La comodità premia le insalate in busta: ma a che prezzo?
La comodità premia le insalate in busta: ma a che prezzo?
Rossella Ardizzone 28 Luglio 2025Sicuramente pratica nella gestione del tempo, i consumatori scelgono sempre più spesso l’insalata in busta. I prodotti di IV gamma non sono solo comodi, ma sono spesso anche sostenibili, grazie alle pratiche adottate durante la fase produttiva: impianti fotovoltaici, tecniche agricole a basso impatto ambientale, ridotto consumo idrico, niente pesticidi. Inoltre, gli scarti di lavorazione, seguendo i principi dell’economia circolare, vengono destinati per lo più all’alimentazione animale. Sicuramente anche nella gestione casalinga, il prodotto di IV gamma ha un impatto ambientale più contenuto: le verdure già lavate e porzionate generano un risparmio di acqua, riducendo gli scarti al consumo.
La qualità microbiologica delle insalate in busta
Le insalate in busta rientrano nella categoria dei prodotti pronti al consumo, ossia quelli che non necessitano di cottura o di altre lavorazioni per eliminare o ridurre i microrganismi a livello accettabile, secondo il Regolamento CE n. 2073/2005 della Commissione Europea. Nel caso delle verdure a foglia pronte, queste vengono commercializzate già lavate in sacchetti sigillati e destinate al consumo crudo. Per avere un’adeguata qualità microbiologica, sono importanti le condizioni e le modalità di coltivazione, lavaggio, insacco, stoccaggio, trasporto e distribuzione.
Azzerare il rischio microbiologico nelle insalate pronte è statisticamente irrealistico, come evidenziato da un articolo pubblicato su Trends in Food Science & Technology (From farm to fork: contaminanti fungini e batterici e loro diagnosi nelle fasi di produzione delle insalate pronte al consumo) a cui hanno partecipato anche ricercatori e ricercatrici del CNR e del CREA. La contaminazione potrebbe infatti avvenire in una o più delle fasi della catena di produzione, tuttavia, con lo sviluppo di nuove tecnologie, il mercato delle insalate può ridurre e gestire meglio il rischio prima che arrivino sulla tavola del consumatore.
I fattori di rischio
Le tecniche di coltivazione fuori suolo, come le colture idroponiche, per esempio potrebbero ridurre i rischi da contaminazione microbiologica rispetto ai sistemi convenzionali poiché avvengono in un ambiente controllato in cui le piante non entrano in contatto con i letami animali e si riduce il rischio di malattie e parassiti. Tuttavia non bisogna sottovalutare i potenziali contaminanti veicolati dall’acqua, il fattore più critico, soprattutto nei sistemi a ricircolo dove la contaminazione può avvenire più rapidamente rispetto alla coltivazione convenzionale nel suolo.

I principali fattori di rischio nella produzione di verdure a foglia pronte sono la temperatura (trasporto, lavorazione, stoccaggio), l’acqua (qualità, servizi igienico-sanitari), le attrezzature (progettazione, stato igienico) e l’igiene del personale. La temperatura durante le fasi di lavorazione e stoccaggio in genere è di 4-5°C, per garantire la data di scadenza di 7 giorni dopo il confezionamento. Da non sottovalutare il mantenimento della catena del freddo, che va rispettata sino all’arrivo del prodotto nei nostri frigoriferi. È infatti consigliabile, durante il trasporto dal supermercato a casa utilizzare una borsa frigo e conservare il prodotto in frigorifero ad una temperatura di 6/8°C.
Perché gli italiani scelgono le insalate in busta
Ma quali sono gli aspetti che direzionano la scelta del consumatore? Come rilevato in un’indagine commissionata ad AstraRicerche dal Gruppo Prodotti Ortofrutticoli di IV Gamma di Unione Italiana Food, pubblicata a settembre 2024, che ha evidenziato, tra gli altri, i principali motivi della scelta di acquisto: risparmio di tempo, comodità, praticità nel consumo fuori casa, porzionamento, e riduzione dello spreco.
Le dinamiche che guidano le scelte degli italiani si rivelano così coerenti con i risultati dell’ultimo Behavior Change Report di YouGov, secondo cui quasi due italiani su tre (64%) credono che le proprie scelte di consumo abbiano un impatto reale sulla società. Per gli italiani, rispetto alla media europea (44%), comprare è un atto civico.
I prezzi delle insalate fresche
Ma vediamo cosa è cambiato negli ultimi anni da un punto di vista economico. Nel 2023 avevamo pubblicato un articolo facendo una comparazione dei prezzi tra il prodotto fresco e quello imbustato in un supermercato di Ferrara. A distanza di due anni, abbiamo fatto un giro nei supermercati di Milano (Carrefour, Esselunga e Ipercoop) per vedere i prezzi delle insalate in busta.
Le quotazioni del prodotto fresco a Milano, aggiornate a maggio 2025 dall’Osservatorio Prezzi e Tariffe, ci dicono che l’insalata lattuga romana ha un prezzo medio di 3,02 €/kg, l’insalata Iceberg di 3,22 €/kg mentre il radicchio rosso di Treviso costa in media 5,17 €/kg. In un0Esselunga di Milano il prezzo, rilevato il 20 luglio 2025, dell’insalata romana fresca è di 1,78 €/kg mentre la lattuga iceberg costa 1,48 €/kg.
I prezzi delle insalate in busta
Ma vediamo il prezzo del prodotto confezionato. Al Carrefour, la linea Bio Belle e pronte di Terra e Vita in confezioni da 100 grammi ha prezzi variabili: la valeriana costa 17,90 €/kg, il songino 21,90 €/kg, la rucola a 23,90, e l’insalata Rustichella costa ben 27,20 €/kg (confezioni da 125 grammi).
All’Esselunga, la linea a marchio del supermercato Naturama va dal bis di lattuga a julienne venduta a 6,60 €/kg, alla rucola a 9,90 (confezione da 200 grammi). I Cuori di lattuga della linea Esselunga hanno un prezzo di 9,90 €/kg, mentre i prodotti della linea Esselunga Bio (confezioni da 125 grammi) costano di più: l’insalatina 13,20 €/kg, la misticanza 15,84 €/kg.
All’Ipercoop troviamo la linea Bonduelle da “Agricoltura sostenibile”, con il Gran mix gustoso ha un prezzo di 14,90 €/kg, e l’insalata lollo 13,52 €/kg. Troviamo anche il songino e il lattughino della linea Bonduelle “Residuo zero di pesticidi” entrambi a 14,90 €/kg. Invece il songino e la misticanza bio della linea Ortobellina costano entrambi 11,50 €/kg.
Il confronto
Da questi esempi è abbastanza evidente la differenza tra il prodotto sfuso e il prodotto confezionato: un cespo di lattuga ha un prezzo inferiore ai 2 euro al chilo mentre il prodotto confezionato varia dai 10 euro al chilo, per arrivare ai quasi 28 euro al chilo. Inoltre è evidente l’aumento di prezzo dal 2023 a oggi: due anni fa si andava dai 7,92 €/kg per lattughino, agli 11/14 €/kg per le insalate certificate bio, che oggi al Carrefour hanno un prezzo che va dai 17,90 ai 27,90 €/kg.
Nonostante l’aspetto economico, i numeri ci dicono che il consumo dei prodotti di IV gamma è aumentato, come evidenzia un’elaborazione di Unione Italiana Food su dati di NielsenIQ, che ha rilevato la crescita dei numeri nel consumo di insalate in busta.
Sulla scelta sembra prevalere la comodità, responsabile, nel periodo gennaio-maggio 2025, di un aumento delle vendite dei prodotti di IV gamma, che hanno superato i 440 milioni di euro. Le verdure hanno prodotto un fatturato di 422 milioni (+2,3% rispetto all’anno precedente), mentre la frutta ha totalizzato 17 milioni di euro, con una crescita del 7%.
Ma noi consumatori quanto siamo consapevoli della differenza di prezzo esistente tra i due prodotti e, se ne fossimo coscienti, sino a che punto metteremmo ancora davanti all’economia domestica la comodità?
© Riproduzione riservata Foto: Depositphotos, Rossella Ardizzone





A ciò aggiungerei la constatazione che nei supermercati anche l’insalata fresca è spesso già confezionata in buste di plastica. Da una parte, hanno imposto per legge i sacchetti biodegradabili, naturalmente a spese (oltretutto gonfiate) dei consumatori. Dall’altra, i venditori hanno la libertà di usare tutta la plastica che vogliono (il cui smaltimento, naturalmente, è a spese dei consumatori). Che addirittura un’insalata biologica possa essere venduta nella plastica rivela il cortocircuito del processo di greenwashing.
non per fare pubblicità, ma io compro l’insalata in busta (di carta) di Planet Farms e mi trovo bene. La quantità è anche giusta così evito sprechi.
Preferisco l’insalata sfusa (soprattutto radicchio verde e rosso che durano più a lungo) , i supermercati offrono sempre meno varietà a tutto vantaggio di quella confezionata, proposta in diversi mix, che ormai ha riempito interi scaffali. Meno sprechi? E tutti i sacchetti di plastica in più utlizzati per confezionarla? I cicli di lavaggio? Cosa sono se non spreco? Alla fine si mangia solo fibra priva di ogni microelemento minerale.
Paragonare il prezzo dello sfuso direttamente a quello della versione in busta è un po’ riduttivo e non dà una un’idea reale delle differenza di prezzo al momento del consumo: nelle sfuso bisogna considerare gli svariati litri di acqua necessari per il lavaggio a casa nonché il lavaggio stesso del cestello per scolare l’acqua, lo scarto delle le foglie rovinate e la parte centrale.
In questo modo la forbice di prezzo si riduce sensibilmente e si può così dare anche un valore più corretto al tempo che decidiamo di “salvare” scegliendo la versione in busta e pagando di più.
Inoltre se compro insalata sfusa mi ci vuole sempre e comunque un sacchetto di plastica per portarla a casa e un guanto per prenderla dalla cesta, o più di uno di entrambi se voglio fare un mix.
Tutti sanno che quella in busta è più costosa ma lo spreco è ridotto a zero e la praticità si paga ovunque.
No io ho un sacchetto di tela di cotone, lavabile, riutilizzabile da anni, prendo verdura fresca,in confezioni di carta biodegradabile, che viene riciclata.
Domanda complessa: fattori di scelta soggettivi determinanti: praticità: il tempo è denaro; incidenza del costo del trasporto: a parità di quantità trasportata; inquinamento; sprechi da calcolare, igiene… ma non solo
Leggo con attenzione tutto facile da comprendere. Grande e ottimo lavoro
BRAVISSIMI