Nota per le sue proprietà medicamentose fin dall’antichità, la cicoria è stata impiegata nei secoli per molti usi diversi, compreso quello di surrogato del caffè. È ora il momento di rivalutare questo prezioso vegetale dal gusto amaro, i cui effetti curativi sono ormai ampiamente confermati, come si evidenzia in quest’articolo di Giovanni Ballarini, ripreso da georgofili.info.
Tra il 1700 e il 1800 si diffonde in Europa l’infuso di caffè, detto brevemente caffè, bevanda costosa che diviene tipica dei ceti abbienti, mentre le classi inferiori lo sostituiscono con altri infusi dal gusto amaro, ottenuti dalla tostatura di vegetali diversi. Questi sostituti o surrogati del caffè sono quasi d’obbligo nelle cucine degli operai e dei conventi, mentre nelle famiglie borghesi sono destinati ai bambini e alla servitù. I surrogati del caffè sono infusi ottenuti da vegetali tostati e per questo scopo si usano carruba, grano, orzo, malto d’orzo, lupini, ceci, castagne, ghiande, tarassaco spesso associati tra loro, ma soprattutto cicoria, che si coltiva e che cresce spontanea nei campi, dove chiunque può raccoglierla.
L’uso dei surrogati in Italia diviene quasi obbligato durante l’ultima guerra, quando il caffè viene a mancare e lo si trova soltanto al mercato nero. Emblematica è la narrazione nel film Napoli Milionaria (1950), diretto da Eduardo De Filippo, quando Pasqualino Miele, interpretato da Totò, che si guadagna da vivere fingendosi un morto che nasconde alimenti proibiti, va a mangiare e per la sua ‘professione’ può permettersi un caffè-caffè, cioè un vero caffè, e non un suo surrogato. Nel cinema, l’infuso di cicoria è presente anche ne Il Mastro di Vigevano di Elio Petri (1963) quando tra maestri elementari si discute: “In Italia si beve troppo caffè, il caffè con la cicoria è proprio un toccasana, per esempio mia moglie in tempo di guerra ne beveva tanto e mai, mai mal di fegato”.
Se i surrogati del caffè, in particolare quello di cicoria, sembravano un triste e lontano ricordo, stanno invece tornando alla ribalta, soprattutto da quando la ricerca scientifica ne sta dimostrando le favorevoli attività salutistiche. La cicoria comune (Cichorium intybus L.) ha una denominazione che descrive l’origine e la struttura del suo stelo: Cichorium è latino per campo e intybus riguarda la morfologia delle foglie e la struttura dello stelo. Questo antico vegetale di origine mediterranea e dell’Asia centrale ha una lunga storia alimentare e un uso medico che pare risalire alla preistoria.
Nell’antica Roma, in Grecia e in Egitto la cicoria ha un ampio uso medicamentoso e Teofrasto di Ereso, Dioscoride Pedanios, Plinio il Vecchio e Avicenna ne prescrivono preparati per curare disturbi digestivi, visivi e per alleviare il dolore della gotta, mentre nel Medioevo è ampiamente utilizzata per curare l’ittero e la malaria. La cicoria è stata e continua a essere usata usata sia come pianta da pascolo sia come ortaggio coltivato. In quest’ultimo caso, gli impieghi principali sono due: da una parte la cicoria industriale (di cui si utilizza la radice), coltivata principalmente nell’Europa nord-occidentale, India, Africa e Cile per l’estrazione dell’inulina o per la produzione di un sostituto del caffè dal fittone; dall’altra la cicoria Bruxelles o witloof (trad. foglia bianca) varietà industriale europea le cui gemme vengono sbiancate conservandole al buio (è conosciuta in Italia con il nome di indivia belga).
La cicoria ha molte applicazioni come già visto in una precedente nota. Nell’alimentazione umana le radici, le foglie e i fiori sono le parti più popolari per applicazioni culinarie e industriali. L’uso della radice come sostituto del caffè risale al XVI secolo, è attribuita al giardiniere reale Timme di Tubinga e, in Italia, la radice della cicoria, tostata per preparare un infuso terapeutico, sembra sia stata proposta per la prima volta dal Prospero Alpini (1553 – 1617), continuando fino al XVIII secolo con particolare vigore presso le popolazioni più povere e in Europa durante le ultime due Guerre Mondiali.
L’inulina, un polisaccaride presente nelle radici, con la tostatura è convertita in fruttosio e caramello dando alle radici una tonalità scura e un gradevole gusto con una sfumatura amara, ancora oggi usato anche come colorante della birra. Le radici della cicoria, dopo la rimozione della parte del nucleo amaro, servono per la preparazione di zuppe e contorni. Le foglie giovani possono essere utilizzate per le insalate, saltate in padella come gli spinaci.
Fresca e essiccata, la cicoria è comunemente usata per scopi medicinali perché è una delle piante terapeutiche più importanti della famiglia delle Asteraceae. Vari estratti di C. intybus hanno dimostrato una vasta gamma di proprietà biologiche e farmacologiche: anti-iperuricemia, antinfiammatorio e antidiabetico, antinematodale, antiossidante e antiproliferativo, epatoprotettivo e antiprotozoario. La pianta mostra anche proprietà lassative, disintossicanti, tonificanti, purificanti del sangue e antiossidanti. Si osserva anche l’effetto diuretico, attribuito agli acidi fenolici, e i suoi alti livelli di inulina facilitano lo sviluppo e il mantenimento di un corretto microbiota intestinale, conferendo così alla pianta un’etichetta probiotica.
In conclusione, Cichorium intybus L. è una pianta con un grande potenziale che merita un uso più ampio nella profilassi medica e nella fitoterapia. Singole parti, per esempio foglie o fiori, possono essere una preziosa aggiunta alla dieta quotidiana. Gli effetti multiuso dei suoi estratti possono essere una fonte alternativa promettente per l’industria farmaceutica. È inoltre interessante notare anche che la cicoria era tra le piante con potenziale contro Sars-CoV-2, ma sono necessari ulteriori studi, compresi studi in vitro e in vivo, per confermarne le proprietà antivirali.
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Professore Emerito dell’Università degli Studi di Parma e docente nella Facoltà di Medicina Veterinaria dal 1953 al 2002
Finalmente un articolo che spiega e fa conoscere le proprietà di una pianta. Speriamo che ne arrivino altri. Mi è piaciuto
Articolo molto utile e interessante, ma non mi è chiaro se l’indivia belga (che io consumo regolarmente) ha le medesime proprietà della pianta fiorita che descrivete nelle sue varie parti, o meno.
Era (con mio interesse) citata nel vostro articolo della necessità di riscoprire i cibi amari, e di ritrovare l’amaro e i sui benefici nella moderna quotidianità, diciamo, piuttosto “zuccherosa”…