frutta imperfetta

Gli antichi greci lavavano i fichi in acqua di mare, per poi farli seccare al sole. Nella Cina medievale i limoni e le arance erano ricoperti di cera. Nel Giappone del quindicesimo secolo il conservante per la verdura era il latte di soia. Nell’Inghilterra del sedicesimo secolo quello più usato era il lardo. Ogni tradizione alimentare, nel corso dei secoli, ha affrontato e risolto a modo suo il problema che si presenta quando c’è un eccesso di produzione rispetto al consumo: come conservare i prodotti più deperibili e anche, fino a poco tempo fa, quelli più strettamente associati alle stagioni e al tempo meteorologico, ossia la frutta e la verdura. La questione è risolta solo in parte, se è vero ciò che afferma la Fao, che le emissioni associate agli alimenti sprecati ancora oggi sono, in un anno, dieci volte quelle emesse da un paese come il Regno Unito.

In cima alla classifica degli alimenti peggiori ancora una volta c’è la carne, perché le emissioni per ottenerla sono di gran lunga superiori a quelle associate a frutta e verdura (buttare via una bistecca da 100 grammi è come emettere 10 kg di CO2 equivalente*), ma i vegetali battono qualunque altra categoria alla sfida del peso: ogni anno se ne buttano non meno di mezzo miliardo di tonnellate. Questo spiega perché rinunciare alla plastica ( il metodo di conservazione più usato insieme ad agenti chimici come il cloro, l’acqua ossigenata o il fosfato trisodico), non sia sempre la scelta vincente, se si considerano solo gli impatti ambientali. La protezione che assicura si traduce in uno spreco molto minore, come ha dimostrato uno studio svizzero sui cetrioli. Il risultato è stato che il beneficio, in termini di impatto ambientale, derivante dalla preservazione di frutta e verdura (che non viene sprecata) è cinque volte quello che si avrebbe non producendo l’involucro, anche se, naturalmente, per quanto riguarda la plastica, ci sono numerosi altri problemi legati al suo impiego.

Cucumber on wooden background
Rivestire con una pellicola di plastica i cetrioli dà benefici ambientali superiori all’impatto del packaging, sotto forma di spreco alimentare evitato

Ma i consumatori di diversi paesi chiedono che si vada oltre i sistemi tradizionali, si rinunci sia alla plastica sia ai metodi chimici, e per questo negli ultimi anni le risposte provenienti dal mondo della ricerca sono state numerose. Lo ricorda la BBC, che in un lungo articolo fa il punto su alcune delle tecnologie più promettenti, a partire dai rivestimenti commestibili per frutta e verdura, quasi sempre ricavati da altri scarti alimentari. Tra le sostanze più interessanti vi sono la fibroina del baco da seta, il chitosano dei crostacei, la gomma di anacardo, la gelatina di pesce, le proteine del fieno greco, quelle della soia, la cellulosa e vari derivati delle alghe. Tutte queste molecole, nelle diverse formulazioni proposte, applicate spruzzandole o spennellandole sulle superfici di frutta e verdura, oppure immergendoci l’alimento, hanno un compito più difficile di quanto si potrebbe pensare. Devono  ridurre la perdita di umidità preservando il colore e l’aroma, senza impedire del tutto gli scambi di gas, perché altrimenti si  potrebbero innescare  fermentazioni anaerobiche.

Su tutte le proposte, una delle più interessanti è senza dubbio quella del chitosano; secondo uno studio recente, un rivestimento composto da chitosano e proteine del siero del latte (proveniente dagli scarti delle lavorazioni casearie), applicato sulle fragole, ne allunga la shelf life del 60%, a circa 4°C. Secondo un’altra ricerca la sostanza, unita ad alcuni derivati delle alghe, permette ai pomodori di rimanere freschi per 30 giorni dopo il raccolto.

Per quanto riguarda le aziende, secondo la BBC una delle più avanti è la statunitense Apeel Sciences, che propone rivestimenti derivati da oli vegetali che raddoppiano la shelf life. Nel Regno Unito sono utilizzati da Tesco in via sperimentale per gli agrumi, perché si tratta di frutti che devono essere  sbucciati prima del consumo, e questo permette di non violare le  severe normative europee e britanniche sui rivestimenti edibili. L’olandese Liquidseal punta invece sugli alcoli polivinilici, applicati a mango e avocado venduti nel Regno Unito. Quindi, anche in questo caso frutti con una buccia spessa, non edibile.

Nel Regno Unito la catena di supermercati Tesco vende agrumi con un rivestimento derivato dagli oli vegetali

Un altro ambito in grande sviluppo è quello dei nanomateriali, cioè in particelle del diametro di un millesimo di millimetro, che presentano caratteristiche particolari. Le dimensioni permettono alle particelle di migliorare le performance funzionali del rivestimento. Per esempio, una miscela di chitosano e nanoparticelle di argento, applicata su fragole lasciate a temperatura ambiente, ha permesso la comparsa di muffe solo nel 10% dei frutti, contro il 100% di quelli non trattati, mentre una miscela di nanoparticelle di argento con alginato ha preservato delle carote appena tagliate per 70 giorni. 

Oltre ai rivestimenti le nanoparticelle possono entrare a far parte della composizione delle plastiche alimentari, oppure dei sensori che si iniziano a introdurre per ottimizzare la shelf life. Com’è noto, tuttavia, le nanoparticelle presentano non pochi problemi per quanto riguarda la tossicità, conosciuta solo in parte. Per esempio, quelle di ossido di zinco e quelle d’argento sono state associate, nei modelli animali, a danni al fegato e ai reni, come è accaduto per quelle di biossido di titanio, ora vietate in molti paesi. Anche se il rilascio da plastiche che ne contengono è considerato minimo, sono sostanze da utilizzare con cautela, almeno fino a quando non ci saranno più informazioni.

Infine, c’è chi punta sulle armi biologiche come i batteriofagi, ossia i virus che, in natura, hanno come bersaglio i batteri. Come l’americana Intralytix, che li vende già negli Stati Uniti, Canada e Israele, o come la Micreos che offre batteriofagi per le verdure a foglia larga, i broccoli e le carote. I batteriofagi presentano diversi vantaggi: sono innocui per gli esseri umani, versatili (se ne possono realizzare di diverso tipo, a seconda del batterio da combattere), costano poco e aiutano ad abbattere la quantità di fitofarmaci utilizzata. 

Ci sono poi molti studi su metodi quali l’ozonizzazione, l’acqua attivata dal plasma freddo, gli ultrasuoni e le batteriocine (sostanze antimicrobiche prodotte dai batteri), la luce pulsata (che sembra capace anche di far aumentare la concentrazione di alcune molecole ad elevato valore nutrizionale nelle piante) e altro ancora. Com’è ovvio, non tutto supererà le fasi della sperimentazione e tutte le difficoltà legate a una produzione su larga scala. Tuttavia, per i rivestimenti tradizionali in plastica il destino sembra segnato da soluzioni che dovranno necessariamente dare un contributo maggiore di quelle odierne al contenimento degli sprechi di frutta e verdura.

(*) Nota: La CO2 equivalente (CO2e) esprime l’impatto sul clima di una certa quantità di gas a effetto serra rispetto alla stessa quantità di anidride carbonica.

© Riproduzione riservata Foto: AdobeStock, Fotolia

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giuseppe altieri
23 Febbraio 2023 20:54

l’unico modo per evitare inquinamento e distruzione planetaria collegata allo spreco agroalimentare è l’organizzazione dei mercati di vendita diretta dei rpodotti freschie biologici (congengono più elementi nutritivi e si conservano conseguentemente anche di più). Alimenti che si conservino per il giusto periodo, altrimenti frutta e verdura perdono gran parte delle vitamine (a cosa serve un pomodoro che si conserva per 6 mesi se alla fine rimangono solo acqua e sali minerali scarsi?) La plastica dev’essere abolita nel settore agroalimentare, in quanto rappresenta l’80% dei rifiuti urbani e rurali ed alimenta ecomafie del riciclaggio e dell’incenerimento, avvelenando mari acque e terra, aria… con le nanoplastiche ormai nel sangue di tutti gli esseri viventi… L’ipiego dei materiali ecologici come cellulosa (es da canapa, pianta sacra per salvare il Pianeta), carta e legni sottili, insieme ai microbi utili antagonisti dei patogeni da conservazione e, soprattutto, le catene del freddo su piccola scala (celle frigorifere on farm per gli ortofrutticoltori alimentte con energie rinnovabili) per creare una rete tra produttori biologici che possa raggiungere i diversi mercati diretti in città come in campagna, anche con consegne domiciliari. Facciamo attenzione agli oli vegetali che irrancidiscono, alle nanoparticelle, metalliche, nanoplastiche, etc, che concentrano anche residui di pesticidi aggravando le situazione tossicologica…
L’Agroecologia è l’unica via: riconversione della zootecnia industriale verso il biolgico al pascolo e agricoltura senza pesticidi chimici recuperando biodiversità e consociazioni agroecologiche e agroforestali, eliminando la gran parte dei gas serra molto più pericolosi della co2, metano, ossidi di N e ammoniaca, fissandoli nell’humus dei terreni e contribuendo alla tutela dal dissesto idrogeologico. Giuseppe Altieri, Agroecologo 3474259872