Il governo italiano presenterà all’Ue un modello di etichette nutrizionali a batteria come controproposta all’etichetta a semaforo (Nutre-Score) ormai diffusa in mezza Europa. Esordisce così il comunicato di Federalimentare che, insieme alla lobby di Coldiretti e a un folto gruppo di Ministeri e di politici da anni porta avanti una lotta contro questo tipo di etichetta, ritenuta da esperti, nutrizionisti e organizzazioni internazionali la migliore per i consumatori e adottata in Belgio, Spagna, Svizzera e Germania proprio per la semplicità di comprensione.
La proposta italiana prevede l’indicazione dei valori relativi a una singola porzione, indicando la percentuale di energia, grassi, grassi saturi, zuccheri e sale rispetto alla quantità giornaliera raccomandata. Il modello a batteria riporta poi nella parte inferiore la percentuale di energia o nutrienti. La prima criticità del sistema è che i valori sono riferiti a una porzione decisa dal produttore e questo può influire molto sul risultato finale. Per le merendine varia da 40 a 29 grammi per le bibite da 150 a 330 ml e anche per i biscotti è del tutto arbitraria. La seconda criticità riguarda la grafica. La batteria contiene 14 riferimenti numerici concentrati in pochi centimetri e ha una sola tonalità di colore, l’azzurro. La batteria – precisa Federalimentare è il frutto di un lavoro durato due anni che ha visto la partecipazione di quattro ministeri (Salute, Esteri, Agricoltura e Sviluppo economico) e ha avuto la supervisione dell’Istituto Superiore di Sanità, del Consiglio superiore dell’Agricoltura e del Crea.
Probabilmente nel gruppo multidisciplinare mancava un esperto di comunicazione in grado di evidenziare: la confusione generata dai numeri, lo scarso appeal della batteria e le oggettive difficoltà di interpretazione. Se lo scopo del gruppo interministeriale era di proporre un nuovo modello di etichetta nutrizionale incomprensibile ai più, possiamo dire che l’obiettivo è stato sicuramente raggiunto.
Le etichette a semaforo adottate in Francia, chiamate Nutri-Score secondo gli esperti sono il miglior sistema per confrontare i prodotti simili sugli scaffali e capire le caratteristiche nutrizionali. L’altro elemento saliente è che non prendono in considerazione una porzione, ma la valutazione è riferita a 100 grammi o millilitri. Lo schema a cinque colori è semplice: il rosso e l’arancione indicano alimenti da assumere con moderazione, il verde scuro e chiaro sono riservasti a cibi sani mentre il giallo invita a consumare il prodotto senza esagerare, per mantenere una dieta equilibrata. Il Nutri-Score dà un giudizio sulla qualità nutrizionale dell’alimento considerando sia le caratteristiche positive (presenza di frutta, frutta secca e verdura, fibre, proteine) sia quelle negative (grassi, grassi saturi, zucchero e sale).
C’è un elemento in questa vicenda che solleva qualche perplessità ed è l’annuncio in anteprima dato di Federalimentare dei risultati di uno studio condotto dall’Università Luiss sui due modelli di etichette nutrizionali. Secondo la ricerca le famiglie italiane “si trovano indiscutibilmente meglio” con il modello a batteria. Incredibile! La notizia desta qualche dubbio, perché basta osservare le due etichette per rendersi conto di quanto sia complicato decodificare la batteria rispetto al semaforo. Per risolvere questo arcano bisognerebbe vedere il questionario (che ci è stato detto sarà pubblicato in rete) e valutare come sono state poste le domande. In attesa si può fare da soli un test provando a immaginare i due modelli di etichetta sulla confezione dello stesso prodotto e cercare di capire quale ci sembra più chiaro.
Tra poco saranno a disposizione i risultati di una ricerca analoga a quella condotta dalla Luiss per valutare il livello di comprensione e di gradimento dei vari modelli di etichetta a batteria, a semaforo e altre. Lo studio ancora in corso è firmato da un organismo indipendente e siamo curiosi di confrontare le scelte di questo gruppo di italiani con quello scelto da Federalimentare.
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[sostieni]
Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza in test comparativi. Come free lance si è sempre occupato di tematiche alimentari.
Non è difficile indovinare quale sarà l’etichetta più gradita (più comprensibile)
Per il semaforo occorre il diploma di asilo nido,
per la batteria bisognerà aver studiato almeno fino alle elementari….troppa fatica, di questi tempi.
(però, pensandoci bene, pure il semaforo…ben 5 colori!!! Ah , ‘sti burocrati europei!
La futura Italia Sovranista potrebbe schierarsi contro le ELITE e proporre la vera etichetta populista:
A) BBBono B) Cattivo, aho!
Mah, personalmente preferisco il semaforo, mi sembra più immediato da comprendere e, soprattutto, permette di confrontare prodotti simili, ad esempio fra due pacchetti di crackers, uno con nutriscore C e uno con D, potrei essere portato a preferire il primo (che magari ha meno sale o meno grassi). Poi ovviamente tutti i salumi finirebbero i E (immagino) e quindi si tratta di spiegare che non si tratta di buono vs cattivo ma di prestare attenzione a quanto si consuma…
Secondo me il semaforo trasmette un informazione falsa, nessun alimento fa bene o fa male indipendentemente dalla condizione del consumatore, dalla dose e dal resto dell’alimentazione.
Le batterie invece contengono l’informazione veramente significativa: la quantità di calorie, grassi saturi e sale contenuti in una porzione confrontata al fabbisogno medio giornaliero.
La “batteria” mi pare, a occhio e croce, copiata dal cartellino nutrizionale USA.
Ma non è una critica, la ritengo valida e molto meglio del semaforo.
La soluzione migliore sarebbe fondere le due etichette, il semaforo e poi le informazioni aggiuntive a batteria, così da approfndire e giustificare il colore del semaforo.
Nonostante la vocazione analfabetica degli italiani, riferendomi con ciò ai moltissimi che stentano a leggere e a scrivere parole e frasi, sta di fatto che oltre all’alfabeto italiano, vi sono caratteri arabi (west arabic) in cui proprio gli italiani, a vocazione analfabetica, sono imbattibili: e questi caratteri sono i numeri. I numeri li sanno leggere e pronunciare tutti: siamo tutti salumieri. Stranamente vi sono tanti professori di materie umanistiche che con i numeri (matematica) non vanno assolutamente d’accordo: sono negati. Ed allora, è inutile tediare gli italiani con i colori, tipici dei quiz psicologici. I numeri percentuali li capiscono tutti, senza necessità di includere i valori delle porzioni. Chi non vuole o non può assumere molti carboidrati, sceglierà alimenti che contengono p.e. al massimo il 30% di carboidrati totali; il contrario, p.e. l’80%, per gli altri, e così via per i grassi e le proteine. Il semaforo invece è una pessima cartina tornasole con cinque colori che individuano tre concetti “moderazione”, “cibi sani”, “senza esagerare”. Ma vogliamo veramente tornare ai geroglifici? Se si giunge alla saggia decisione di mettere entrambe le etichette, io andrò a leggere sempre i valori percentuali: la matematica non è un’opinione; i colori sono cangianti, per la gioia degli impressionisti. E con i daltonici, come la mettiamo? Faranno riferimento solo alle lettere cerchiate: ma non v’è neanche un gradiente uni-verso, ma sinistra-centro/destra-centro, o, se volete, centro-destra e centro-sinistra.
Con l’adesione dei Paesi Bassi e della Germania, e la formazione di un comitato scientifico internazionale, l’Italia rischia di essere esclusa da un tavolo centrale, in una battaglia di retro-guardia e in cui è sempre più isolata nei mercati di interesse. Forse è ora, anche strategicamente, di ripensare l’approccio.
Circa la “saggia decisione di mettere entrambe le etichette “, la cosa, tutto sommato, la ritengo utile perché mi metterebbe in condizione di confrontare i contenuti e le quantità percentuali, col “giudizio-suggerimento” espresso dai colori. Nondimeno, la vista del colore cerchiato dà un’idea immediata sulla qualità: secondo quale corrente? Ed è qui che scattano i confronti con personali valutazioni. Ad oggi, non so nulla circa i criteri di valutazione, che dovrebbero essere in linea con l’ufficialità espressa dalle LARN, che con chiarezza dettano tipi e quantità. Ma ritengo che le LARN non siano l’optimum. Facendo per esempio un po di conti con i numeri citati nei commenti in (https://ilfattoalimentare.it/zucchero-cervello-disinformazione.html), e delle motivazioni esposte nell’articolo, ho calcolato che il fabbisogno energetico minimo di carboidrati essenziali per una persona di 70Kg, è del 28%, ben minore del 45% delle LARN. Il discorso cade sempre sui carboidrati, perché fra tutti i guai che possano capitare ad una persona, l’obesità è diretta conseguenza del loro eccessivo consumo. Ed infine, rimanendo nel tema dei colori, per una bibita, pur analcolica e senza zuccheri aggiunti e dolcificata con stevia, ritenete che meriti un verde, o un bel rosso, se non addirittura un nero, e cioè, un sesto colore col significato: “da evitare”?. Stiano tranquilli i produttori, perché, se la bevanda è gustosa, e per la precisione, inutile dal punto di vista nutrizionale ma allettante per il palato, sarà regolarmente consumata, alla stessa stregua delle sigarette che “uccidono”.
Obiettivamente è più chiaro il modello azzurro, almeno in Liguria (in altre regioni non so). Il Ligure se vuole sapere quanto è salutare un alimento lo vuole sapere perché è realmente interessato, quindi gli interessa sapere le percentuali capire come regolarsi a tavola. Invece un modello a numeri non ti spiega perché è stata fatta quella decisione, quindi non lascia margini di adattamento alle necessità del singolo.
Penso che nei paesi nordici (Germania, Olanda, Danimarca ecc.) abbiano un’educazione/conoscenza alimentare pessima…
Non so se siete mai stati in quei paesi ma vi posso garantire che mangiano in maniere molto monotona (hanno pochissima varietà di piatti) e sostanzialmente sbilanciata verso grassi e proteine.
Per loro un’etichetta a semaforo può essere utile, per noi Italiani non credo.
Io invece continuo ad essere contrario alla lobby a rovescio che porta avanti Il Fatto Alimentare.
Qui non è questione di essere patriottici o meno ma l’etichetta nutrizionale a percentuale è più informativa della scappatoia del Nutriscore, che con il fatto di essere immediata porta automaticamente ad evitare di leggere la vera etichetta nutrizionale che è obbligatoria in etichetta.
Non è l’informazione migliore per il consumatore che è indotto a pensare che un olio di oliva o una fetta di prosciutto faccia male a prescindere dalla porzione, rispetto alla merendina o alla diet coke.
E’ proprio questo il limite del Nutriscore di ragionare per 100 g o 100 ml e non per porzione: io barretta 100 g di cereali e muesli me li posso anche mangiare in una volta sola, non mangerò mai in una volta sola 100 g di prosciutto crudo o condirò l’insalata con 100 ml di olio evo.
Per non dire che la scorciatoia del Nutriscore non ci dice nulla della qualità dei nutrienti, per loro grasso (o lipide) è grasso a prescindere che un olio evo contenga polifenoli e antiossidanti che fanno bene alla salute al posto dei grassi raffinati presenti in un prodotto ritenuto “più salutare” dal semaforo; oppure che in una carne trasformata la si penalizzi per il contenuto di sale che è presente per tanti buoni motivi, mettendo in secondo piano la presenza di proteine nobili.
E un altro grosso limite che io pongo in evidenza è che il Nutriscore non è universale dato che ogni paese dove viene applicato lo deve declinare alle proprie linee guida nutrizionali: ciò detto il Nutriscore che leggerò in Francia non sarà uguale a quello che leggo in Germania o nei Paesi Bassi.
Insomma, un pateracchio! E come sempre tutt’altro che una informazione corretta al consumatore!
Il Nutri-Score non è un’enciclopedia ma un’etichetta più chiara delle attuali tabelle. In ogni caso l’adeguamento che un Paese decide di fare non ribalta certo i principi base.