Oggi più che mai la pratica dell’astensione dal consumo di glutine è molto diffusa. Le persone che ritengono di trarre un beneficio eliminando dalla propria dieta questa proteina del grano sono sempre più numerose. In realtà la scelta di bandire un alimento dalla propria dieta dovrebbe essere prescritta da un professionista, sulla base di una precisa diagnosi. Questo è per esempio quello che accade con il glutine se ci si trova di fronte a un’allergia vera e propria oppure, più spesso, a una diagnosi di celiachia (o di dermatite erpetiforme). Per quanto riguarda invece la cosiddetta sensibilità o intolleranza al glutine, non esiste a oggi un metodo di diagnosi condiviso e riconosciuto dal Sistema sanitario nazionale.
La principale patologia per la quale è necessario evitare il consumo di glutine è quindi la celiachia: una malattia cronica ben precisa, con un alto rischio di complicanze, per la quale la prevenzione è riconosciuta dal ministero della Salute come la soluzione più efficace. In primo luogo occorre chiarire che, diversamente da quanto pensano in molti, non si tratta di un’allergia, bensì di una malattia infiammatoria dell’intestino (enteropatia). La malattia si riscontra in soggetti geneticamente predisposti con tratti di autoimmunità scatenata dall’ingestione di glutine (mentre non ci sono di norma problemi in caso di contatto diverso dall’ingestione). Si stima che la sua diffusione si aggiri intorno all’1% della popolazione, ed è stato calcolato che il numero totale di celiaci in Italia potrebbe aggirarsi intorno ai 600 mila, contro gli oltre 233 mila diagnosticati a oggi.
Secondo i dati pubblicati nell’ultima relazione al parlamento del ministero della Salute, che fa annualmente il punto della situazione, ci sarebbe un numero di persone con celiachia più che doppio rispetto a quelle diagnosticate. Come fare, quindi, a riconoscerla? La celiachia può manifestarsi a qualunque età, con segni e sintomi estremamente variabili, sia per intensità che per localizzazione, anche se esistono gruppi di persone particolarmente a rischio come, oltre ai familiari dei soggetti celiaci, chi soffre di patologie autoimmuni associate, in particolare il diabete di tipo 1 e la tiroidite, oppure è affetto da sindrome di Down, Turner o Williams. Rappresentano inoltre un gruppo a rischio anche le persone con deficit selettivo dei livelli sierici di IgA. Per quanto riguarda i sintomi, quelli più diffusi sono le problematiche croniche a carico dell’intestino (dolore addominale, stipsi, diarrea, meteorismo), ma sono ormai riconosciute anche forme atipiche, caratterizzate da sintomi riconducibili ad altri distretti anatomici, i più diffusi sono quelli ascrivibili alla cavità orale (stomatite aftosa ricorrente, sviluppo incompleto dello smalto dentario).
Vi sono poi, nell’età evolutiva, sintomatologie legate a ritardi nella crescita, ma anche, per tutte le età, orticaria ricorrente, disturbi della fertilità, osteoporosi, sideropenia e molti altri. È quindi utile, nel caso vi sia un fondato sospetto, appurare la presenza della malattia attraverso appositi step diagnostici. Il primo prevede un prelievo di sangue nel quale sono verificati due aspetti: la presenza della predisposizione genetica e quella di specifici autoanticorpi. La predisposizione genetica da sola, infatti, non è necessariamente di sviluppo la malattia, anzi, solamente il 3% delle persone predisposte che consumano glutine sviluppa, prima o poi, la celiachia e restano sconosciuti gli eventi scatenanti.
Per avere la diagnosi definitiva è poi necessario effettuare anche un esame istologico della mucosa del duodeno (la prima parte dell’intestino tenue), che può aver subìto danni di diversa entità. ll 2020 è stato un anno particolare, nel quale l’impegno della sanità pubblica nella gestione del Covid-19 ha reso più difficile l’accesso alle diagnosi e alle cure di altre patologie ma, nonostante questo, in Italia sono state eseguite quasi 8 mila nuove diagnosi. Compresi gli ultimi dati acquisiti nel 2020, quindi, l’analisi del numero totale delle persone attualmente affette da celiachia nel Paese evidenzia una netta prevalenza femminile (66%) e le aree con il maggior numero di celiaci diagnosticati sono la provincia autonoma di Trento, la Valle D’Aosta e la Toscana con lo 0,49% della popolazione, seguite dalla Sardegna, con lo 0,48%. Infine, la fascia d’età maggiormente rappresentata è quella tra i 18 e i 59 anni.
Una volta effettuata la diagnosi, l’unico trattamento scientificamente valido per il paziente celiaco è l’accurata eliminazione glutine dalla dieta. Il glutine si trova in tutte le varietà di grano (Triticum), nell’orzo e nella segale, mentre la sua presenza nell’avena sembrerebbe determinata solo da contaminazioni ed è quindi oggi possibile trovare anche avena che può essere consumata dai celiaci. Gli alimenti che riportano in etichetta la dicitura “senza glutine” devono essere stati prodotti in stabilimenti che, sulla base di documentata analisi del rischio e dell’implementazione del piano di autocontrollo, prevedono organizzazione e/o procedure per la gestione del rischio di contaminazione (la soglia limite stabilita è di 20 parti per milione).
Nella sua relazione, il Ministero precisa che la dicitura in etichetta ha comunque senso di esistere solo per due tipologie di prodotti. In primo luogo gli alimenti trasformati che per tradizione prevederebbero l’uso di ingredienti con glutine (pane, pizza, pasta, biscotti), ma che sono appositamente realizzati con ingredienti senza glutine o deglutinati. Questi, in virtù del valore sostitutivo che rappresentano nella dieta del celiaco, possono essere inseriti nel Registro nazionale dei prodotti senza glutine ed essere erogati a carico del Servizio sanitario nazionale con un contributo mensile per coprire il fabbisogno nutrizionale di carboidrati dei celiaci. Gli altri alimenti per i quali occorre verificare attentamente la presenza di glutine in etichetta sono quelli che potrebbero prevederlo nella ricetta, come i piatti pronti, i preparati per brodi e sughi, i gelati e i dessert.
Infine, per quanto riguarda gli alimenti non trasformati e quelli trasformati che, per natura e processo di produzione, non prevederebbero l’utilizzo di ingredienti con glutine, il ministero della Salute precisa che “l’assenza di glutine è scontata e la dicitura in etichetta risulta confondente e fuorviante per il consumatore che può essere indotto a credere che l’assenza di glutine non sia una caratteristica comune per quella tipologia di alimento“. Quest’indicazione, pur importante, non deve essere fraintesa. Se è vero che salumi, olio, caffè o marmellata sono normalmente senza glutine, è altrettanto vero che se nel ciclo di produzione c’è un rischio di contaminazione va segnalato. L’indicazione più importante resta sempre quella di leggere con attenzione le etichette.
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