Una cinquantina di morti, oltre 4.000 ricoveri, tanta disinformazione e panico, sono  alcuni effetti dell’infezione da Escherichia Coli O104:H4 che ha colpito questa primavera la Germania e l’Europa.

A fronte di un risultato così drammatico, la crisi dei germogli è  servita a focalizzare l’attenzione su questi contaminanti, molto diffusi nel cibo e anche molto  pericolosi.

Gli Stati Uniti hanno reso noto nei giorni scorsi che i ceppi di Escherichia coli la cui presenza nella carne comporterà il ritiro dal mercato sono diventati sette (sono stati aggiunti i cosiddetti “big six”).  All’Escherichia coli  O157 si sono aggiunti: O26, 0111, O45, O121, O103 e O145.

L’annuncio è stato dato dal Center for Foodborne Illness Research and Prevention, che da mesi si batte per limiti più stringenti sulla presenza di E. coli nella carne.

Secondo il Dipartimento dell’Agricoltura statunitense, i nuovi ceppi individuati sono responsabili di oltre 112.000 tossinfezioni alimentari all’anno, 36.000 delle quali trasmesse attraverso la carne bovina.

Con l’approvazione  dei nuovi  ceppi si dovrebbe ottenere una drastica riduzione dei ricoveri, dei decessi .

Com’era prevedibile, l’associazione dei produttori di carne American Meat Institute ha già annunciato che si opporrà alla nuova normativa, anche perché ritiene che solo una piccola parte di infezioni sia da attribuire ai big six. Inoltre, hanno sottolineato alcuni dei suoi esponenti più noti come Gary Michaelson di Tyson Food, «Obbligare le aziende a effettuare ulteriori test avrà costi molto alti, che inevitabilmente si scaricheranno sui consumatori. Un danno che si potrebbe evitare, perché i produttori hanno messo in piedi da molto tempo sistemi di controllo che analizzano diversi passaggi della filiera anche per la presenza di ceppi diversi da O157».

 

Sarà così, ma visto il numero delle infezioni che ogni anno si registrano negli Stati Uniti, la sensazione è che che ci sia ancora qualcosa da ottimizzare. Della stessa idea è del resto il Dipartimento dell’Agricoltura, che finanzierà nuovi studi per la messa a punto di tecniche di analisi più rapide e affidabili. Nel frattempo, nel prossimo mese di marzo inizieranno i controlli a tappeto sui big six.

Ma mentre gli Stati Uniti accelerano, l’Europa si muove ancora in ordine sparso. Spiega Alfredo Caprioli, responsabile del laboratorio dell’Istituto superiore di sanità referente per le contaminazioni da E. coli nell’Unione Europea: «In Europa e soprattutto in paesi come l’Italia la presenza di colibatteri è monitorata da anni, e le caratteristiche dei diversi ceppi sono oggetto di studio da moltissimo tempo.

 

Tutto ciò ci ha portato a mettere a punto un metodo di analisi ,oggi adottato anche negli Stati Uniti perché molto affidabile, basato sulla presenza di materiale genico specifico. Tuttavia, il grande bagaglio di conoscenza acquisito non ha ancora portato a una normativa unica anche sugli E. Coli, considerati contaminanti generici (e quindi sottoposti alla normativa 2073 del 2005 sulla sicurezza alimentare e ai suoi aggiornamenti) come invece accade per esempio per la Listeria o la Salmonella».

Il quadro è complesso e probabilmente, fino alla crisi dei mesi scorsi, il problema era stato in parte sottovalutato. «Eppure – spiega ancora Caprioli – ogni anno nel nostro paese una quarantina di bambini si ammalano per sindrome uremico-emolitica causata da E. coli di ceppi pericolosi quanto quello tedesco».

Presto, comunque, le cose dovrebbero iniziare a cambiare. Spiega  il ricercatore: «I nostri metodi di analisi sono sensibilissimi e ci consentono di rilevare colonie anche molto piccole di E. coli. È chiaro che la loro pericolosità non è identica in tutte le situazioni: dipende molto dal tipo di alimento (per esempio, poche colonie sono meno pericolose nei tagli di carne intera rispetto alla carne macinata, che spesso non viene cotta a dovere).

Per questo bisogna definire le diverse casistiche e i comportamenti da seguire, i test da effettuare e le caratteristiche dei laboratori dove inviarli e così via, onde scongiurare crisi come quella tedesca o, viceversa, sottovalutazioni e superficialità. Ci si sta lavorando e la speranza è che le autorità sanitarie riescano ad accelerare e a fornire un quadro più definito molto presto».

Agnese Codignola

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