A New York, quattro cittadini di chiara origine italiana – Alessandro Berni, Domenico Salvata, Massimo Simioli e Giuseppe Santochirico – hanno promosso una class action contro Barilla, accusandola di pratiche commerciali ingannevoli, perché utilizza scatole che fanno pensare che contengano più pasta di quanta ce ne sia in realtà. L’accusa riguarda la pasta con più proteine, quella integrale e quella senza glutine, che vengono vendute nelle stesse confezioni degli altri tipi pasta, anche se la quantità è significativamente inferiore.
Secondo quanto riferisce il New York Post, nella denuncia si afferma che Barilla gioca sulla familiarità che, dopo decenni di marketing, i consumatori hanno con il formato e la scatola della pasta Barilla, inducendoli in errore, facendo ritenere loro che, se la scatola è uguale, lo sarà anche il contenuto.
In dettaglio, il contenuto della pasta Protein Plus è inferiore del 9,4% rispetto a quella standard, la pasta integrale è inferiore del 17,4% e quella senza glutine del 25%.
I quattro promotori della class action chiedono un risarcimento danni non specificato, sostenendo che, anche se il nuovo peso netto è indicato sulle confezioni, i clienti non sono stati informati che c’è stato un cambiamento nella quantità del prodotto.
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Se sulla confezione sono riportate chiaramente tutte le informazioni, il consumatore deve fare riferimento a quelle, anche se molti non ci fanno attenzione e associano la scatola ad un determinato Peso.
Inoltre, la scelta di acquisto non è mai obbligata.
Sinceramente, l’accusa mi sembra infondata, il mantenimento delle dimensioni della scatola, (nonostante la diminuzione del peso al suo interno) è certamente relativa all’immagine già esistente e presente nella mente di chi acquista ma anche relativa a limiti e difficoltà impiantistiche implicate da un cambio formato.
Alessia
Il problema è che bisognerebbe *sempre* fare attenzione a *tutto*, mentre la maggior parte delle persone che fanno la spesa non ha il tempo di controllare tutte le cose che compra ogni volta. Quindi forse sì, l’accusa può essere infondata ma servirebbe un altro tipo di comunicazione al consumatore finale.
In effetti può esservi benissimo un profilo di ingannevolezza per il consumatore che, compiendo l’acquisto abituale di uno stesso formato di pasta potrebbe essere indotto a credere che la quantità sia la medesima pur variando la composizione del prodotto.
Tra l’altro in vari paesi, e se non sbaglio gli stessi Stati Uniti, l’headspace, ovvero lo spazio vuoto nella confezione, non dovrebbe superare un certo rapporto dellla confezione stessa.
Sono d’accordo con gli amici italo americani, d’altronde questo “giochetto” l’ho visto fare anche in Italia con i panettoni 3, se non erro invece che 1 kg era 750 Gr. in confezione identica, forse impercettibilmente più piccola, comunque fuorviante per il consumatore..
Ma Leggete le etichette bella gente, invece di piagnucolare…
Se il peso è scritto ben chiaro sulla confezione, l’azione legale non si pone. Che cambino marca !
L’accusa alla Barilla mi pare pretestuosa. Ci si attacca ai vetri di un’apparenza che verosimilmente induce in inganno, ma che forse evidenzia altre intenzioni… In realtà il fatto metterebbe a nudo una verità ben più allarmante: è vero che il consumatore è ignorante e si lascia coccolare dalle apparenze? Cosa che, se dimostrata, meriterebbe ben altri provvedimenti che poco hanno a che vedere con le responsabilità industriali, anche se in alcuni casi una certa industria si è resa palesemente complice.
La grande industria della pasta merita altre attenzioni e controlli che nulla hanno a che vedere con la stupidaggine di una “confezione illusoria…”. Sarebbe anche ora che chi acquista impari a leggere.
Insomma.
Premesso che non coinvolgimenti di sorta con Barilla, trovo che gli attori saranno pure d’origine italiana, ma hanno imparato bene come fare un’americanata (a frivolous litigation, se si preferisce).
La confezione contiene il 25% di prodotto in meno di quanto uno si attende?
Tralasciando il fatto che già il picking a scaffale dovrebbe consentire di avvertire lo scostamento tra la coscienza e la realtà, la normativa indica con chiarezza le diciture obbigatorie e le dimensioni con cui devono venire esposte in modo chiaro e intelleggibile.
Una volta che il contenuto netto sia chiaramente indicato a norma della legge varata a tutela del consumatore, a esser biasimevole rimane lo spreco di cartone (a cui l’azienda dev’esser sensibilizzata), ma l’accusa d’ingannevolezza è tutto un altro film.
Le indicazioni in etichetta son lì per informare il consumatore, non per trasmettergli una coinvolgente esperienza estetica.
Cosa dovrebbe fare l’azienda,scrivere “ehi, guarda che contiene davvero le 12 once che ho già scritto, non le 16 che magari tu ti aspetti”?
Farebbe il paio con l’avvertenza “i coltelli possono causare serie ferite” sulla confezione di un coltello e “prestare attenzione quando si estrae l’alimento dal forno. Il contenitore in genere è molto caldo” sul libretto d’istruzioni del forno.
A me non danno la percezione d’esser più tutelato, mi fan sentire considerato un babbeo.
A mio parere i “signori” , molto POCO signori, sembrano a caccia di denaro facile. Le scritte di legge, fra cui non ultimo il quantitativo, in questo caso il peso, obbligatorio in tutto il mondo ed alla base di qualsiasi transazione commerciale. Alla stessa stregua per assurdo confezioni di liquidi alimentari con o senza spazio di testa, e quindi con volumi diversi dovrebbero essere passibili di class action.
Speriamo che i giudici statunitensi non abbocchino ad un tranello così palesemente poco onesto.
personalmente ritengo che, benché la strategia commerciale di Barilla sia alquanto discutibile, non si possa ritenere truffaldina. Del resto confezioni maggiorate rispetto al contenuto, oltreché al maggior materiale utilizzato, sono anche un aggravio di costo di stoccaggio e trasporto per il produttore.
Del resto sono convinto che il vero problema risieda nell’informazione sul reale prezzo dei prodotti. Dall’etichetta-prodotto il consumatore dovrebbe avere l’identica facilità di lettura sia del prezzo finale che del costo al kg (o a litro). Così facendo, le differenze non ben percepibili di peso o di quantitativo offerto non dovrebbero più preoccupare il consumatore. Sotto questo punto di vista, dovrebbero essere i rivenditori finali (supermercati in primis) a migliorare la “leggibilità” dei cartellini dei vari prodotti.
A mio parere, senza giri di parole: Barilla ha fatto una “furbata”.
Ma quanto sostenuto dai promotori della class action, per quanto si può leggere in questo articolo, non ha senso!
Cosa dovevano scrivere? “Attenzione, contiene meno pasta”?!