Non ci sono più molti argomenti, per chi vuole continuare a negare l’utilità della segnalazione in etichetta della qualità nutrizionale di un alimento. Una delle più grandi metanalisi mai condotte giunge a una conclusione chiarissima: le indicazioni servono, e fanno la differenza nelle scelte. A effettuarla sono stati i ricercatori della Queen Mary University di Londra insieme a colleghi di altre università, che hanno poi pubblicato su PLoS Medicine quanto emerso. Per giungere a una conclusione, gli esperti hanno incluso 134 studi (55 dei quali randomizzati e controllati) illustrati in 120 articoli usciti su riviste peer reviewed, dal gennaio 1990 al maggio 2021. Quindi hanno considerato quattro tipologie di indicazioni: due incentrate sul colore (le etichette a semaforo britanniche e il Nutri-Score francese), e due basate su diciture o allarmi, per esempio per la presenza di troppi grassi (i bollini neri usati in Cile e le indicazioni di allerta per la salute della California). Gli autori sono andati poi a verificare se era stato possibile dimostrare o meno un cambiamento nelle abitudini, e da cosa era stato motivato.
L’esito è evidente: la presenza di una segnalazione di qualunque tipo modifica le scelte, e spinge i consumatori ad acquistare alimenti migliori dal punto di vista nutrizionale. Inoltre, ogni tipologia, tra quelle analizzate, risponde bene allo scopo per cui è stata progettata: quelle più neutre o positive, e cioè basate su un colore dal rosso al verde (come le etichette a semaforo), favoriscono acquisti di cibi più sani, mentre quelle in negativo, con i cosiddetti warning, allontanano da quelli meno sani. In generale, le etichette tipo Nutri-Score sono state associate a un aumento di scelte più sane del 7,9%, mentre quelle basate sugli allarmi a uno del 26%, e tutte sono state causa di una diminuzione nell’acquisto di alimenti ad alto contenuto di calorie, sodio, grassi totali e saturi. Per quanto riguarda le motivazioni psicologiche, dagli studi emerge sempre un possibile meccanismo, su tutti: la migliore comprensione della reale qualità nutrizionale del prodotto da acquistare, che si traduce poi, ovviamente, in una predisposizione negativa verso quelli peggiori, e positiva verso quelli migliori.
La metanalisi – hanno fatto notare gli stessi autori – presenta dei limiti, soprattutto per quanto riguarda l’eterogeneità degli studi inclusi e per la mancanza di valutazioni a lungo termine, che mostrino se e quanto la comprensione si è trasformata in abitudine. Tuttavia, sembrano esserci pochi dubbi sul fatto che apporre, per obbligo o spontaneamente, le giuste informazioni sulla confezione aiuti a prendere decisioni più razionali. Per questo si schierano senza ambiguità sul fronte di chi chiede l’obbligo. Sarebbe inoltre interessante – e fattibile con un approccio del tutto simile – controllare, oltre alla durata nel tempo, se c’è anche un altro effetto: quello sui cambiamenti delle ricette dei produttori, già evidenziato in molti studi singoli, e ulteriore prova a sostegno dell’obbligo.
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Giornalista scientifica
In altri articoli avete già evidenziato il voto discreto raggiunto dalle patatine maxi delle catene di hamburger, o di formaggi spalmabili con altissimi tenori in grassi e zuccheri (se riferiti alla sostanza secca); giustamente dite che l’industria (la grande industria del nord Europa che produce cibi ultraprocessati) si adeguerà, é vero: aumenterà l’acqua nei prodotti, e ne mangeremo di più, tanto in Europa la “serving size” non è presa in considerazione. Resta però un’ industria che non potrà modificare la ricetta: è quella dei prodotti DOP italiana. Siamo sicuri che a spingere sulle patatine fritte e sui formaggi quark (acqua + panna + latte) invece che sul Parmigiano Reggiano (Latte scremato) facciamo bene alla collettività? e non solo all’industria dei cibi ultraprocessati?
Ma i prodotti Dop possono essere esentati avendo lo stesso processo di produzione.
Trovo utile dare indicazioni nutrizionali in etichetta, un voto al prodotto sulla qualità nutrizionale, e tra tutti i sistemi presi in analisi dalla ricerca l’unico ad essere davvero sviante è il nutriscore. Non tenendo conto della porzione ma dei 100 g di alimento, i cibi dalle porzioni superiori ai 100 g vengono favoriti, e ciò induce le industrie a proporre grandi porzioni ai consumatori (vedi pizze, panini, ecc) e ad utilizzare ingredienti di scarsa qualità nelle formulazioni. Ci sarà un motivo per cui Mc Donald ha aderito…
il problema è che non si sa più cosa mangiare che quasi tutto fa male e per mangiare sano (forse) non si va d’accordo con lo stipendio basso: siamo penultimi in Europa o no?
Nel frattempo, in Francia …. https://www.alimentando.info/nutriscore-il-ministro-dellagricoltura-francese-lancia-lallarme-sullefficacia-del-sistema/
La revisione di alcuni aspetti del Nutri-Score non è una bocciatura, ma solo una lieve correzione di linea fermo restando che si tratta della migliore etichetta nutrizionale fra quelle proposte sino ad ora.