Coca-Cola Park Lives
Con l’iniziativa Coca-Cola Park Lives lanciata un anno fa in Gran Bretagna,  l’azienda cerca di darsi un’immagine salutistica

A Coca-Cola può bastare un programma di organizzazione del tempo libero per proclamarsi paladina della lotta all’obesità? È questo il ruolo in cui oggi si vorrebbe identificare la multinazionale leader nel mercato di produzione e distribuzione di bevande dolci analcoliche, con l’iniziativa Park Lives lanciata un anno fa in Gran Bretagna. La prima città  coinvolta è stata  Birmingham seguita da Newcastle e dal borgo Newham di Londra. La proposta mira a coinvolgere  i membri della famiglia in attività sportive organizzate in oltre cinquanta parchi dove è possibile fare tai-chi o baseball, zumba o ping-pong, calcio o cricket. Obiettivo: fronteggiare l’epidemia di obesità attraverso l’attività fisica. Una strategia che, negli ultimi tempi, risulta condivisa da diverse multinazionali del junk food, com’è accaduto nel corso degli ultimi mondiali di calcio, durante i quali la comunità scientifica non ha mancato di evidenziare i rapporti compromettenti tra la Fifa e Budweiser, storico produttore statunitense di birra.

 

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L’intento di queste campagne di marketing è spostare il dibattito dal tema della cattiva alimentazione a quello della sedentarietà

L’intento di queste campagne di marketing è spostare il dibattito dal tema della cattiva alimentazione a quello della sedentarietà. Il problema in effetti esiste, ma stupisce che a farsene portavoce sia chi detiene una quota considerevole di responsabilità. Altrettanto preoccupante è il sostegno che Coca-Cola – da tempo autoproclamatasi rappresentante della corretta alimentazione – sta raccogliendo tra gli enti locali. Sul sito istituzionale della borgata londinese di Newham coinvolta nel progetto Park Lives, compare un invito a partecipare, “tra giugno a settembre, a una delle molteplici attività organizzate da Coca-Cola con l’obiettivo di avere un milione di persone fisicamente attive entro il 2020. Recandovi al parco a voi più vicino potrete divertirvi e acquisire uno stile di vita più sano”. Sembra quantomeno discutibile il sostegno che un’istituzione responsabile delle politiche di sanità pubblica abbia riservato a un’iniziativa di marketing di una multinazionale dei soft drink, con tanto di logo ben visibile sul web.

 

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Se Coca-Cola vuole entrare da protagonista nel dibattito della lotta all’obesità, perché non riduce la quantità di zucchero nelle bevande

Al connubio tra politica e multinazionali del cibo, la comunità scientifica sta cercando di opporsi con tutte le sue forze.

«L’azienda vuole chiaramente entrare da protagonista nel dibattito della lotta all’obesità, ma non è questo il modo più efficace per fornire il proprio contributo», ha affermato il medico inglese Margaret McCartney sulle colonne del British Medical Journal, prima di chiedersi «come mai nessun suo rappresentante abbia mai promosso una riduzione concreta della quantità di zuccheri contenute nelle proprie bevande».

 

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Una lattina di Coca-Cola contiene nove cucchiaini di zucchero: ovvero poco meno di quaranta grammi

La domanda è lecita, se si considera che una lattina di Coca-Cola contiene nove cucchiaini di zucchero: ovvero poco meno di quaranta grammi. «Dosi che richiedono una camminata di almeno trenta minuti per essere smaltite», ha puntualizzato la specialista. L’ultimo caso parimenti spinoso che ha visto l’azienda coinvolta in un’azione simile riguarda Vitamin Water, una bevanda descritta come “nutriente” e “idratante” fino allo stop imposto dall’Advertising Standard Authority, l’agenzia inglese che vigila sul contenuto dei messaggi pubblicitari. Il richiamo costrinse la multinazionale a riformulare il preparato con un  taglio del 30% delle calorie. Nella vicenda, trattata nel 2011 in maniera approfondita da tutti i media britannici, Coca-Cola sosteneva che la bevanda era nutriente perché conteneva il cento per cento della quota di vitamina C e un quarto di alcune del gruppo B raccomandate dai nutrizionisti, dimenticando di precisare che mezzo litro conteneva anche 23 grammi di zucchero.

 

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Coca-Cola vuole distogliere l’attenzione dalle proprie responsabilità nell’insorgenza di un’epidemia mondiale di obesità

L’intento dell’azienda, che nel 2006 scelse l’attaccante del Manchester  United Wayne Rooney e sua moglie Coleen per lanciare la Coca-Cola Zero, appare chiaro: «Distogliere l’attenzione da quelle che sono le proprie responsabilità nell’insorgenza di un’epidemia mondiale di obesità», ha affondato il colpo Aseem Malhotra, cardiologo e direttore scientifico del programma Action on Sugar, attraverso le colonne del Daily Mail, su cui l’iniziativa è stata bollata come «oscena e in malafede». «Con Park Lives Coca-Cola può barrare la casella della propria responsabilità sociale di impresa, ma in realtà sta mettendo in atto una politica di pubblicità intelligente», ha concluso McCartney, prima di lanciare un monito alle istituzioni locali: nessun problema ad accettare i contributi – venti milioni di sterline, a tanto ammonterebbe l’investimento dei Park Lives – provenienti delle multinazionali, ma non per questo occorre assicurare in cambio tanta visibilità.

Chi ci assicura, d’altronde, che un paio d’ore di esercizio all’aria aperta rappresentino la soluzione all’epidemia di obesità?

 

Fabio Di Todaro – @fabioditodaro

© Riproduzione riservata

Foto: iStockphoto.com

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antonio pratesi
26 Luglio 2014 09:11

E’ molto importante che voi del Fatto Alimentare continuiate a tenera alta l’attenzione su questo grave problema.
Le multinazionali alimentari sono corresponsabili dell’epidemia di obesità globale (globesity).
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Le istituzioni (politiche, sportive) dovrebbero rifiutare le sposorizzazioni da parte di queste “Company” che mirano a depistare l’attenzione pubblica lontano dalle loro responsabilità.
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I soldi che gli stati “risparmiano” (ad esempio le olimpiadi invernarli di Torino del 2006) con le sponsorizzazioni da parte di queste “Company”, si traducono in una “voragine economica” per curare un esercito di obesi.