Da gennaio 2025 è entrata in vigore una legge che estende alla frutta secca (oltre alla frutta a guscio anche agrumi essiccati, uve secche, banane, fichi secchi) l’obbligo di indicarne l’origine in etichetta. La norma prevede una sola eccezione: i datteri. Per questo motivo nei supermercati come Esselunga e Iperal si trovano datteri, coltivati nei territori Palestinesi occupati illegalmente dagli israeliani, che non riportano sempre chiaramente l’origine, rendendo difficile fare una scelta consapevole.
Il consumatore non dev’essere ingannato
Non per tutti prodotti è così. In Europa la regola è semplice: se un prodotto proviene da un insediamento israeliano in Cisgiordania deve essere scritto nero su bianco sull’etichetta. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) il 12 novembre 2019 ha deciso che i prodotti alimentari originari dei territori occupati da Israele devono riportare in etichetta la dicitura del territorio (West Bank/Cisgiordania) affiancata dalla scritta “insediamento israeliano” e non basta semplicemente la frase “made in Israel”. Molti insediamenti illegali della Valle del Giordano per aggirare la legge confezionano datteri coltivati nei territori occupati in stabilimenti registrati ‘in Israele’, facendo sembrare israeliano ciò che non lo è.
La Corte ha espressamente riconosciuto che la corretta etichettatura è necessaria per consentire scelte di acquisto rispettose non solo di considerazioni sanitarie, economiche, ambientali o sociali, ma anche di considerazioni di ordine etico o attinenti al rispetto del diritto internazionale.
La triangolazione dei datteri
In realtà la norma non viene rispettata e il controllo sull’origine non è una priorità rispetto ad altri controlli sanitari o fiscali che vengono fatti alle frontiere. D’altro canto le aziende che operano negli insediamenti evitano l’etichettatura corretta per non subire boicottaggi o perdere i dazi preferenziali (che l’UE nega ai prodotti dei territori occupati illegalmente). Per questo motivo si ricorre a etichettature generiche o si utilizza il codice postale di una sede logistica israeliana non situata negli insediamenti.

Per tornare ai datteri, i Medjoul sono quelli più pregiati e buona parte di essi proviene dai territori occupati della Cisgiordania da Israele. Il problema, quando si arriva davanti al banco del supermercato, è: come riconoscere i datteri israeliani? Per evitare errori la cosa migliore è comprare solo quelli che indicano chiaramente l’origine. In genere si tratta di Egitto, Marocco, Tunisia, Arabia Saudita. Quando l’origine non c’è, oppure non è indicata sul frontespizio con caratteri tipografici ben visibili, ci sono buone probabilità che i datteri siano israeliani.
Due diligence? Non pervenuta
C’è però un altro punto critico. Le linee guida OCSE e i Principi ONU sul Business e i Diritti umani dicono che un’azienda deve evitare filiere che contribuiscono economicamente a soggetti coinvolti in violazioni gravi del diritto internazionale. Questo contributo può anche essere indiretto, per esempio può avvenire tramite la logistica.

E qui si arriva al nodo della questione: tutte le esportazioni dalla Cisgiordania, anche quelle dei produttori palestinesi certificati, dipendono dalla logistica israeliana. I varchi sono controllati da Israele, i camion devono passare per aziende israeliane, e i container viaggiano quasi sempre via porto israeliano. In pratica: anche il dattero “equo e solidale”, perfino quello venduto come progetto etico, genera comunque valore economico a favore di soggetti legati all’occupazione. Quindi acquistare questi datteri comporta il rischio di complicità indiretta che la due diligence europea non può ignorare.
Nel Regno Unito il tema è affrontato frontalmente: già nel 2009 il governo chiedeva ai retailer di distinguere “Palestinian produce” da “Israeli settlement produce”. Nel 2012 la catena Co-operative Group ha smesso di rifornirsi da aziende coinvolte negli insediamenti. E dal 2024/25 otto retailer inglesi — da Tesco ad Aldi — sono finiti sotto diffida legale: ai direttori è stato ricordato che vendere prodotti provenienti da insediamenti può configurare responsabilità personale.

Una filiera sporca
In Italia, Coop commercializza datteri palestinesi di Gerico e dichiara apertamente anche la rotta logistica via Israele. Ma alla luce degli standard internazionali di due diligence, anche una filiera come questa non può essere considerata pienamente ‘neutra’: finché la logistica resta in mano israeliana, una quota del valore generato — trasporto, servizi, porti — continuerà a sostenere l’economia dell’occupazione.
L’esportazione dei datteri può sembrare cosa di poco conto ma per i coloni, affiancati dall’esercito, che hanno occupato illegalmente il territorio e continuano ogni giorno a rubare le terre e le risorse ai palestinesi, si tratta di un business importante. Il boicottaggio non fermerà i coloni ma è un piccolo strumento in mano a tutti i consumatori. Resta l’indifferenza delle catene di supermercati come Esselunga, Iperal, Unes, Lidl, Coop che propongono confezioni di datteri israeliani a fianco di datteri senza indicazione dell’origine, ma probabilmente provenienti dai territori occupati. Per fortuna sugli scaffali si trovano anche datteri coltivati in Egitto, Tunisia, Marocco e Arabia Saudita che indicano in modo chiaro l’origine (vedi foto sotto). Poi ci sono confezioni di datteri marchiate Ventura e Noberasco che vendono entrambe le tipologie (vedi foto sopra).



© Riproduzione riservata. Foto: Depositphotos, Il Fatto Alimentare

Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24




Oggi come oggi questa informativa è una vera necessità. Sicuramente come essere certi della provenienza di tanti altri prodotti nazionali ( arance, limoni, mandarino, pistacchi, pomodori, avocado, etc etc) una richiesta che dovrebbe diventare una modalità di vita quotidiana e di consumo consapevole. In primis viene, o dovrebbe, venire il consumo di prodotti locali, quindi regionali infine italiani. La globalizzazione non ha migliorato la nostra società e vita, al contrario l’ha appiattita e abbruttita. Perché acquistare agrumi provenienti poi da Terre devastate da odio e ingiustizia? Bagnate dal sangue dei legittimi abitanti? In sintesi: sì allo “scambio” di prodotti o merci assenti o non del nostro paniere. No, senza se e senza ma, a prodotti uguali provenienti da altri stati di cui abbiamo già una nostra produzione. No, fortissimamente no, da chi quei “pompelmi” li ha “rubati” ai legittimi contadini.
Sottoscrivo parola per parola; ne va anche della nostra dignità.
Sottoscrivo tutto, ma faccio notare che quasi sempre (per non dire sempre) i “prodotti uguali provenienti da altri stati di cui abbiamo già una nostra produzione” di cui parli, sono importati perché non c’è abbastanza produzione interna né interesse ad investire e sviluppare queste produzioni.
E il motivo non è il disinteresse dello stato o simili, ma la scarsa redditività di queste produzioni e/o un livello qualitativo che non corrisponde alle necessità o al portafogli del consumatore.
Il discorso sarebbe lungo e non mi dilungo oltre, ma basta navigare un po’ sul web per rendersi conto delle diverse situazioni.
Grazie per l’informazione è l’impegno. Sperando che ci siano sempre più persone e professionisti che operino in questo mondo. Grazie!!!
….. bell’articolo che rivela bene da che parte stia il Fatto Alimentare e che ora faccio circolare; personalmente amo molto i datteri ma non li voglio colmi di zucchero aggiunto come son quelli tunisini e dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo….. cosa siano e da dove provengano i deliziosi Medjoul che son perfettamente naturali l’ho scoperto man mano da me ed ora non mangio datteri…..
Sarebbe ora che gli stessi supermercati rifiutassero prodotti provenienti da Israele con o Senza triangolazioni e senza se e senza ma! Mi chiedo perché la Russia è stata sottoposta a sanzioni e ad Israele non è stato fatto nulla! Non voglio sostenere Putin ma ho l’impressione che ci sia un trattamento notevolmente diverso da parte della politica occidentale
Se non ricordo male, per la guerra intrapresa dalla Russia, l’UE ha deciso delle sanzioni.
molte sanzioni
A parte il discorso israeliano, credo che l’origine degli alimenti oggi sia una necessità, per far si che il consumatore possa fare le sue scelte e sapere cosa sta acquistando. Personalmente io ho la necessità di sapere da dove viene l’alimento e se è italiano anche la zona specifica di origine. Io , per esempio , ho smesso di acquistare i funghi porcini secchi, mi è stato detto dal negozio che per legge non c’è l’obbligo di indicarne l’origine. non credo sia giusto.
Io non li compro da Israele, comunque anche altri prodotti li compro solo italiani, il mercato lo facciamo noi. Abbiamo tutto nel nostro territorio! Grazie!
Domanda: pensando ai datteri Coop di cui si sa chiaramente (lo pubblicizza la Coop stessa) che sono coltivati in Palestina e poi affidati alla logistica israeliana, è vero che quest’ultima genera valore per gli occupanti ma come farebbe una cooperativa palestinese a esportare altrimenti? non è boicottando i datteri Coop si danneggiano di più i palestinesi degli occupanti?
Il discorso è delicato ma le regole dicono che gli occupanti non devono trarre profitto dal lavoro degli occupati. Per il Sud Africa Nelson Mandela invitata a boicottare tutti i prodotti del Paese
Per sicurezza non acquisterò datteri, posso farne a meno. Grazie per l’articolo
Grazie di tutte queste indicazioni. Ora sarò più oculato nell’acquistare i datteri.
questo articolo è molto importante x noi consumatori
grazie per queste informazioni, che non avevo
Da sempre datteri tunisini…. e quanto ai pompelmi della nota marca, non entrano in casa mia da almeno trent’anni.
Bravi
Grazie ancora per il vostro dettagliatissimo articolo sui datteri che segue quello di tempo fa sulla frutta secca. Io sono attentissimo all’origine di questi ed altri prodotti , compresi pompelmi e avocado, e boicotto tutto quello che proviene da Israele. Mi auguro vivamente che i lettori de Il fatto alimentare facciano la stessa cosa.
Io sono un grande consumatore di datteri medjoul e tuttavia da diversi mesi ho smesso di comprarne perché tutti quelli che si trovano o sono senza indicazione d’origine o sono d’origine israeliana, come riportate nell’articolo. Però, mi chiedo, quanto danno sto facendo anche ai poveri produttori della cisgiordania che magari potrebbero avere qualche ridotto ricavo dalla vendita, seppur attraverso lo sfruttamento della logistica israeliana. Sarebbe utile questa valutazione, in modo da garantire qualche entrata anche ai produttori palestinesi. Intanto continuo il boicottaggio, seppur con un po di amarezza.
Grazie
Potrebbero essere acquistati, per chi non può farne a meno, i datteri provenienti da coltivazioni di altri paesi, oppure, per non perderci la testa e la vista nel leggere l’etichetta, sostituire le proprietà organolettiche e i sali minerali, in essi contenuti, consumando altri tipi di alimenti quali: banane, lenticchie, albicocche, pomodori e mille altri ancora, altrettanti buoni e gustosi.
buongiorno, la Conad commercializza i datteri Medjoul senza indicare la provenienza, ma solo l’azienda italiana che li confeziona. A chi ci si rivolge in questo caso? Faccio riferimento alla normativa. citata nell’articolo e mando una lettera alla direzione di Conad? Esiste una associazione consumatori a tutela? grazie
Per i datteri non è obbligatorio indicare l’origine in etichetta
Io acquisto solo datteri freschi israeliani.
In primo luogo, sono contraria al boicottaggio di Israele e credo che, attualmente, sia sui palestinesi che si debba far pressione per giungere alla pace.
In secondo luogo, i datteri secchi mi disgustano e non ho mai trovato datteri freschi che non venissero da Israele.
Districarsi in questa jungla si entra sempre più complicato!! Grazie cmq dell’ info, comprerò datteri tunisini, marocchini o egiziani.
Buon lavoro!