Assortimento di verdure con forme strane su sfondo blu-verde

“Non mangiare nulla che tua nonna non riconoscerebbe come cibo”. Questo il consiglio, diventato celebre, con cui il giornalista Michael Pollan concludeva, nel 2008, il bestseller mondiale Il dilemma dell’onnivoro. Pollan suggeriva di evitare prodotti industriali, che oggi definiremmo ultra processati, per tornare a consumare cibi semplici e freschi.

Quel consiglio potrebbe essere aggiornato, sostituendo alla nonna gli abitanti di Papua Nuova Guinea che, secondo gli autori di uno studio appena pubblicato su Cell, sono il modello cui guardare per avere un’alimentazione corrispondente a quella di un’epoca pre-industriale. Se lo si facesse, secondo i loro dati si avrebbero effetti positivi sulla salute, da molti punti di vista. Gli autori, ricercatori di numerose università cinesi, europee, brasiliane e statunitensi, coordinati da quelli dell’università dell’Alberta, in Canada, ne sono talmente convinti da aver brevettato la dieta, chiamata NiMeTM, da Non-Industralized Microbiome Restore, e da proporla ora come alternativa a quelle definite paleo-, che secondo loro prevedono troppa carne.

I presupposti scientifici

I ricercatori sono partiti da un’osservazione fondamentale: la dieta occidentale e in generale l’alimentazione moderna hanno effetti marcati sul microbiota intestinale. E questo, a sua volta, ha ripercussioni sui livelli di infiammazione, sul sistema cardiometabolico, sull’obesità e su numerosi altri fattori di rischio. Per tornare a mangiare in modo da non danneggiare il microbiota, bisogna quindi imitare l’alimentazione di popolazioni che non hanno accesso ai prodotti industriali come, appunto, quelle di Papua Nuova Guinea. Inoltre, hanno scelto queste popolazioni, in particolare, perché, in base a studi precedenti, il loro microbiota contiene quantità rilevanti di un batterio chiamato Limosilactobacillus reuteri, praticamente assente nel microbiota degli americani. Volevano capire se esso, nello specifico, avesse effetti benefici, e quali fossero le condizioni ideali (cioè gli alimenti giusti) per il suo attecchimento e la sua proliferazione.

Lo studio e la dieta

Per verificare le due ipotesi, hanno selezionato una trentina di canadesi, e hanno chiesto a metà di loro di seguire un regime specifico, chiamato appunto Restore. In generale, in esso il 60% delle calorie proveniva da carboidrati, il 15% da proteine, il 25% da grassi. L’assortimento prevedeva molte verdure, comprese quelle più comuni a Papua quali le patate dolci, i carciofi, i piselli e le cipolle (nel lavoro sono indicate tutte le verdure usate), per un totale di 22 grammi di fibre ogni mille calorie. Oltre alle verdure, nessun tipo di derivato del latte né di carne bovina e neppure di frumento (alimenti che non esistono a quelle latitudini), una porzione piccola al giorno di maiale, o pollo o salmone e quantità minime di ultra processati, se inevitabili.

L’apporto calorico non era diverso da quello assunto normalmente dai partecipanti. L’altra metà continuava a mangiare come sempre. Dopo aver seguito la dieta per tre settimane, tutti dovevano non fare nulla di particolare per altre tre settimane, e poi passare nell’altro gruppo. In parallelo, alcuni di loro hanno ricevuto Limosilactobacillus reuteri o un placebo il quarto giorni della dieta, e quindi ai giorni 4 e 46.

Persona con verdure appena raccolte in un campo dieta
Nella dieta NiMeTM i vegetali svolgono un ruolo cruciale

Alla fine in tutti sono stati controllati i principali parametri cardiometabolici e la presenza del batterio, e il risultato è stato netto.

I risultati della dieta

Dopo sole tre settimane, infatti, si è avuta una piccola ma significativa perdita di peso, attorno all’1,5%, una diminuzione del colesterolo LDL del 17%, un calo della glicemia del 6% e un decremento della proteina C reattiva (marcatore di infiammazione) del 14%.

Per quanto riguarda il microbiota, in chi aveva seguito la dieta Restore si era verificata una diminuzione dell’eterogeneità delle specie, fatto di per sé considerato non positivo, ma in costoro Limosilactobacillus reuteri era abbondante (solo in un partecipante aveva colonizzato l’intestino) e il microbiota era quindi diventato più simile a quello degli abitanti di Papua Nuova Guinea. Probabilmente, questo era stato favorito dalla presenza, in alcune delle verdure, di zuccheri come il raffinosio e lo stachiosio, particolarme adatti alle fermentazioni.

Il messaggio

Com’è scontato, trenta partecipanti sono troppo pochi, e l’attecchimento di una specie nel microbiota richiede più tempo: in assenza di una vera colonizzazione, è molto difficile attribuire a un ceppo un certo effetto. È quindi presto per dire se la NiMeTM si rivelerà vincente, e se Limosilactobacillus reuteri sia particolarmente importante. Tuttavia, alcuni messaggi sono significativi. Per esempio, quello sul ruolo cruciale dei vegetali, in accordo con quanto ben noto rispetto ad altri regimi alimentari quali le diete vegetariane e vegane e quella mediterranea. Poi si conferma indirettamente quanto gli alimenti ultra processati influenzino il microbiota intestinale, al punto da far sparire specie che invece, negli abitanti di Papua Nuova Guinea, sono molto rappresentate.

Infine, proprio per questo emerge un punto di vista relativamente innovativo: la dieta migliore per mantenere la salute dovrebbe partire dal riequilibrio del microbiota, che si può ottenere, forse, anche solo somministrando specifiche specie batteriche, e fornendo loro il giusto substrato per proliferare e lavorare al meglio.

© Riproduzione riservata. Foto: Depositphotos.com

Siamo un sito di giornalisti indipendenti senza un editore e senza conflitti di interesse. Da 13 anni ci occupiamo di alimenti, etichette, nutrizione, prezzi, allerte e sicurezza. L'accesso al sito è gratuito. Non accettiamo pubblicità di junk food, acqua minerale, bibite zuccherate, integratori, diete. Sostienici anche tu, basta un minuto.

Dona ora

0 0 voti
Vota
Iscriviti
Notificami
guest

0 Commenti
Feedbacks
Vedi tutti i commenti
0
Ci piacerebbe sapere che ne pensi, lascia un commento.x