
L’olio di pesce è una star assoluta, presente in decine di prodotti, dai supplementi che ne contengono elevate concentrazioni ad alimenti veri addizionati. Ma, al tempo stesso, è anche al centro di polemiche e accuse, perché la domanda esasperata alimenta il business dell’acquacoltura e si porta dietro impatti ambientali devastanti. Il tutto per effetti che, secondo alcuni, sono esasperati ad arte dal marketing, che fa pressione anche sui medici. Il risultato è un continuo aumento delle vendite, che ha già portato il mercato globale a oltre 3,1 miliardi di dollari e le previsioni sono in crescita.
Qual è la verità? Come si deve considerate questo alimento che contiene acidi grassi polinsaturi come gli omega-3, vitamine, sali minerali? Per dare una risposta il più possibile basata su ciò che ha dimostrato la scienza, il Guardian ha chiesto aiuto ad alcuni esperti. Ecco le risposte.
La storia
Tutto ha avuto origine con uno studio di Steve Nissen, un famoso cardiologo della Cleveland Clinic, uscito nel 1985 sul New England Journal of Medicine in cui si suggeriva una relazione inversa tra assunzione di olio di pesce e mortalità cardiovascolare in base a una ricerca condotta su circa 850 uomini seguiti per venti anni. Secondo i dati, la cui raccolta era iniziata negli anni sessanta, chi aveva consumato circa 30 grammi di pesce al giorno aveva avuto un rischio di morte inferiore del 50% rispetto a chi non mangiava pesce, o ne consumava saltuariamente.
In più, secondo Nissen, chi aveva una dieta a base di pesce stava generalmente meglio. Tuttavia, probabilmente i benefici non erano solo dovuti al pesce. Infatti, questi soggetti quasi sicuramente mangiavano meno carne rossa degli altri ed è stato dimostrato in molte ricerche che gli amanti del pesce in generale hanno uno stile di vista più sano ed è più attento alla salute.
Lo studio ha dato il via a centinaia di ricerche di vario tipo, che non sono mai riuscite a dimostrare, senza ombra di dubbio, che vi sia un effetto benefico, tranne nel caso di trigliceridi alti o patologie cardiache preesistenti.

Benefico per il cuore?
Per questo le linee guida sono chiare: chi non ha condizioni di rischio molto specifiche non dovrebbe assumere omega-3. Una metanalisi del 2018, condotta dai ricercatori del circuito Cochrane, che valutano tutto ciò che esce in letteratura scientifica (ammettono all’analisi solo gli studi migliori dal punto di vista statistico e poi rendono note le loro indicazioni), ha concluso che non c’è alcuna prova sugli effetti positivi rispetto alle malattie cardiovascolari, agli ictus e al rischio di morte in generale. Un anno fa un altro studio ha dimostrato che possono essere dannosi proprio per il cuore aumentando il rischio di infarto e ictus, per chi non ha una patologia preesistente, mentre possono aiutare chi ne ha una.
Indagini sulle formulazioni a elevata concentrazione avevano già messo in evidenza che queste possono aumentare non poco il rischio di trombi, ictus e fibrillazione atriale. Non a caso nel 2020 una sperimentazione clinica su oltre 13.000 cardiopatici è stata interrotta per gli stessi motivi: nessun effetto positivo e un aumento significativo di fibrillazione atriale. Tra l’altro, ci possono essere effetti collaterali immediati come i disturbi di stomaco, l’eruttazione e il retrogusto di pesce in bocca.
Come se non bastasse, secondo un test effettuato su una sessantina di prodotti venduti negli Starti Uniti ma, in molto casi, in tutto il mondo, un prodotto su dieci ha rivelato livelli di ossidazione superiori ai limiti raccomandati, cioè era rancido.

Ingredienti misteriosi dell’olio di pesce
Gli acidi grassi omega-3 possono arrivare dall’olio di pesci come acciughe, salmoni, aringhe e sardine. L’unica altra fonte naturale sono le alghe. Tra i prodotti che li contengono, i più diffusi sono le capsule molli. Le quali, rientrando tra gli integratori, possono contenere anche altre sostanze, non sempre specificate adeguatamente in etichetta. E questo, di per sé, complica la valutazione dei possibili effetti sulla salute.
Ma, soprattutto, gli integratori con olio di pesce o anche solo con omega-3 risentono dello stesso limite di tutti gli integratori: non riescono a riprodurre i benefici che si possono ottenere con i pesci interi. Anche se in vitro gli acidi grassi, da soli, riducono l’infiammazione e agiscono positivamente sul profilo dei grassi del sangue, nelle persone non si ottiene mai lo stesso risultato. Probabilmente, contano sia altri elementi presenti nelle carni che la cottura o comunque la preparazione, ma mangiare un piatto di acciughe non è come prendere una capsula.
Inoltre, ogni supplemento commerciale contiene concentrazioni di omega-3 e degli altri componenti eventualmente presenti differenti, e questo spiega perché, negli anni, i risultati degli studi siano sempre stati contraddittori. Per potersi esprimere, bisognerebbe condurre ricerche approfondite con persone in diverse situazioni di salute per ciascun integratore, supplemento, o alimento fortificato. Solo così si potrebbe stabilire se esistono una dose e una tipologia efficaci o se si tratta solo di marketing.
Cosa fare invece
Secondo alcuni esperti intervistati dal Guardian, chi ha una malattia cardiovascolare deve discutere con il proprio medico sull’opportunità di assumere o meno olio di pesce o supplementi e integratori con omega-3. Tutti gli altri possono mangiare più pesce, inserendolo in una dieta bilanciata e sana. In questo modo possono ottenere benefici, risparmiare e non contribuire all’impatto ambientale associato all’olio di pesce.
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Giornalista scientifica
Mi manca un pezzo. Sulla base di quale protocollo i medici saprebbero come modulare o consigliare gli omega tre?
Trattazione a livello “elementari”…
Non si fa cenno al fatto che gli Omega3 vengano assunti -più che per cuore, colesterolo, trigliceridi, principalmente per l’effetto anti-infiammatorio sistemico, che dopo i 50 anni risulta essere preponderante e determina un effetto a cascata di fenomeni patologici. Il dottor Camillo Ricordi nei suoi articoli in rete e nelle sue conferenze ne parla estesamente.