Le etichette sono la carta d’identità degli alimenti. Il consumatore attraverso la lettura delle diciture e dei simboli dovrebbe riuscire a decodificare il prodotto e fare una sommaria ma importante classificazione merceologica. Tutto ciò in parte è possibile perché la normativa impone regole abbastanza severe su quello che deve comparire sulle confezioni. Eppure ci sono ancora aziende che cercano di evidenziare sull’etichetta caratteristiche solo parzialmente veritiere. Basta ricordare come abbiamo già scritto qui, l’abuso che si fa del termine “naturale” negli spot pubblicitari ma anche sulle diciture dei prodotti.
Per contro va detto che diverse aziende negli ultimi anni, dopo avere ricevuto segnalazioni o lamentele, hanno modificato le etichette eliminando le criticità. Basta citare Maia che ha tolto dalla confezioni delle uova “allevate a terra” il cielo azzurro e il prato verde: fotografie che lasciavano intendere una vita di animali che scorrazzano liberi sul terreno, quando in realtà le galline vivono nei capannoni, tranne quelle ottenute da animali cresciuti all’aperto o con il sistema biologico. Anche Mulino Bianco ha modificato la ricetta dei biscotti con farina integrale (prima impiegava farina raffinata con l’aggiunta di crusca o cruschello mentre adesso usa effettivamente farina integrale). Questo vuol dire che nella stragrande maggioranza dei casi per migliorare basta solo un po’ di buona volontà.
Altroconsumo ha di recente proposto un patto di fiducia reciproco fra produttori e consumatori intitolato L’etichetta che vorrei che riassume in sette punti le regole da seguire per realizzare confezioni con foto e diciture trasparenti. Il patto prevede la segnalazione sulla rivista delle aziende che miglioreranno le diciture. Il primo punto riguarda la denominazione di vendita situata nella parte frontale. Secondo Altroconsumo sarebbe opportuno affiancarla alla denominazione merceologica che di solito viene posizionata sul retro vicino alla lista degli ingredienti.
La seconda richiesta riguarda la parola “integrale” che deve essere riportata solo quando si usa veramente farina integrale. Più complicato il discorso per parole come “naturale”, “artigianale”, “tradizionale” che vengono proposte con caratteri tipografici molto evidenti per prodotti ottenuti da linee industriali (ne abbiamo parlato qui). Un altro punto critico riguarda l’indicazione di un ingrediente di pregio evidenziato con caratteri cubitali sul frontespizio delle etichette anche se presente in misura limitata. Tipico esempio è quello dei funghi porcini spesso citati in mondo vistoso a fianco del nome del prodotto, anche se presenti in percentuale minima. La richiesta è di riportare a fianco dell’ingrediente e con caratteri tipografici identici la quota percentuale e di non relegarla nella lista degli ingredienti sul retro. C’è una richiesta specifica sulla leggibilità delle diciture, a volte proposte in 10 lingue diverse, con caratteri tipografici minuscoli su uno sfondo poco contrastato.
Un altro aspetto critico riguarda le immagini e le fotografie che si discostano troppo dal contenuto della confezione. La norma di legge al riguardo è molto precisa, quando dice che l’immagine non deve trarre in inganno l’acquirente, anche se qualcuno se ne dimentica. C’è poi il problema delle diciture salutistiche discutibili, per cui c’è chi scrive “senza zuccheri aggiunti” e usa altri dolcificanti comunque calorici e chi evidenzia nei prodotti junk food la scarsa presenza di sale o un buon apporto di fibre.
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
Non sono celiaca ma cercavo dei prodotti a base di riso e ho scoperto che, a parte i prodotti con la spiga sbarrata propriamente per celiaci, altri traggono in inganno. Per es alcuni prodotti che richiamano al riso, di riso ne han ben poco, quando il nome farebbe pensare diversamente. O prodotti “con farina integrale” e anche lì, leggendo gli ingredienti, si scopre che si, c’è, ma il 6%. Non è truffa ma è ingannevole lo stesso.