Stabilimento di produzione in etichetta: secondo il tribunale la legge è inapplicabile. Vittoria per Dario Dongo contro l’ex viceministro Oliviero
Stabilimento di produzione in etichetta: secondo il tribunale la legge è inapplicabile. Vittoria per Dario Dongo contro l’ex viceministro Oliviero
Roberto La Pira 11 Gennaio 2019La giudice Angela Salvio della diciottesima sezione civile del tribunale di Roma, ha dato torto all’ex viceministro Andrea Olivero il quale – oltre ad avere querelato per diffamazione l’avvocato Dario Dongo, esperto di diritto alimentare – ha presentato ricorso al giudice civile per ottenere la rimozione di un suo articolo. Dongo, in un articolo pubblicato sul sito da lui diretto Gift, aveva affermato l’illegittimità del decreto legislativo 145/17, mediante il quale è stato tardivamente reintrodotto in Italia l’obbligo di indicare sulle etichette lo stabilimento di produzione degli alimenti. La conseguenza è che d’ora in poi le aziende che non riportano sulle confezioni il luogo di produzione non possono essere sanzionate.
Non è la prima volta che Dario Dongo segnala su Great Italian Food Trade la non applicabilità di leggi italiane non notificate a Bruxelles, oltre a denunciare comportamenti scorretti, sia da parte della politica e della pubblica amministrazione, sia di operatori economici.
Prima di entrare nel merito della questione, va detto che l’avvocato Dario Dongo è sempre stato ed è tuttora un forte sostenitore dell’indicazione obbligatoria della sede dello stabilimento sulle etichette di tutti i prodotti alimentari. Si tratta di un’informazione essenziale alla “salvaguardia e la valorizzazione del made in Italy nel mondo”. Tale notizia permette ai consumatori di scegliere con ragione di causa i prodotti Made in Italy, che fanno bene all’economia del Paese e all’occupazione, oltreché alla salvaguardia delle nostre filiere. L’indicazione dello stabilimento serve anche ad accelerare i tempi di intervento in caso di ritiro del prodotto dal mercato.
L’avvocato Dongo con Great Italian Food Trade, insieme a Il Fatto Alimentare di cui è co-fondatore, ha richiesto più volte al Ministero dello sviluppo economico di notificare alla Commissione europea la norma che già dal 1992 in Italia prevedeva l’obbligatorietà di questa dicitura sulle etichette dei prodotti alimentari Made in Italy. Ma tale norma è invece decaduta il giorno dell’applicazione del regolamento UE 1169/2011, il 13 novembre 2014, proprio a causa dell’inedia dell’allora ministra Federica Guidi. Abbiamo anche promosso insieme una petizione su change.org. Ma soltanto tre anni dopo, nel 2017, il governo ha provato a reintrodurre l’obbligo della dicitura sullo stabilimento di origine in etichetta, con il decreto legislativo 145/17. Ma lo ha fatto in modo maldestro, senza rispettare le regole UE che prescrivono la notifica preventiva a Bruxelles di ogni progetto di norma nazionale relativa alla produzione e commercio delle merci.
L’esito della vicenda si conclude davanti al giudice che constata “l’inapplicabilità della normativa interna e la non opponibilità ai privati”. In altre parole le imprese alimentari possono disapplicare la norma senza incorrere nel rischio di sanzioni, e soprattutto i pubblici ufficiali e gli incaricati di pubblico servizio hanno dovere di disapplicarla in quanto appunto contraria al diritto UE. Secondo quanto stabilito da consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia. Il decreto legislativo 145/17 è incostituzionale. Molte aziende hanno comunque deciso di mantenere l’indicazione della sede dello stabilimento sulle etichette all’insegna della trasparenza nei confronti del consumatore. Una scelta che tutti apprezziamo.
Ha vinto la giustizia, contro la tracotanza di politici che hanno creduto di poter calpestare le regole per finalità di propaganda elettorale, illudendo i consumatori e gli operatori sulla presunta vigenza di norme illegittime. E hanno vinto i diritti all’informazione autentica e critica.
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[sostieni]
Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
Qual è la differenza tra un viceministro ed un esperto?
Che il secondo sa quello che dice.
Grazie dell articolo, in genere sembra che la politica possa tranquillamente sbeffeggiare la legge
Articolo piuttosto controverso. Tralasciando l’inadeguatezza del viceministro, la conclusione non mi sembra rosea per i consumatori italiani visto che le imprese alimentari possono disapplicare la norma.
Forse il problema oltre al viceministro è questa UE zelante? Perchè omettere il vero problema?
Scusate ma non ho capito bene….se non c’è l’obbligo di applicare la legge non mi sembra che noi consumatori abbiamo vinto, anzi…..
Il problema è la superficialità del governo che, quando poteva pretendere il mantenimento dell’indicazione dello stabilimento sulle etichette nonostante ci fossero anche due petizioni che lo invitavano a farlo non lo ha fatto, salvo poi tornare sulle decisioni due anni dopo seguendo un metodo scorretto che ha vanificato il tentativo.