Sei italiani su dieci sono attenti alle diciture sulla salute e sulla nutrizione riportate sulle etichette dei prodotti alimentari. C’è di più, il 79% dichiara di essere influenzato dalle frasi presenti sulla confezione quando deve fare la spesa. Sono questi gli elementi salienti emersi da un’inchiesta realizzata da Altroconsumo nei mesi di giugno e luglio dell’anno scorso, in base ai risultati di un questionario compilato da 1.146 persone. L’altro dato interessante è che il 12% non presta attenzione alle informazioni sulle etichette per i caratteri tipografici difficili da leggere.
Tutto ciò succede perché sono sempre di più le frasi presenti sulle etichette dei prodotti che propongono parole e concetti in grado di orientare l’acquirente verso alimenti buoni, genuini, leggeri e anche ecosostenibili. Espressioni come “senza zuccheri aggiunti”, “poche calorie” si trovano su centinaia di prodotti. Poi ci sono le immagini che contribuiscono a completare il messaggio con foto ammiccanti e non sempre correlate alla realtà. Il risultato è che finiscono spesso nel carrello prodotti scelti per la presenza di claim accattivanti che vantano qualità nutrizionali o effetti benefici per la salute, come ad esempio, “pochi grassi”, “poche calorie”… Secondo Altroconsumo si arriva al paradosso di trovare slogan nutrizionali come ad esempio “fonte di fibre” sulle confezioni delle patatine fritte, che in realtà sono fonte di sale e di grassi. Com’è possibile? Per capire bisogna ricordare che una normativa europeo del 2006 ha messo al bando le indicazioni false, ambigue e fuorvianti, riportate sulle etichette, elencando quelle che possono essere utilizzate sulla base di precisi criteri.
La criticità della norma è che la possibilità di aggiungere slogan salutistici è riferita ai singoli ingredienti e non al prodotto. Per questo motivo la confezione di patatine fritte può riportare la frase “ricca di fibre” oppure “ricca di vitamina E” anche se si tratta di un cibo ricco di grassi e sale e quindi da assumere con cautela. Per evitare questa distorsione (slogan salutistici su prodotti classificati come junk food) la normativa approvata a Bruxelles aveva previsto l’adozione dei profili nutrizionali. Si tratta di schemi in base ai quali alimenti ricchi di zuccheri, sale e grassi saturi non possono riportare frasi salutistiche. Purtroppo i profili nutrizionali non sono mai stati approvati e sono in lista di attesa da 14 anni.
Un altro punto critico delle etichette evidenziato dall’inchiesta di Altroconsumo riguarda i dubbi sulla data di scadenza. Si tratta di una delle informazioni che gli italiani verificano quasi sempre (86%), anche se per il 23% è difficile da trovare e da leggere. In particolare, sono le persone anziane ad avere queste difficoltà. Per legge sulla confezione deve essere indicato l’intervallo di durata del prodotto, ma non ci sono obblighi sulla posizione e sulle caratteristiche, per cui spesso la data si trova in punti improbabili, oppure è stampata male o è difficile da leggere per lo scarso contrasto con lo sfondo. C’è poi la non sempre chiara interpretazione delle due diciture che indicano la durata del prodotto: “da consumare entro” (data di scadenza) e “da consumarsi preferibilmente entro” (termine minimo di conservazione).
Il 97% degli intervistati sostiene di conoscere il significato delle due diciture ma quando è stato chiesto di distinguerle, molti hanno dimostrato di non aver ben capito la differenza. Basti pensare che un consumatore su quattro ha ritenuto vera l’affermazione secondo cui le due date “hanno lo stesso significato, ma si applicano a diversi tipi di alimenti”. Non è così. La data di scadenza indica che dopo il giorno indicato sull’etichetta il prodotto non va consumato perché potrebbe mettere a rischio la nostra salute; mentre il termine minimo di conservazione concede la possibilità di utilizzare il prodotto anche dopo avvalendosi di vista, olfatto e gusto per verificare se realmente è ancora mangiabile.
Altroconsumo propone alle aziende che vogliono realizzare un’etichetta chiara e trasparente la lista degli elementi da riportare sulle confezioni. Indicare sulla parte frontale del prodotto (non sul retro) e a fianco del nome commerciale (ad esempio Sprite) la denominazione di vendita (bibita analcolica con zuccheri ed edulcoranti). Riservare l’uso della parola ‘integrale’ ai prodotti che impiegano vera farina integrale. Chi vuole evidenziare l’uso di un ingrediente pregiato (per esempio nocciole) dovrebbe indicare a fianco la percentuale con lo stesso carattere tipografico e la stessa dimensione delle altre scritte. Quando nel prodotto ci sono ingredienti simili con la medesima funzione (per esempio olio di semi, olio di oliva e olio extravergine) enfatizzare il più pregiato solo quando è in quantità maggiore rispetto agli altri. Nei prodotti industriali evitare parole come ‘artigianale’, ‘naturale’ o ‘tradizionale’. Riportare le diciture in modo che siano di leggibilità immediata, oltre che essere di un colore in contrasto con lo sfondo. Evitare foto e immagini poco realistiche e troppo fantasiose.
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giornalista redazione Il Fatto Alimentare
Un esempio di “slogan salutistici” furbetti è il “senza zuccheri aggiunti” che ho trovato su questi succhi di frutta a marchio Coop: li ho acquistati sapendo che la frutta già contiene zucchero di suo ma mi aspettavo una quantità molto inferiore ai succhi “tradizionali” con zucchero aggiunto. Una volta a casa esaminata l’etichetta scopro che contiene “succo d’uva” non dichiarato sul frontale. Evidentemente l’alto contenuto zuccherino dell’uva permette di evitare l’aggiunta di zucchero semplice e di poterlo scrivere sul frontale, anche se gli zuccheri totali contenuti sono poi simili a quelli di tutti i normali succhi di frutta in vendita. Personalmente lo trovo uno stratagemma sì lecito ma furbo.
Il prodotto di cui posta la fotografia non è un “succo di frutta”. In base alla direttiva 2012/12/UE ai “succhi di frutta” è vietata l’aggiunta di zuccheri, quindi il claim “senza zuccheri aggiunti” non è lecito, in quanto caratteristica comune a tutti i prodotti denominati “succhi di frutta”. La denominazione del prodotto illustrato è “bevanda a base di mela, uva e banana con vitamina C (frutta totale 70%)”. Trattandosi di un prodotto di fantasia, le cui composizione non è disciplinata, ma è sostanzialmente libera, diventano legittimi tutti i claim veritieri e non espressamente vietati,
Naturalmente dipende dalla frutta utilizzata, ma è comunque più che probabile che una bevanda di fantasia alla frutta che contiene il 30% di acqua apporti meno zuccheri di un succo al 100%.
Ottima informazione, mi occupo di Nutrizione, prima che diventasse una moda, date giuste informazioni con il giusto equilibrio.