L’Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica (ADI) e Slow Medicine hanno riassunto in cinque punti le “cose da non fare” in tema di dieta e nutrizione, in quanto prive di benefici per la salute, per l’ambiente e per il sistema sanitario nazionale. Le raccomandazioni sono state riviste a fronte dei cambiamenti sociali, economici e climatici degli ultimi anni con una particolare attenzione ai temi della sostenibilità ambientale e dei disturbi alimentari.
1) Non seguire “diete senza” o digiuni. Sono approcci nutrizionali specifici per determinate patologie e solo il medico li può consigliare. Gli esempi sono molti e diffusi: la dieta che esclude determinati alimenti (carboidrati, glutine, grassi, lattosio, proteine animali, ecc), approcci dietetici basati su presunte intolleranze alimentari (non diagnosticate da metodiche scientificamente validate), o gruppi sanguigni, o diete paleolitiche o digiuni intermittenti o continuativi. Questi approcci dietetici possono provocare danni alla salute e carenze nutrizionali e non risolvono il problema dell’obesità, ma anzi favoriscono disturbi alimentari. Il consiglio è di rivolgersi al proprio medico o ad uno specialista del settore.
2) Evitare di rivolgersi a professionisti non esperti nella diagnosi e cura dei disturbi alimentari, solo team specializzati o sanitari competenti afferenti a diverse discipline possono prendere in carico con modalità multidisciplinare queste gravi patologie. I disturbi alimentari sono malattie mentali gravi che intaccano in modo importante la salute psichica e fisica della persona, alterandone la sfera sociale e relazionale. I comportamenti alimentari anomali più frequenti in queste malattie sono: la restrizione (ridurre drasticamente l’alimentazione, come nell’anoressia nervosa); l’abbuffata (come nel disturbo da alimentazione incontrollata) e l’utilizzo di pratiche per compensare le calorie assunte, come il vomito autoindotto, l’abuso di farmaci e l’eccessivo esercizio fisico (come nella bulimia nervosa). Si tratta di malattie mentali complesse, che attraverso un malessere fisico esprimono un disagio psicologico, e purtroppo in tempo di pandemia Covid la loro incidenza tra i giovani è aumentata. Da notare che, tra i disturbi mentali, sono quelli con il tasso di mortalità più alto tra i giovani. L’approccio ai disturbi alimentari deve prevedere il coinvolgimento di differenti figure (psichiatri/neuropsichiatri infantili, medici con competenze nutrizionali, internisti, pediatri, endocrinologi, dietisti, psicologi, infermieri, educatori professionali, tecnici della riabilitazione psichiatrica e fisioterapisti), coinvolte nei diversi ambiti sanitari di competenza, in coordinamento e in un lavoro condiviso nelle differenti fasi di cura. Il trattamento non è infatti limitato all’aspetto nutrizionale ma deve comprendere anche il versante psicosociale, con l’appoggio di centri specializzati.
3) Non incoraggiare un uso estensivo e indiscriminato di integratori vitaminici e minerali come fattori preventivi delle neoplasie e della patologia cardiovascolare. L’abitudine dell’utilizzo di integratori vitaminici e minerali per una presunta prevenzione di patologie oncologiche o cardiovascolari è estremamente diffusa, in particolar modo in Italia, con una spesa non indifferente a carico dei cittadini. Tuttavia sono disponibili solide e recenti evidenze scientifiche che non hanno documentato un reale effetto protettivo sul rischio oncologico relativo a numerose neoplasie derivante dall’utilizzo di supplementi nutrizionali di micronutrienti. La supplementazione della dieta con integratori vitaminici e minerali non produce nemmeno benefici nella prevenzione delle malattie cardio-vascolari né sulla mortalità per tutte le cause nella popolazione generale. La vera prevenzione efficace è quella rappresentata dalle corrette abitudini di vita: sana alimentazione (che viene trattata nella raccomandazione 5), attività fisica, astensione dal fumo e limitazione dell’uso di alcolici. In più, se si assumono integratori è molto importante comunicarlo ai medici durante le visite perché possono alterare i risultati di esami di laboratorio anche in modo rilevante.
4) I soggetti obesi di qualsiasi età non devono essere colpevolizzati. Lo stigma dell’obesità peggiora la condizione di chi ne è affetto. Questa raccomandazione riguarda l’approccio alle persone obese da parte sia delle altre persone sia delle istituzioni e degli operatori sanitari. In entrambi i casi colpevolizzare i soggetti obesi può avere un impatto negativo sulla loro salute fisica, psicologica e sociale tanto più che appartengono spesso a categorie fragili. Quando lo stigma proviene da istituzioni e operatori sanitari può avere anche effetti negativi sulla accessibilità, appropriatezza e qualità delle cure: la persona affetta da obesità deve essere accolta e trattata con la dignità ed il rispetto che si ha per tutte le altre patologie.
5) Non seguire regimi dietetici ad impronta occidentale con elevato impatto ambientale. Solo modelli alimentari salutari (healthy diets) come, ad esempio, la dieta mediterranea possono garantire la salute fisica degli individui e del pianeta. La raccomandazione riguarda l’impatto dei modelli alimentari non solo sulla nostra salute, ma anche su quella dell’ambiente. Il cibo ha infatti un peso sulle risorse ambientali, in termini di consumo di acqua, suolo, energia, oltre che di produzione di gas, acidificazione ed eutrofizzazione. Le “diete occidentali” (ricche di alimenti raffinati, grassi animali, zuccheri e povere di fibra) sono quelle che comportano il maggior peso ambientale, oltre ad essere quelle che favoriscono la comparsa di malattie metaboliche, cardiovascolari, oncologiche. Viceversa, “diete salutari” (a prevalente base vegetale – cereali integrali, legumi, verdure, frutta – con buon contenuto di pescato, apporti moderati di carni – preferendo quelle bianche alle rosse – e con grassi vegetali) hanno il vantaggio di essere protettive per la salute degli individui e maggiormente rispettose delle risorse impiegate per la produzione degli alimenti da consumare. Riducendo il consumo di carne e aumentando quello di frutta, verdura, cereali integrali, legumi e pesce apportiamo dunque importanti benefici sia alla nostra salute sia a quella del pianeta (co-benefici).
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Se aspettavo che il medico mi proponesse il digiuno intermittente, a quest’ora ero morto. Per fortuna l’ho provato, nonostante tutti gli “esperti” lo sconsiglino (come in questo caso, parlando genericamente di “digiuni”). Perché siete così fissati con delle linee guida che evidentemente non si riescono a rispettare, quando la soluzione è a portata di mano? Suggerimento: smettetela di parlare di calorie e cominciate a parlare di ormoni.
Il digiuno intermittente è uno dei tanti modi per assumere meno calorie. Si ha meno tempo per mangiare.
“Tuttavia sono disponibili solide e recenti evidenze scientifiche che non hanno documentato un reale effetto protettivo sul rischio oncologico relativo a numerose neoplasie derivante dall’utilizzo di supplementi nutrizionali di micronutrienti.”
E allora perché continuano ad essere pubblicizzati e venduti?
Non seguire le dieta senza? Ma che significa?
Quindi è sbagliato seguire un alimentazione senza vino (che contiene alcol etilico)?
E’ sbagliato seguire un alimentazione senza pasta o pane raffinati?
Senza carne?
Esistono cibi che fanno male sempre e comunque come fanno male le sigarette anche se ne fumi una.
Ci sono cibi che fanno più male di altri e cibi che fanno decisamente bene.
Ciò non toglie che uno può comunque decidere di concedersi un bicchiere di vino o un fiore di zucca fritto!
L’importante è saperlo proprio come per le sigarette. Per avere fonti certe, è meglio rivolgersi a chi parla con studi scientifici alla mano ma non il singolo studio finanziato da chi ha interesse ad ottenere un certo risultato. Studi che derivano da review e meta-nalisi ossia studi secondari che mediano i risultati di decine o centinaia di studi su quel cibo o abitudine alimentare. Si trovano ad esempio su http://www.nutritionfact.org