Coldiretti: 3 prosciutti su 4 da cosce importate. Serve l’etichetta di origine. Silenzio sulla frode dei prosciutti Parma e San Daniele
Coldiretti: 3 prosciutti su 4 da cosce importate. Serve l’etichetta di origine. Silenzio sulla frode dei prosciutti Parma e San Daniele
Roberto La Pira 14 Novembre 2019Il presidente di Coldiretti Ettore Prandini ritiene sia giunto il momento di “conoscere l’origine degli alimenti e dire finalmente basta all’inganno di prosciutti e salami fatti con carne straniera ma spacciati per Made in Italy”. La cosa è urgente perché “oggi tre prosciutti sui quattro venduti in Italia sono fatti con cosce di maiali provenienti dall’estero, all’insaputa dei consumatori e facendo concorrenza sleale agli allevatori nazionali.”
Il concetto è anche condivisibile, deve però essere chiaro che in Europa tutti i salumi e i prosciutti tranne quelli Dop, possono essere preparati con la carne di suini allevati e cresciuti in qualsiasi Paese. Premesso ciò, non bisogna farsi grandi illusioni. Se la proposta andrà avanti, il consumatore potrebbe trovare sui salumi una scritta che dice se è stata usata carne di maiali allevati in “Ue” o in paesi “Extra Ue”.
Coldiretti e l’origine della carne
La questione sollevata da Coldiretti sulla mancata indicazioni dell’origine della carne che non permette ai consumatori di individuare i salumi stranieri è però un finto problema. Quando i produttori usano carne di maiali allevati in Italia lo indicano sempre con un certo risalto sull’etichetta. La legge lo permette e i salumifici e le aziende alimentari quando vogliono essere trasparenti lo scrivono, per cui non servono nuove leggi.
L’aspetto che forse interessa di più i consumatori è la qualità dei salumi, e questo non compare sull’etichetta. Prandini dovrebbe sapere che la qualità non è correlata all’origine dei maiali, ma alla genetica, al modo in cui sono stati allevati, al taglio di carne utilizzato, al processo di lavorazione e alla stagionatura. Per cui ben venga l’etichetta di origine anche per la carne di maiale, ma si tratta di un particolare che non certifica nulla di veramente importante sulla qualità. Lo dimostra lo scandalo di Prosciuttopoli che ha interessato oltre 1 milione di cosce di maiale destinate a diventare prosciutti di Parma e di San Daniele.
Secondo i dati pubblicati nel rapporto 2018 dell’Icqrf del Mipaaf la frode ha interessato prosciutti Dop per un valore complessivo di 80 milioni di euro. Nella vicenda sono stati coinvolti centinaia di allevatori e di aziende agricole (molte associate a Coldiretti). Sul caso sono state emesse le prime condanne da parte della procura di Torino, mentre sono in corso indagini a Pordenone, Parma e Cremona. Di fronte a questo scandalo considerato uno dei più eclatanti negli ultimi anni è calato un silenzio imbarazzante da parte della filiera e dei consorzi che hanno cercato di “contenere” le notizie, trincerandosi dietro no comment e stringatissime quanto generiche “dichiarazioni”.
Coldiretti ignora Prosciuttopoli
La stessa Coldiretti che diffonde un paio di comunicati stampa al giorno, sembra non essersi accorta di Prosciuttopoli, dedicando alla vicenda poche righe. Probabilmente per Coldiretti è più importante il problema dell’etichetta di origine dei salumi rispetto a uno degli scandali alimentari più gravi degli ultimi 20 anni per il “made in Italy”. La vicenda ha infatti interessato solo prosciutti provenienti da cosce di animali nati, cresciuti, macellati e stagionati in Italia, ottenuti da una filiera costituita da aziende “made in Italy”. Se, come dice Coldiretti, il 93% degli italiani vuole conoscere l’origine della carne di maiale utilizzata per i salumi, è molto probabile che il 100% non ami essere preso in giro da aziende italiane che hanno usato maiali di genetiche vietate, inadatti a essere impiegati per i prosciutti Dop.
Prosciutto cotto 100% italiano
Per capire quali sono le vaschette di prosciutto cotto preparato sicuramente con carne 100% italiana bisogna osservare attentamente l’etichetta. Quello veramente «Made in Italy» ottenuto da animali allevati in Italia si individua subito perché sulla confezione (e sovente anche nella pubblicità) viene evidenziato questo aspetto con diciture del tipo “100% carne italiana”. In genere la frase è affiancata dall’immagine di una bandiera italiana o da un disegno con il tricolore (*)
Le foto sotto mostrano alcune vaschette di prosciutto cotto: Citterio, Conad, Coop ed Esselunga che indicano in modo chiaro l’origine della carne. Da queste immagini si capisce quanto sia superata dai fatti la norma proposta da Coldiretti.
Prosciutto made in Italy
Nei banchi frigorifero dei supermercati ci sono molte vaschette di prosciutto cotto che riportano in evidenza l’immagine del tricolore affiancato dalla scritta “Made in Italy”. In questo caso l’indicazione può trarre in inganno, perché l’italianità è riferita al processo di lavorazione e alla ricetta tradizionale, non alla materia prima che tendenzialmente è importata. Tutto ciò è possibile e legale perché il Regolamento europeo permette di scrivere “Made in Italy”, quando il prodotto ha subito l’ ultima trasformazione sostanziale nel nostro Paese.
Le foto sotto mostrano alcuni esempi di etichette dove la scritta “Made in Italy” molto probabilmente si riferisce solo alla modalità produttiva. Le marche sono state scelte a caso, perché molti salumifici e anche molte catene di supermercati propongono ai consumatori sia vaschette di prosciutto cotto preparato sia con carne italiana sia con carne importata.
(*) L’indicazione dell’origine non è obbligatoria per la carne di maiale trasformata come nel caso del prosciutto cotto, mentre ci sono regole precise per la carne fresca, refrigerata o congelata. La norma generale sulle etichette però prescrive che le diciture non devono trarre in inganno il consumatore, per cui le scritte sulle etichette che fanno riferimento alla carne italiana, sono lecite quando la carne proviene da animali nati, allevati e macellati nel nostro Paese. Questo perché le diciture generano la legittima aspettativa, nel consumatore, di trovarsi di fronte a un alimento derivato da animali nati, cresciuti e macellati in Italia.
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
Ammettiamo che si debba evidenziare in etichetta la provenienza del maiale. Ammettiamo anche che la maggior parte dei clienti preferisca che i maiali siano italiani. Qualcuno ha idea di quanti maiali dovremmo allevare in Italia? in che modo? le deiezioni dove finiscono?
Io sarò soddisfatto quando comincerò a vedere prosciutti che partono dai 50 euro al kilo …a crescere.
Difatti importiamo carne di maiale al 35/40% perché non siamo autosufficienti. Al pari delle carni bovine (40%), del grano duro (40%), del grano tenero (60%), del latte (ca. 45%), della soia (90%).
Quanto alle deiezioni, oggi vengono trattate per la produzione di biogas: si produce e si recupera energia, si ottengono ammendanti per il terreno. Possono essere una risorsa se utilizzate bene.
La VERA italianità é ben altra cosa. É inutile che Coldiretti terrorizzi i consumatori nazionali sui prodotti esteri: i maiali sono allevati in forma intensiva in Italia e in Europa, con profili genetici simile e alimentati con mangimi delle grande industria.
I maiali allevati “liberi” e “sereni” sono davvero pochi. Sarebbe l’ora di mangiare meno salumi e insaccati ed essere disposti a pagarli fin anche a 100 euro al kg.
Mangiare meno e meglio….EVO docet
Qui si parla solo di prosciutti di maiale ma avete mai letto il certificato di macellazione della carne bovina esposto per legge nelle piccole macellerie di quartiere,a riguardo della tracciabilità della carne? Bhe basta dare un occhiata e spesso vi trovate:nato in Olanda,allevato in Polonia,macellato in Francia sezionato in Italia, quindi non mi meraviglia più nulla, per mangiare alimenti garantiti bisogna produrli in casa.
La differenza tra maiale italiano allevato e cresciuto per la DOP rispetto ad un maiale estero è sostanziale.
Anche se la modalità di allevamento è la medesima, il maiale italiano (Gran Suino Padano) arriva a pesare alla macellazione 160/180 kg, quello estero generalmente viene macellato tra 90 e 110 kg.
L’altra differenza sostanziale è che la genetica è diversa per cui i maiali allevati all’estero vengono macellati dopo 5-6 mesi circa, mentre quelli italiani destinati alle produzioni Dop devono arrivare minimo a 9 mesi
Come vengono allevati i nostri animali? Ci vogliono dei controlli severi e sanzioni salatissime per chi non si attiene alle normi vigente per quando riguarda tutta la filiera. La nostra salute è compromessa grazie a chi non si fa scrupoli per guadagnare in un modo squallido! Non ci crediamo più al detto “un marchio una garanzia” speriamo che le istituzione si diano una mossa per il nostro bene e il loro!
Tanto chi vuole pagare un crudo 15 euro al kg, anche se gli scrivi “origine Polonia, o Olanda” lo compra lo stesso. Innanzitutto perchè quelli non leggono le etichette, e anche se lo fanno gli interessa solo il prezzo.
Chi vuole qualità sa dove cercare e come cercare.
Come al solito Coldiretti proclama solo FUFFA per scopi di sopravvivenza politica grazie purtroppo a tanti “gonzi” o, piu’ precisamente “interessati a puntare su falsi problemi” per evitare la dura verità di esser rimasti indietro in progresso tecnologico e aver usato male , o distratto, le risorse disponibili (es. contributi CE) utili a mantenere il passo con i concorrenti in termini di costi, e spesso anche di qualità. Coldiretti la smetta con i suoi proclami populisti di distrazione di massa, e si preoccupi della promozione, sul campo e non sui media, di buone pratiche al passo con il progresso e di politiche con obbiettivi di lungo respiro capaci di risolvere i gap dell’agroalimentare, e non di giocare sempre in difesa cercando di tappare buchi non rammendabili.
Mi risulta che “100% italiano “ significa solo che il maiale è stato allevato gli ultimi quattro mesi di vita in Italia , potrebbe essere anche nato e allevato nei suoi primi mesi fuori Italia.. per essere sicuri che sia nato e allevato in Italia ci deve essere scritto: “origine: Italia”, o mi sbaglio?
Queste regole valgono solo per la carne di maiale fresca, refrigerata o congelata.
Quindi non ho capito: su una vaschetta di cotto la scritta “100% italiano” garantisce che il suino da cui è stata ricavata la carne e’ nato allevato e macellato in Italia?
Adriano solo i prodotti dop e doc hanno maiali nati allevati e macellati in italia. il resto del cibo in vendita difficile sia tutto italiano
Esatto..quindi quando leggi “carne italiana” vale quanto hai puntualizzato.
Scusate ma sull’argomento mi sembra facciate un po’ di confusione: un conto è la filiera del crudo un altro quella del cotto.
Se parliamo di un prodotto DOP (crudo di Parma, S.Daniele, Carpegna, Toscano, ecc.), per forza questo deve essere fatto con materia prima italiana, secondo il disciplinare. Diverso è un prodotto non marchiato che può essere fatto o non essere fatto con carni italiane.
Nel P. Cotto non ci sono DOP e la produzione può essere fatta con cosce di qualunque provenienza, ma la qualità non la fa la carne ma la si stabilisce con un parametro tecnologico come è stato definito nel DM 26/09/05 e successiva modifica (P. Cotto AQ – P. Cotto Scelto – P. Cotto). La qualità la fa un produttore lavorando bene la carne, in modo salubre e sicuro.
Da una carne non idonea, di qualunque provenienza, si ottiene solo un prodotto scadente, che sia italiano o estero.
Pertanto noi possiamo avere un P. Cotto di AQ, sia usando carni italiane che carni olandesi, tedesche, ecc.
Diverso è il discorso “prodotto in Italia / Made in Italy”, che secondo il concetto esteso della UE è il prodotto che viene manufatto nel paese, non necessariamente con materie prime del paese.
Qui si inserisce il discorso dell’origine, per cui sarebbe auspicabile che per info al consumatore venisse indicato il paese dell’ingrediente primario, tanto più che secondo me i costi di certificarlo sono già ampiamente considerati nella tracciabilità della carne per cui basta solo modificare l’etichetta. Questo è l’unico argomento a favore di Coldiretti, tanto più che è noto che il nostro paese importa carne di maiale perché non è autosufficiente con la propria produzione (che è destinata prevalentemente ai DOP).
La denominazione “100% carne italiana” è sicuramente di origine Italia, in caso contrario sarebbe una frode in commercio, ma “made in” da solo non ci garantisce la provenienza.
Basterebbe poco per fare una informazione corretta, senza creare confusione. Purtroppo in questo contesto non si inserisce il regolamento europeo che a partire dal 1 aprile 2020, prevede sì la possibilità di indicare l’origine dell’ingrediente primario ma in modo ambiguo. In questo caso plaudo all’iniziativa di Coldiretti che si è fatta carico di raccogliere 1 milione di firme per chiedere alla Commissione di approvare la dichiarazione d’origine per tutte le materie prime.
La confusione tra prosciutto crudo e cotto rientra nei messaggi di Coldiretti.
Va bene, però a maggior ragione andava spiegato.
Non è che se Coldiretti sbaglia (anche se tante volte lo fa “apposta” di sbagliare, almeno questa è l’impressione che si ha), noi abbiamo il dovere di correggerla.
Si tratta ormai di una moda scrivere “prodotto in Italia”, o “allevato in Italia” o “origine Italia”. Addirittura la Coca Cola parla di ricetta italiana, anche se poi dopo aver fatto vedere la classica bottiglietta, così da far credere che beviamo la Coca Cola modificata secondo una ricetta italiana, comincia a parlare più verosimilmente di aranciata e altre bibite; ma ormai anche lei ha introdotto il concetto di prodotto italiano, come prodotto della migliore eccellenza. Se dessimo retta a queste diciture, dovrei pensare che l’Italia avesse almeno un milione di km quadrati di superficie tutta utilizzabile per produrre tutto quello che viene dichiarato 100% italiano.
Ma poi, siamo così sicuri, se fosse vero, che origine 100% italiana significhi automaticamente prodotto di qualità, perfetto, rispettoso delle regole, ecc. ecc.? Io non lo credo assolutamente, e non mi fido più: basta guardare quante truffe, in tutti i campi, e quanti comportamenti illegali sono di “origine in Italia”, per non crederlo. Infatti, di cosa stiamo parlando? di una truffa italiana sui prosciutti crudi 100% italiani!