cucciolo di golden retriever sdraiato vicino a una ciotola vuota

I risultati di uno studio smentiscono la tesi secondo la quale l’utilizzo dei sottoprodotti di origine animale basterebbe a rendere green la dieta onnivora di cani e gatti. Abbiamo già scritto  di quanto l’aspetto ecologico rientri sempre più tra le variabili che guidano i proprietari di animali domestici nella scelta degli alimenti da acquistare per sé e per i propri amici a quattro zampe (leggi qui l’articolo sul pet food vegetale per cani e gatti). E se aumenta il numero di coloro che scelgono di affidarsi alla dieta a base vegetale (vegetariana o vegana), c’è anche chi invece crede di poter optare per un compromesso meno radicale rivolgendosi a quelle tipologie di pet food dichiaratamente prodotti anche con parti degli animali da allevamento considerati ‘scarti’ e che quindi non rientrano nella dieta umana, nella convinzione che questo contribuisca a un uso più efficiente delle risorse alimentari.

Sottoprodotti nel pet food: una forma di riciclo?

I risultati di uno studio condotto tra 2018 e 2020, appena pubblicati sulla rivista Plos One smentiscono la tesi secondo la quale l’uso di sottoprodotti di origine animale (SOA o ABP, ovvero “animal-by-products”) negli alimenti per animali domestici rappresenti un’efficace forma di riciclo dei sottoprodotti del sistema di produzione alimentare umana che altrimenti andrebbero sprecati, con un effettivo vantaggio per l’ambiente.

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I sottoprodotti di origine animale non bastano a rendere “green” la dieta onnivora di cani e gatti

Le ragioni di questa ritrattazione risiedono tanto nel fatto che all’epoca delle ultime indagini (tra 2018 e 2019) la percentuale di ingredienti considerati non adatti all’alimentazione umana (NHC) utilizzati nella produzione di pet food rappresentava solo poco più del 50% dell’alimento (52,6% degli alimenti per cani, il 50,8% degli alimenti per gatti), quanto nella constatazione che la classificazione degli ingredienti come HC o NHC dipende spesso da fattori culturali. Infatti la grande maggioranza del materiale di origine animale (inclusi organi, ghiandole, cartilagini e le cosiddette “frattaglie”), se opportunamente trattato, risulta commestibile per l’uomo. Pertanto, invece di essere sprecati o riciclati nel cibo per animali domestici (soprattutto sotto forma di farine), molti degli ingredienti considerati sottoprodotti, potrebbero essere consumati direttamente dalle persone (come comunemente avviene nei Paesi in via di sviluppo) o venire destinati alla produzione industriale di un’ampia varietà di beni di consumo o presidi medicali.

Lo studio in questione ha rivelato inoltre che la produzione di ingredienti considerati inadatti all’alimentazione umana è meno efficiente di quelli indicati anche per l’uomo e richiede, in proporzione, la macellazione di un maggiore numero di animali da allevamento per ottenere la stessa efficacia nutrizionale. Pertanto l’uso di carne magra nel cibo per animali risulta proporzionalmente più vantaggiosa delle frattaglie, dal punto di vista dell’impatto ambientale.

Un ingrediente economico per l’industria del pet food

Un altro aspetto da considerare è che i sottoprodotti di origine animale introdotti come fonti proteiche negli alimenti per animali domestici, vengono utilizzati dalle industrie produttrici perché più economici rispetto ad altri ingredienti ‘nobili’ e non con il proposito etico di ‘riciclare‘ e ridurre gli scarti. D’altronde, se non trovassero impiego nel settore del pet food, queste componenti delle carcasse animali (ma anche le parti contaminate e decomposte, l’urina, le feci, il contenuto ruminale, il sangue) potrebbero essere destinate alla produzione di fertilizzanti e ammendanti per i terreni o per creare biogas e produrre energia pulita e carburante meno inquinante per l’aviazione. La prossima legislazione europea potrebbe andare proprio in questa direzione, incentivando un utilizzo dei SOA che ne ridurrebbe la disponibilità per il pet food.

Gatto tigrato mangia da una ciotola; concept: pet food
Cani e gatti nel complesso sono responsabili dal 25 al 30% dell’impronta ecologica totale

I proprietari di animali domestici quindi non devono illudersi che un’alimentazione a base di SOA sia sostenibile ed ecofriendly, perché dal punto di vista dell’impatto ambientale non rappresenta una valida alternativa rispetto alla scelta di una dieta vegana per cani e gatti. Solo la transizione verso questo tipo di dieta può comportare significativi vantaggi ecologici, ancor più di quanto possa fare un’analoga scelta compiuta nell’ambito dell’alimentazione umana. Questo perché il numero di animali domestici nei paesi sviluppati è in costante crescita e cani e gatti sono responsabili di una percentuale significativa dell’impatto ambientale connesso alla produzione di carne (già una ricerca del 2017 stimava che solo negli Stati Uniti, cani e gatti nel complesso fossero responsabili dal 25 al 30% dell’impronta ecologica data dalla somma di emissioni di gas serra, utilizzo di acqua, terreno, combustibili fossili, fosfati e pesticidi).

Pet food sostenibilie?

Coerentemente con la crescente e diffusa preoccupazione nei confronti dell’ambiente, in futuro è probabile che da un lato l’industria della carne diventi più sostenibile e dall’altro che il pet food segua il trend ecologico-salutista che spinge anche l’alimentazione umana verso opzioni vegetali (vegetariane, vegane o flexitariane), naturali, biologiche e green tanto che le stime prevedono entro il 2028 una crescita del petfood biologico fino a 9,1 miliardi di dollari e fino a 15,6 miliardi di dollari per quello vegano a base di mais, grano, soia, riso, piselli, patate, girasole, nonché proteine di tipo nuovo, come quelle unicellulari estratte da alghe, batteri, funghi e lieviti.

A fare da guida alle scelte compiute da aziende produttrici di pet food e proprietari di animali domestici si affermerà il principio di “Ecological Paw Print” (EPP). Si tratta dell’equivalente del concetto di “impronta ecologica” (EF) già applicato alla dieta umana e che considera non solo il consumo di risorse necessarie a un individuo o una popolazione per mantenersi, ma anche la produzione di scarti (tra cui rifiuti ed emissioni di carbonio e altri gas serra) connessa a un determinato stile alimentare, e comprensiva dell’impatto ambientale di tutte le attività e le fasi di lavorazione degli ingredienti (dalla produzione all’imballaggio e al trasporto).

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