, parlando molto dell’industria del pesce.
Scelta opposta, invece, da parte della Malesia, anch’essa al centro di polemiche sulla deforestazione e del cui padiglione Il Fatto Alimentare si è già occupato, in relazione a un pannello, poi rimosso, secondo cui la dizione “No Palm Oil” sulle etichette dei prodotti alimentarti sarebbe stata illegale. La foresta è presente nella struttura del padiglione e i vari messaggi sottolineano la necessità di preservare la natura, salvaguardando la ricchezza della biodiversità. Passando per sale di grande atmosfera si arriva a una zona dedicata all’olio di palma, dove si afferma che si tratta di un olio buono e salutare, la cui coltivazione non danneggia l’ambiente. Le piantagioni coesistono con gli habitat naturali e gli ecosistemi, l’olio di palma rappresenta più del 38% dell’olio commestibile nel mondo ma occupa meno dell’un per cento delle terre coltivate globalmente, è un olio che apporta benessere nutrizionale e i suoi antiossidanti aiutano a prevenire l’infarto (affermazione salutista, in palese violazione delle norme dell’Unione europea). Tolti gli aspetti scenografici e la retorica sulle foreste tropicali, lo scopo del padiglione della Malesia è evidente: la promozione dell’olio di palma, di cui è la maggior produttrice mondiale, insieme all’Indonesia.
Quattro paesi asiatici (Bangladesh, Cambogia, Myanmar e Laos) sono raggruppati nel Cluster del riso, una sorta di padiglione collettivo, in cui si vantano l’abbondanza e la sicurezza del chicco. All’interno dei piccoli spazi a disposizione si trovano soprattutto mercatini di oggettistica, esposizioni di varietà di riso e piccoli ristoranti, senza altri messaggi significativi.
All’esterno del padiglione del Bangladesh, due grandi pannelli parlano a favore del riso geneticamente modificato. Uno è dedicato specificamente al cosiddetto Golden Rice, di cui si dice che “è uno degli OGM più famosi e discussi: i suoi effetti benefici rimangono tuttora incerti. La sua colorazione dorata è dovuta a una modificazione genetica che lo rende capace di produrre betacarotene, un precursore della vitamina A. A causa della carenza di vitamina A, ogni anno muoiono quasi 700.000 bambini sotto i 5 anni e si verificano oltre 500.000 casi di cecità”. Insomma, il messaggio è: forse fa bene, sicuramente non fa male.
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Non condivido assolutamente il giudizio sul padiglione del Giappone, dove a ragione si può parlare di una cultura gastronomica estremamente raffinata e rispettosa delle stagionalità dei prodotti, che tiene conto anche della biodiversità e di una dieta sana, non ipercalorica. Il popolo giapponese sa cosa mangia, ed è orientato verso cibi prodotti nel modo più naturale possibile…e questo è rappresentato bene, ad esempio in come vengono proposti i piatti virtuali, e nel percorso del padiglione, che si sostiene peraltro naturalmente, solo grazie agli incastri di materiale naturale, rinnovabile e riciclabile, quale il legno.
Se il consumatore medio italiano avesse la cultura del cibo equivalente ad un giapponese, saremmo un bel pezzo avanti, anche come lotta agli sprechi alimentari e come aspetti salutistici legati alla alimentazione.
Ti sei dimenticata della caccia alle balene e del fatto che hanno quasi causato l’estinzione del tonno