La Commissione europea ha pubblicato le linee guida sull’etichettatura dei prodotti provenienti dai territori occupati da Israele dal giugno 1967, vale a dire le alture del Golan, la Striscia di Gaza e la Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est. Si tratta di una “nota interpretativa”, che era stata sollecitata in aprile da 16 governi: Italia, Francia, Gran Bretagna, Irlanda, Spagna, Portogallo, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo Svezia, Finlandia, Danimarca, Austria, Slovenia, Ungheria e Malta.
Nella nota interpretativa si ricorda che l’Unione europea, “in linea con il diritto internazionale, non riconosce la sovranità di Israele” su questi territori e “non li considera facenti parte del territorio di Israele”, indipendentemente dal loro status giuridico stabilito dalla legge israeliana. Di conseguenza, afferma la Commissione europea, etichettare un bene proveniente dai territori occupati come “Prodotto in Israele” è “scorretto e fuorviante”, in base alla legislazione comunitaria. Sia che l’indicazione di origine sia obbligatoria, sia che avvenga in forma volontaria, secondo la Commissione la provenienza dai territori occupati deve essere riportata sulla base di come sono conosciuti. Per gli alimenti provenienti dalla Palestina, che non hanno origine da insediamenti, si dovranno usare diciture che non inducono in errore in merito all’origine geografica del tipo: “Prodotto dalla Cisgiordania (prodotto palestinese), “Prodotto da Gaza” oppure “Prodotto dalla Palestina”, senza dare all’etichetta un valore di riconoscimento allo Stato della Palestina. Per la merce proveniente dalla Cisgiordania o dalle Alture del Golan occupate da Israele diciture del tipo “Prodotto dalle Alture del Golan” o “Prodotto dalla Cisgiordania” sono da ritenere ingannevoli, perché farebbero riferimento all’area geografica più ampia, omettendo di informare il consumatore che si tratta di insediamenti israeliani. In questi due casi, secondo la Commissione Ue, andrebbe aggiunto tra parentesi (insediamento Israeliano).
Nell’UE l’indicazione di origine è obbligatoria per frutta e verdura fresca, vino, miele, olio d’oliva, uova, pollame, prodotti biologici e cosmetici, mentre risulta volontaria per i prodotti alimentari preconfezionati e la maggioranza dei prodotti industriali.
La nota interpretativa della Commissione europea ha suscitato la dura reazione del governo israeliano, il cui ministero degli Esteri ha espresso “condanna” per un passo “così eccezionale e discriminatorio”, adottato “per ragioni politiche” e “ispirato dal movimento per il boicottaggio”. Secondo il governo di Tel Aviv, “è sconcertante e persino irritante che l’Unione europea decida di applicare un doppio standard per quanto riguarda Israele, ignorando che ci sono più di duecento altre dispute territoriali in tutto il mondo, comprese quelle che si verificano all’interno dell’Ue o alle sue porte. L’affermazione che si tratta di una questione tecnica è cinica e senza fondamento”. Secondo il governo israeliano, l’etichettatura dei prodotti non favorisce alcun processo politico tra Israele e i palestinesi. Al contrario, “rafforzerà gli elementi radicali che sostengono il boicottaggio contro Israele e negano il diritto di Israele a esistere, contraddicendo le posizioni che l’Unione europea sostiene pubblicamente”. Si tratta di un atto, secondo Tel Aviv, che “solleva interrogativi sul ruolo che l’Unione europea aspira a svolgere” e che “può anche avere implicazioni per le relazioni Israele-Ue”.
La Commissione Ue, da parte sua, chiarisce che non si tratta di un atto politico che invita al boicottaggio e neppure di una nuova normativa, ma di un chiarimento su alcuni elementi legati all’interpretazione e all’efficace attuazione delle legislazione europea, che fa seguito ad una forte e ricorrente richiesta da parte degli Stati membri dell’Ue, sin dal 2012 e dalla società civile. L’Ue ha un rapporto commerciale privilegiato con Israele, che si basa su un Accordo di associazione. In base a tale accordo, i prodotti originari di Israele beneficiano di un trattamento tariffario preferenziale al loro ingresso nell’Ue, che non si applica a quelli provenienti dagli insediamenti israeliani. “Questa situazione rimarrà invariata”, afferma la Commissione europea.
Alcuni paesi hanno già adottato proprie misure sull’etichettatura dei beni provenienti dagli insediamenti israeliani: la Gran Bretagna dal 2009, la Danimarca dal 2013 e il Belgio 2014. Gli altri paesi hanno preferito aspettare le linee guida della Commissione europea.
L’Unione europea è il principale partner commerciale di Israele. Nel 2014, gli scambi hanno raggiunto un valore pari a circa 30 miliardi di euro: le importazione dell’Ue da Israele hanno raggiunto circa 17 miliardi e le esportazione europee verso Israele i 13 miliardi. Non ci sono statistiche ufficiali sulle importazioni europee dagli insediamenti israeliani ma secondo diverse stime dovrebbero rappresentare una frazione delle esportazioni israeliane ed essere inferiori all’un per cento del totale scambi.
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Una foglia di fico, ma meglio di nulla. Israele è nel suo insieme e per come si è costituito un unico territorio occupato, non bisognerebbe importare alcunché.
Secondo me i prodotti dei coloni saranno etichettati come made in Israel: chi controlla? nessuno o meglio gli israeliani controllano gli israeliani, il controllore e il controllato sono la stessa entità.
Non basta eticchare i prodotti coloniali: essend illegali sotto la legge internazionali non dovrebbero essere importati e basta.
Mi puzza tanto di lavaggio di coscienza e anche un po’ di sano pro palestina….certo se si tratta di vendere armi, a israele non è che ci creiamo tanti problemi, così come non ce li creiamo se importiamo da paesi dove notoriamente i diritti civili sono rispettati….
Giusto per….etichettiamo anche i prodotti provenienti dal tibet? dalla crimea? dalle isole Kurili?
la commissione europea a difesa dei piu deboli e del diritto internazionale !!!!!!!!!!!Incredibile ! Ma siete sicuri?………..
Ecco!, ora sapremo cosa proviene dai territori occupati israeliani e potremo boicottarli nel più ampio rispetto della nostra becera ipocrisia, anche quando, paradossalmente, a produrre quei beni sono lavoratori palestinesi…! E poi, soddisfatti dei nostri acquisti equi e solidali, passiamo a fare benzina senza preoccuparci da dove questa arrivi… beh… si… tutto molto coerente, viva l’europa.