Risparmio di denaro e investimento finanziario, risparmio e concetto di guadagno. Pianta che cresce in monete di risparmio in vaso sulla tavola di legno. Copia spazio per il tuo testo. Tasse, Iva, Azioni, Stipendio, Come piantare alberi

Raccontare l’economia attraverso la storia dell’alimentazione? L’idea è venuta a Ha-Joon Chang, docente di Economia Politica dello Sviluppo all’Università di Cambridge, di origine sudcoreana, che nel suo Economia Commestibile – appena pubblicato da Il Saggiatore – ha sfruttato la storia dell’alimentazione per spiegare l’economia. Parlando della segale per raccontare l’origine dello stato sociale nella Germania di Bismarck, o del peperoncino – fondamentale in molte cucine, tanto che molti non fanno più caso alla sua piccantezza -per ricordare come la storia dell’economia tenda a ignorare il lavoro di cura non retribuito svolto soprattutto dalle donne. Ma soprattutto raccontando la storia degli alimenti, dalle acciughe alle spezie, per far conoscere il colonialismo e il difficile rapporto tra l’Europa e il sud del mondo. Invitandoci a esplorare nuove strade nella gestione dell’economia, ma anche nell’alimentazione.

“Ho scritto questo libro perché volevo smentire l’idea che l’economia sia una scienza triste, trovare un modo per renderla interessante, per così dire ‘appetibile’”, ci ha spiegato Chang, “ma anche perché sono un appassionato di cucina, quella coreana ma anche la cucina italiana: adoro la pasta al forno con le melanzane”. L’autore parte dal fatto che l’alimentazione è un tema centrale nella storia dell’economia e offre una quantità di storie interessanti. Come quella delle banane, originarie del sud est asiatico e poi arrivate nell’antichità in Africa, dove le hanno scoperte i colonizzatori portoghesi che le hanno utilizzate per nutrire gli schiavi, e poi importate in America latina dove sono diventate una delle basi dell’economia, spesso in mano alle multinazionali della frutta. Non si tratta di un caso isolato: molti alimenti sono diffusi in paesi diversi da quelli originari, a partire dal caffe, una pianta africana oggi coltivata prevalentemente in America latina e in Asia, “soprattutto in Vietnam che è diventato il secondo esportatore mondiale dopo il Brasile”, ricorda Chang. Le sue riflessioni fanno risaltare la durezza dell’intervento occidentale nei confronti del resto del mondo: “Pensiamo solo, parlando di alimentazione, a quanti cibi che fanno parte della nostra alimentazione quotidiana sono in realtà importati, come i pomodori, il caffè o le spezie”, ricorda il docente. Che ci invita a rivedere la nostra idea di tradizione: “è difficile immaginare la cucina italiana senza pomodoro, eppure è stata così fino a pochi secoli fa, perché anche una volta importati i pomodori hanno faticato a entrare nelle cucine”, spiega.

O proviamo ad analizzare il classico pranzo di Natale inglese: il tacchino arriva dall’America – e forse originariamente dall’India – le patate dal Perù, le carote dall’Afghanistan e i cavolini di Bruxelles dal Belgio. “Insomma, non sempre quello che percepiamo come tradizione lo è davvero“, ricorda Chang, “pensiamo anche alla classica, americanissima torta di mele che deve il suo profumo alla cannella che arriva dallo Sri Lanka“. Senza dimenticare che esistono delle ricette falsamente esotiche, come i piatti cinesi che si preparano in Corea, ma in Cina non esistono o il chicken tikka masala,ricetta “indiana” che in realtà è nata in Gran Bretagna. “E poi c’è la mia storia di cibo preferita“, ricorda Chang “quella di Pizzaland, una catena britannica che proponeva una pizza con sopra una baked potato per renderla più familiare agli inglesi“. Insomma, per quanto tempo dobbiamo avere a disposizione un alimento per considerarlo “tradizionale”? L’idea è che non c’è niente di male nell’importare usi diversi: “La cucina fusion, che nasca deliberatamente o sia, come spesso avviene, il prodotto di una migrazione – pensiamo a come i lavoratori asiatici in Peru hanno influenzato la cucina locale, o come la cucina delle isole Mauritius è stata condizionata dalla dominazione francese – è un’opportunità per avere una dieta più interessante e più ricca”. Un tema particolarmente attuale oggi che in Europa si discute di farine a base di insetti. Con polemiche che stupiscono l’autore coreano: “Bisogna considerare che l’Europa è probabilmente l’unico continente in cui non si mangiano insetti, ed è curioso visto che mangiate i crostacei che dal punto di vista biologico, e non solo, sono molto simili”, osserva. Nella cucina coreana gli insetti sono una tradizione “in particolare le pupe di baco da seta fritte che sono un cibo di strada nutriente ed economico, molto apprezzato anche dai bambini, anche se le mie preferite sono le cavallette fritte”, spiega il docente. “Non c’è dubbio che gli insetti siano una fonte di proteine animali meno nociva per l’ambiente rispetto alle carni”.

Ma le differenze in fatto di gusto fanno parte di tutte le culture, “pensiamo al diverso atteggiamento nei confronti delle varie carni, dal maiale al cavallo, o al tabu indiano nei confronti dei bovini, spiegabile forse col fatto che questi animali erano indispensabili per lavorare la terra”. Ma anche alla passione dei coreani per le ghiande che in molti paesi sono un alimento per animali e in lì vengono usate per preparare il dotori mook, una gelatina usata comunemente come contorno. E anche quando un alimento è apprezzato, non è detto che venga usato allo stesso modo: “il pomodoro in Europa è usato per preparazioni salate, ma quando è arrivato in Corea veniva mangiato a fine pasto con un po’ di zucchero, come il frutto che in effetti è. E anche l’avocado in Brasile viene spesso consumato come dessert”, spiega Chang. Insomma è importante non avere idee troppo rigide sul modo giusto di cucinare, e aprirsi alla sperimentazione: “Si può imparare ad apprezzare un alimento, a me è successo col pesce crudo che da bambino non mangiavo. È importante tenere la mente aperta” spiega “e non parlo solo di cucina ma anche di formule economiche, di un confronto fra tradizioni diverse”. Ricordando che le cose cambiano “pensiamo a come i brevetti, nati nel quindicesimo secolo a Venezia per favorire il progresso oggi finiscano col rappresentare un vincolo burocratico che frena l’innovazione in agricoltura”.

© Riproduzione riservata. Foto: Ilsaggiatore.com

Siamo un sito di giornalisti indipendenti senza un editore e senza conflitti di interesse. Da 13 anni ci occupiamo di alimenti, etichette, nutrizione, prezzi, allerte e sicurezza. L'accesso al sito è gratuito. Non accettiamo pubblicità di junk food, acqua minerale, bibite zuccherate, integratori, diete. Sostienici anche tu, basta un minuto.

Dona ora

0 0 voti
Vota
1 Commento
Feedbacks
Vedi tutti i commenti
Paolo
Paolo
27 Febbraio 2023 16:36

uh interessantissimo! grazie per la segnalazione! adoro i saggi a tema alimentazione