Cozze contaminate da virus epatite A. Il ministero lancia un’allerta e invita a non consumare il prodotto che però non è più in vendita da 10 giorni
Cozze contaminate da virus epatite A. Il ministero lancia un’allerta e invita a non consumare il prodotto che però non è più in vendita da 10 giorni
Roberto La Pira 5 Marzo 2015Il Ministero della salute ha diffuso ieri un comunicato per segnalare la presenza del virus dell’epatite A e di Norovirus in alcuni lotti di mitili confezionati in retine di plastica provenienti dallo stabilimento Irsvem di Bacoli (Napoli). Il numero di riconoscimento dello stabilimento riportato sulle confezioni è CE IT 2 CDM. In realtà i virus sono stati trovati su campioni di mitili provenienti dall’allevamento situato tra Punta Cento Camerelle e Punta del Poggio che fa riferimento a Mitilimontese Soc. Coop Mitilicoltura che alleva cozze e le invia all’Irsvem per la depurazione prevista.
Per dovere di cronaca va precisato che i virus dell’epatite A e i Norovirus non devono essere presenti nelle cozze, e che il processo di depurazione non ha certo la funzione di eliminare i virus. Le autorità sanitarie della Campania, dopo avere ricevuto l’esito delle analisi, hanno attivato il sistema di allerta.
Abbiamo chiamato il centro di depurazione Irsvem che ha confermato l’avvenuto ritiro e il richiamo dei lotti, precisando però che le operazioni risalgono al 24 febbraio, e che dopo questa data le autorità sanitarie hanno bloccato la distribuzione anche di altri lotti provenienti dall’intero specchio d’acqua in cui operava sia la Mitilimontese, sia altre società limitrofe.
Il blocco tuttora è in corso, per cui da 10 giorni circa le cozze allevate in quello specchio d’acqua non vengono raccolte. Considerando che le cozze devono essere vendute ancora vive e che resistono al massimo 3/4 giorni dal momento della raccolta, è ragionevole ipotizzare che in giro non ci siano più mitili contaminati. Secondo il Ministero l’allerta è stata lanciata perché una seconda serie di analisi ha confermato la presenza di virus in altre aree del medesimo specchio d’acqua. C’è da chiedersi perché, considerando la gravità del rischio per i cittadini, il Ministero della salute abbia aspettato quasi 10 giorni per avvisare i cittadini a non consumare i mitili eventualmente acquistati. In attesa dei risultati della revisione di analisi che sono in corso, sarebbe utile capire se il numero di virus riscontrati nelle cozze sia effettivamente in grado di provocare l’epatite A nell’uomo.
Roberto La Pira
Le persone interessate possono leggere questa presentazione firmata dall’Osservatorio regionale sicurezza alimentare della Campania, ricco di consigli e di indicazioni sulle modalità di acquisto e consumo dei frutti di mare.
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Foto: iStockphoto.com
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
Ma non si era detto che i virus non resistono al calore e che basta una normale cottura per distruggerli tutti?
Certo ma questo non è un buon motivo per permettere la vendita di cozze con Norovirus e con il virus dell’epatite in concentrazione elevata
Certamente, comunque io le cozze le mangio cotte e quindi non penso di essere a rischio.
E’ meno male che gli specchi d’acqua dove ci sono le colture sono state dichiarete sane dall’arpac.
Ma perchè dell’all’erta delle ostriche importate col Norovirus non è scritto da quale stabilimento di depurazione o allevamento francese provengono e invece delle cozze meridionali, in dispregio alla stessa normativa, Reg 852/CE ne date anche lo stabilimento dove sono state confezionate.
Il Fatto Alimentare pubblica le informazioni che ha verificato e quando ne è a conoscenza, il nome dell’azienda che effettua il ritiro e l’immagine del prodotto. Nel caso delle cozze italiane è stato lo stesso Ministero a segnalare il nome dell’azienda e dello stabilimento, e noi lo riportiamo, come facciamo sempre, che il prodotto sia italiano, svedese o francese. Purtroppo a volte, anche dopo lunghe indagini, non riusciamo a risalire al nome del prodotto e dell’azienda. Molti Stati pubblicano i nomi delle marche i cui lotti sono oggetto di ritiro, richiamo o allerta. L’Italia non è tra questi; cioè neanche a noi è dato sapere di che prodotti si tratta. Abbiamo chiesto più volte alle catene di supermercati e al Ministero che questi dati fossero resi pubblici.