La crescente attenzione per l’ambiente si riflette sulle nostre scelte, anche quando facciamo la spesa. Molti di noi, avendo ormai chiaro che il sistema agroalimentare ha un elevato impatto ambientale, vorrebbero acquistare prodotti più sostenibili, ma è difficile individuarli, perché dietro a ogni alimento, soprattutto quando lo compriamo al supermercato, c’è una storia lunga e, spesso, poco trasparente. Stiamo parlando delle filiere, più o meno complesse, che collegano il cibo dal campo alla tavola.
Ben più drammatica è la previsione, per il 2050, secondo cui la popolazione globale supererà i 9,5 miliardi, ma la disponibilità di cibo è già ora molto incerta per coloro che vivono nelle regioni più soggette a siccità e desertificazione. Secondo l’Indice globale della fame (Global Hunger Index, GHI) curato da Cesvi per l’edizione italiana, nel 2020, 155 milioni di persone nel mondo soffrivano la fame e la situazione è peggiorata rispetto al 2019. Le cause principali sono i conflitti in atto, la crisi innescata dalla pandemia e i cambiamenti climatici. L’obiettivo di azzerare questa piaga entro il 2030, previsto dall’Agenda 2030, pare molto lontano.
È urgente quindi modificare il sistema di produzione alimentare agendo sui rapporti fra i diversi anelli della catena, ma le implicazioni politiche sono enormi e paiono difficilmente superabili. È forse più facile modificare il ventaglio di alimenti coltivati e consumati, per orientarlo verso quelli più sostenibili alle diverse latitudini, aumentando la diversità delle colture e riscoprendo varietà trascurate. Attualmente il 75% del cibo a livello globale proviene da 12 specie di piante e cinque di animali e solo tre specie (grano, riso e mais) forniscono il 60% delle calorie di origine vegetale. Diversificare le diete aiuterebbe a far fronte ai cambiamenti dell’ambiente, oltre a migliorare sia gli aspetti nutrizionali che la fertilità dei suoli.
Il centro ricerche Knorr, insieme al Wwf, ha pubblicato un Rapporto sui 50 alimenti del futuro, quelli da mangiare per salvare il pianeta, coordinato da Adam Drewnowski, direttore del Center for Public Health Nutrition presso la School of Public Health dell’Università di Washington. Il World economic forum, ne ha selezionati sette, che possiamo vedere in un video. Gli alimenti prescelti rispondono ad alcune caratteristiche: per avere un basso impatto ambientale sono stati considerati solo alimenti vegetali, con alto valore nutrizionale e facile accessibilità. Sono inoltre convenienti e accettabili dal punto di vista del sapore. In alcuni casi hanno rese superiori alla media dei prodotti analoghi e in molti casi sono resistenti alla siccità e al caldo.
Fra i 50 alimenti del futuro troviamo diversi legumi: molto nutrienti perché ricchi di proteine, minerali e vitamine del gruppo B, sono importanti anche perché la loro coltivazione arricchisce i terreni in azoto. Le lenticchie, per esempio, hanno un’impronta di carbonio 43 volte inferiore a quella della carne bovina. La soia è un legume molto nutriente, coltivato da 9 mila anni, ingrediente fondamentale della cucina cinese. È una delle principali colture a livello globale, ma i tre quarti della produzione sono destinati a mangime per animali, prima di tutto polli, poi maiali, vacche da latte e bovini da carne. Spostare parte di questa produzione dal consumo animale a quello umano aumenterebbe notevolmente l’efficienza del sistema e permetterebbe di ridurre la deforestazione provocata da questa coltura.
Fra i legumi più insoliti, troviamo il pisello di terra (Bambara beans, Vigna subterranea), coltivato in alcune regioni dell’Africa: la pianta cresce anche in terreni aridi e poco fertili, i legumi maturano sotto terra, come le arachidi, e possono essere utilizzati freschi, oppure essiccati e ridotti in farina. Contengono meno grassi delle arachidi e hanno un profilo nutrizionale interessante, per la loro peculiare combinazione di carboidrati, proteine, fibre, oltre a molte vitamine e minerali.
I cereali e gli pseudo-cereali (piante appartenenti a famiglie botaniche diverse dalle graminacee, ma con caratteristiche di utilizzo simili, come il grano saraceno) sono coltivati in tutto il mondo. Nei Paesi occidentali prevale il frumento, in Sud America il mais, in Asia il riso e in molte regioni dell’Africa il miglio, ma i cereali che potremmo utilizzare sono molto più numerosi. Fra questi, la quinoa e l’amaranto hanno ormai raggiunto una certa notorietà anche alle nostre latitudini, tanto che la forte richiesta di quinoa da parte dei Paesi occidentali ha mandato in crisi, in Sud America, il sistema di produzione tradizionale, sottraendo un alimento fondamentale alle popolazioni locali.
Fra i meno noti ricordiamo il fonio (Digitaria exilis), coltivato in Africa da più di 5 mila anni. È resistente alla siccità e cresce anche nei terreni sabbiosi e acidi, le radici aiutano a consolidare il suolo e prevenire la desertificazione ed è fra i cereali che maturano più rapidamente al mondo. I piccoli semi, molto nutrienti, contengono ferro, zinco, magnesio e fitonutrienti. Il problema è trasformarli in cibo, perché sono rivestiti da una resistente cuticola che deve essere eliminata prima di ridurlo in farina. L’azienda africana Yolélé Foods ha prodotto il primo mulino per fonio, utilizzato per produrre cereale da esportare. Anche il teff è un cereale caratterizzato da un piccolo semino tondeggiante, coltivato da tempo in Etiopia, dove la farina viene utilizzata per preparare il tipico pane injera. È una buona fonte di ferro, calcio, magnesio, manganese e fosforo, si adatta ai cambiamenti climatici, può sopportare sia suoli aridi che inondati, è facile da conservare e resistente agli insetti.
Fra gli ortaggi, il Rapporto Knorr segnala diverse verdure a foglia verde, perché versatili, povere di calorie e ricche di fibre, vitamine e minerali. Troviamo i classici spinaci, adatti ai climi più freschi, ma anche suggerimenti insoliti, come quello di consumare le foglie della zucca, oltre ai fiori, già protagonisti di ricette di casa nostra. Poi bieta e diverse brassicacee, piante della famiglia dei cavoli, note per la loro ricchezza in fitocomposti protettivi: dal cavolo riccio (famoso in USA come kale) ai friarielli, dal pack choi, cavolo cinese dal sapore delicato, al cavolo viola che contiene vitamine e ferro in quantità molto più elevata di suo cugino, il cappuccio verde.
Fra le verdure più insolite troviamo il crescione d’acqua (Nasturtium officinale): preferisce i climi freschi e cresce in suoli umidi o anche immerso nell’acqua, è considerato un superfood per il suo contenuto elevato di antiossidanti, in particolare betacarotene e vitamina C. È molto interessante anche l’okra (o gombo Abelmoschus esculentus), pianta fra le più resistenti al calore e alla siccità. Coltivata principalmente in Asia, ha raggiunto anche il nostro Paese ed è prodotta in Sicilia. Il frutto, verde e allungato, e ingrediente di molte ricette in tutto il mondo, dall’India al Medio oriente, dai Caraibi al Senegal.
Nell’elenco troviamo anche diverse specie di funghi: versatili, facili da coltivare e interessanti dal punto di vista nutrizionale. Dall’oriente in particolare arrivano varietà utilizzate anche nella medicina tradizionale, come i Maitake. Ne abbiamo parlato in dettaglio in questo articolo.
Noci e semi sono considerati superfood per il contenuto di proteine, vitamine e acidi grassi essenziali. Il sapore particolare e la consistenza croccante li rendono adatti a numerosi utilizzi e il noce è forse il più antico albero utilizzato dall’uomo come fonte di cibo. I semi si utilizzano in tutto il mondo tuttavia, fra le tante possibili varietà, molte sono ignorate. I semi di canapa, per esempio, sono molto ricchi dal punto di vista nutrizionale, inoltre la pianta cresce rapidamente in terreni di diverso tipo, non richiede pesticidi o fertilizzanti e può essere utilizzata anche per produrre tessuti, polimeri biodegradabili, carta e biocarburanti.
Rientrano nella rosa degli alimenti da valorizzare anche i germogli. Il loro uso risale a 5 mila anni fa e sono apprezzabili perché durante la germogliazione aumenta notevolmente la ricchezza nutrizionale. I germogli hanno un sapore delicato e si possono gustare crudi oppure cotti. Fra i più noti sono quelli di soia o di fagiolo mungo verde (Vigna radiata), ma si possono ottenere da un gran numero di piante, come l’alfa alfa (erba medica) e i ceci. Bisogna notare che la germogliazione richiede che i semi siano mantenuti alcuni giorni in condizioni calde e umide, rischiose perché favoriscono la proliferazione batterica. Se li produciamo in casa, quindi, è necessaria grande attenzione alle norme igieniche.
Fra i vegetali interessanti rientrano anche diversi tuberi. Il più noto tubero commestibile è la patata, di cui esistono decine di varietà, ma sono coltivate su vasta scala solo pochissime di queste. Fra quelli meno noti, ricordiamo l’ube, o igname viola (Dioscorea alata), pianta rampicante originaria delle Filippine che produce radici commestibili di colore viola e sapore dolce. Pare interessante anche la patata messicana (Pachyrizus erosus), appartenente alla famiglia delle leguminose: contiene più acqua rispetto agli altri tuberi, quindi è meno calorica e più rinfrescante, si utilizza cruda in insalata, stufata oppure fritta, come le patate. La pianta ha una resa elevata e permette di arricchire il terreno in azoto.
Fra gli alimenti più insoliti ricordiamo i cactus e le alghe. I primi sono noti per l’aspetto decorativo, ma si possono anche mangiare. Nel sud Italia è diffuso il fico d’India (Opuntia), di cui consumiamo i frutti; le giovani foglie di questa pianta sono invece ingredienti comuni della cucina messicana, con il nome di nopales. È una fonte alimentare interessante, adatta ai climi caldi, e può anche essere utilizzata come cibo per gli animali. Le alghe, ingredienti che hanno raggiunto le nostre tavole da pochi anni, grazie ai ristoranti orientali, contengono acidi grassi essenziali (in particolare omega 3) e antiossidanti. Le più diffuse, come l’alga Nori e l’alga Wakame, si coltivano facilmente senza bisogno di fertilizzanti e pesticidi.
L’indicazione più importante che possiamo ricavare da questo elenco è la necessità di diversificare le colture, valorizzando le varietà con le caratteristiche ecologiche ottimali nei diversi ambienti. Provare nuovi alimenti è interessante per ognuno di noi, ma senza esagerare con quelli esotici, perché trasportare il cibo da una parte all’altra del globo ha un notevole impatto ambientale.
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Giornalista pubblicista, laureata in Scienze biologiche e in Scienze naturali. Dopo la laurea, ha collaborato per alcuni anni con l’Università di Bologna e con il CNR, per ricerche nell’ambito dell’ecologia marina. Dal 1990 al 2017 si è occupata della stesura di testi parascolastici di argomento chimico-biologico per Alpha Test. Ha collaborato per diversi anni con il Corriere della Sera. Dal 2016 collabora con Il Fatto Alimentare. Da sempre interessata ai temi legati ad ambiente e sostenibilità, da alcuni anni si occupa in particolare di alimentazione: dalle etichette alle filiere produttive, agli aspetti nutrizionali.
Peccato che Knorr stessa usi grasso di palma, in particolare nei suoi dadi Cuor di brodo, che è confermato essere dannoso per la salute umana, ma soprattutto, per l’ambiente, vista la coltivazione selvaggia e decisamente poco amica della biodiversità del luogo, spesso invece distrutta da queste coltivazioni (ma il WWF non si informa con chi collabora…?).
Mah.
Piccolo inciso: l’olio di palma è dannoso per la salute allo stesso modo del burro e altri grassi animali.
La particolarità è appunto avere quaste caratteristiche pur essendo di provenienza vegetale.
Non è che un identico quantitativo di olio di palma fa male e di strutto no…
Lei ha ragione, il problema è che fino a pochi anni fa l’olio di palma era usato ovunque e veniva citato in etichetta come olio vegetale e quindi il consumatore era convinto che fosse un olio con pochi acidi grassi saturi, mentre invece ne ha un quantitativo simile al burro
Vero, d’accordissimo.
Mi sembra però che, nel caso del burro, ultimamente sia stato rivalutato in positivo, anche se resto dell’idea che vada consumato con parsimonia.
Degli altri grassi animali, preferisco evitarli a priori (anche perché non li amo proprio sia in consistenza che gusto), uso molto di più l’olio d’oliva extra, o di arachidi in caso di frittura leggera in padella.
Lo strutto, nel mio caso, é a se, poiché è impiegato nell’unica specialità che ho occasione di consumare (in tempi normali s’intende, quando sono di passaggio giù di lì) cioè la Crescia di Urbino, che “purtroppo” ne contiene in una certa quantità, e ne dà il gusto insuperabile che la rende una pietanza tipica meravigliosa.
Resto però stupito che Knorr non abbia ancora sostituito l’olio/grasso di palma dai suoi prodotti (o almeno dal dado, l’unico che ho valutato per l’acquisto…), soprattutto vista tale collaborazione “green”…