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C’è un nesso specifico tra convivialità e benessere psicologico, che si vede – pur con sfumature diverse – a prescindere dalle possibili variabili quali età, sesso, numero di commensali, tipo di pasto, cultura gastronomica, paese di provenienza. Eppure la si pratica sempre di meno, a causa dei cambiamenti sociali in corso da tempo in tutto il mondo, accentuatisi durante la pandemia.

È un punto di vista molto particolare quello del capitolo tre del Rapporto sulla felicità nel mondo redatto dall’Università di Harvard, dallo University College di Londra, dall’Università di Oxford insieme con la società di analisi di mercato Gallup, perché evidenzia appunto il ruolo dei pasti insieme ad altre persone conosciute (amici, partenti) come promotori di benessere, e la sua evoluzione negli ultimi due decenni, che accompagna i grandi cambiamenti di questo primo quarto di secolo.

Uno spaccato del mondo intero

Nel documento sono presentate le analisi delle risposte di oltre 150.000 persone di tutte le età e condizioni sociali, residenti in 142 paesi, raccolte tra il 2022 e il 2023. I questionari, nello specifico, invitavano a formulare una valutazione sulla soddisfazione rispetto alla propria vita, e a raccontare le proprie abitudini fino nei dettagli, allo scopo di capire quali, tra queste, potesse avere influenza sull’umore.

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Mangiare abitualmente con altre persone conosciute ci rende più felici

Per quanto riguarda la soddisfazione, intesa come parametro indiretto della “felicità”, il giudizio poteva andare da zero (la peggiore vita possibile) a dieci (la migliore).

In generale, si è vista sempre una relazione tra il fatto di mangiare abitualmente con altre persone conosciute e la felicità: chi lo fa, ottiene sempre punteggi superiori. E infatti, il benessere assicurato dalla convivialità ha una forza non molto inferiore a quella data da un buon livello salariale, ed è più rivelatore (sempre sul livello di soddisfazione di una persona) rispetto alla condizione lavorativa.

Un panorama variegato

Il paese più “felice” è risultato essere, in assoluto, la Finlandia, seguita dalla Danimarca, ma sono emerse anche significative differenze tra un paese e l’altro.

L’area del mondo nella quale è più radicata l’abitudine a condividere i pasti è quella dell’America Latina e dei Caraibi, dove ancora oggi due terzi due terzi di pranzi e cene settimanale (pari a nove) avvengono in compagnia di amici e parenti. A seguire si segnalano l’Europa occidentale, in Nord America, l’Australia e la Nuova Zelanda, paesi nei quali le persone condividono, in media, poco più di otto pasti settimanali. In coda alla classifica si trovano invece i paesi dell’Asia meridionale, dove i residenti affermano di pranzare con qualcuno di conosciuto meno di quattro volte alla settimana, mentre i paesi dell’Estremo Oriente lo fanno, sempre in media, sei volte. Ci sono poi paesi dove l’abitudine si è quasi persa come la Corea del Sud, il Giappone e la Mongolia dove il numero di condivisione settimanali scende a uno-due a settimana.

Nel Regno Unito (paese di provenienza dei coordinatori dello studio), i pasti condivisi sono 7,5 a settimana, con una media di 4,2 cene e 3,3 pranzi.

Mangiare insieme o da soli?

Per andare più a fondo, e capire meglio come le abitudini stiano evolvendo, gli autori hanno analizzato il caso degli Stati Uniti e, a tale scopo, si sono serviti delle risposte contenute nell’American Time Use Survey, un sondaggio pubblico che descrive in tempo quasi reale come i cittadini statunitensi impiegano il tempo, analizzando in particolare i dati che coprono il periodo compreso tra il 2003 e il 2023.

In questi venti anni, la probabilità di mangiare da soli, per gli americani, è risultata crescita, soprattutto tra i giovani. Oggi, più di un americano su quattro (il 26%) dichiara di aver mangiato da solo tutti i pasti il giorno precedente: un valore aumentato del 53% rispetto al 2003. Tra le persone più mature, poi, si vede l’incremento di entità maggiore, anche se il tasso di crescita più rapido è quello che si è determinato dopo il 2018 tra gli under 35.

Secondo gli autori, il cambiamento fa parte di un logoramento generale del tessuto sociale e della vita di comunità che caratterizza il paese, e che potrebbe essere stato accelerato a causa del cambiamento delle abitudini dovuto alla pandemia.

Le persone sono più sole, anche quando invecchiano, e lo si vede da come mangiano. Ma questo contribuisce alla loro infelicità, e non poco.

La conclusione degli autori non può quindi che essere un invito a tenere in maggiore considerazione questi aspetti, cercando di valorizzare il più possibile il momento dei pasti condivisi, che apportano benefici a tutte le età, e in ogni situazione.

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