La carne coltivata sta diventando realtà: a fine luglio il governo britannico ne ha autorizzato la produzione, anche se per ora si tratta solo di alimenti destinati agli animali domestici. Ma l’interesse delle aziende e delle agenzie legislative fa pensare che in futuro dovremmo farci i conti: entro il 2040 il 60% del consumo di carne potrebbe essere coperto da sostituti, tra cui anche la carne coltivata. Per capirne di più ne abbiamo parlato con Maurizio Ferri, coordinatore scientifico della Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva (SIMeVeP) e autore di un ampio rapporto sul tema.
“Non è facile fare previsioni, – esordisce Ferri. – Le stime fornite dalla società di consulenza AT Kearney prevedono che tra venti anni la carne coltivata rappresenterà il 35% del mercato della carne, mentre quella convenzionale solo il 40%, e Uma Valeti, fondatore e CEO dell’azienda Upside Foods, ha dichiarato al Wall Street Journal che tra venti anni la maggior parte della carne venduta nei negozi sarà coltivata, o comunque in forma ibrida. Anche se ci sono start up che dopo l’entusiasmo iniziale sono state costrette a chiudere”.
Il cammino quindi non si presenta semplice per la carne coltivata
“L’aumento di scala del processo di produzione comporta sfide di sostenibilità tutte sue, tra cui l’ottimizzazione delle tecnologie. Serviranno ulteriori ricerche ed evidenze di sostenibilità ambientale ed efficienza energetica. Attualmente gli studi in materia non concordano sulle stime preliminari di consumo di energia ed emissioni di gas serra, e questo crea incertezza per il futuro. Per quanto riguarda il mercato, l’organizzazione McKinsey ha previsto entro il 2030 una netta crescita della carne coltivata, in grado di replicare una varietà di carni lavorate e tagli interi. La produzione potrebbe arrivare a 2,1 milioni di tonnellate – con un valore di mercato di 25 miliardi di dollari – lo 0,5% della domanda globale di carne. Inoltre McKinsey stima che per il consumo futuro potrebbero essere necessari bioreattori con una capacità di 60 milioni di litri: per fare un confronto, i più grandi oggi disponibili hanno una capacità di 6/10mila litri”.
Cosa possiamo aspettarci a breve termine?
“Molto probabilmente nei prossimi cinque anni la carne coltivata sarà un prodotto di nicchia per ristoranti di lusso, e questo offrirà l’opportunità di effettuare test precoci sui consumatori, in attesa di progressi significativi; con finanziamenti continui, progressi tecnologici, espansione della capacità produttive e acquisizione delle autorizzazioni governative. In Europa in particolare l’EFSA, l’Autorità per la Sicurezza Alimentare, stima che serviranno almeno cinque anni per completare l’iter autorizzativo per commercializzare il primo prodotto a base di carne coltivata”.
Intanto in Italia, la nostra normativa va controcorrente rispetto ad altri Paesi…
“La legge promulgata a ottobre 2023 – che vieta produzione, commercializzazione e importazione della carne coltivata, ma anche l’uso di termini meat sounding per prodotti a base di proteine vegetali – oltre a basarsi su una logica antiscientifica è paradossale, perché vieta un prodotto che non c’è. Attualmente la carne coltivata non è disponibile sul mercato perché non ancora autorizzata come novel food in base al parere scientifico dell’EFSA. Il provvedimento poi contravviene alla ratio del principio di precauzione del Regolamento CE 178/2002, che si applica solo ad alimenti già commercializzati, e compromette il progresso scientifico e sociale di un settore emergente. Senza dimenticare che la legge vieta solo la carne coltivata di vertebrati, mentre quella di crostacei e cefalopodi potrebbe essere prodotta in Italia”.
Oggi anche Paesi forti produttori di carne stanno investendo in questo settore: come si spiega?
“Gli investimenti pubblici e privati sulla carne coltivata hanno registrato una crescita esponenziale, dai sei miliardi di dollari del 2016 ai 1.380 nel 2021. Sicuramente l’innovazione gioca un ruolo centrale in questo processo – anche se non segue sempre un percorso lineare – insieme a una maggiore attenzione per l’ambiente, che ha alimentato la corsa verso questo settore”.
La ricerca sulla carne coltivata sfrutta procedure già utilizzate dall’industria farmaceutica, per esempio le cellule immortalizzate. Ci sono dei rischi?
“La produzione della carne coltivata prende molto in prestito, con gli opportuni adattamenti, dal know-how dell’industria farmaceutica. Tra questi c’è il processo d’immortalizzazione, ottenibile attraverso trasformazioni che consentono alle cellule di continuare a dividersi indefinitamente. Il processo richiede rigidi schemi normativi e valutazioni di sicurezza, e la scelta dipende da vari fattori. Alcune start up poi hanno scelto di utilizzare staminali embrionali, naturalmente immortali, per cercare di evitare difficoltà di accettazione da parte dei consumatori.
In ogni caso questi processi non comportano l’introduzione di modificazioni genetiche, considerando anche che eventuali cellule precancerose o cancerose, in quanto non umane, non potrebbero replicarsi all’interno del nostro organismo. Sia la FAO che l’OMS hanno respinto le preoccupazioni su un possibile rischio di tumori, e definiscono molto improbabile la sequenza di eventi che consentirebbe a cellule satellite bovine pluripotenti o immortalizzate, potenzialmente cancerogene, di arrivare a formare tumori dopo il consumo, anche se queste come qualunque tecnologia emergente richiedono una costante attività di monitoraggio”.
Sui costi di produzione e sul risparmio energetico ci sono dati discordanti: cosa possiamo aspettarci? E in che tempi?
“Oggi per i produttori le sfide principali sono la riduzione dei costi e l’aumento della produzione anche con soluzioni che aumentano la densità cellulare, il che si traduce in più chili di carne ottenibile a parità di costi di produzione. Penso a progetti come quello dell’azienda giapponese CellFiber, finalizzati alla produzione di massa ad alta efficienza per la coltura cellulare, o a chi utilizza le microalghe per la fornitura di glucosio rendendo la produzione di carne coltivata meno dipendente dai cereali e con vantaggi ambientali. Un altro progetto recente punta su una piattaforma fotomolecolare che sfrutta la luce per creare nuove proteine a costi significativamente inferiori, infine si sta sperimentando l’utilizzo di fibroblasti di pollo immortalizzati che si adattano a un terreno con bassa concentrazione di siero o addirittura privo di siero, con vantaggi economici e di sicurezza per il minor rischio di presenza di patogeni”.
Quanto è complesso riprodurre non solo cellule di muscolo ma la struttura della carne? È ragionevole aspettarsi, per un lungo periodo di tempo, soprattutto hamburger e salsicce?
“Gli studi attuali si concentrano principalmente sulla ricostruzione del tessuto muscolare in vitro per riprodurre la stessa consistenza della carne convenzionale, legata alla struttura tridimensionale miofibrillare a sua volta influenzata dal rigor mortis e dall’invecchiamento, quantità e struttura del tessuto connettivo e dalla presenza di grasso. Certo, una bistecca è più difficile da realizzare rispetto alla carne macinata, ma un primo passo significativo è stato compiuto da un consorzio di ricerca giapponese che, attraverso la riproduzione della struttura tridimensionale del tessuto muscolare, è riuscito ad ottenere la stessa consistenza di una bistecca vera”.
E per quanto riguarda il profilo nutrizionale di questi alimenti a base di carne coltivata?
“Uno dei vantaggi che offre la produzione di carne coltivata rispetto a quella tradizionale è la possibilità di intervenire sul profilo nutrizionale adattando gli ingredienti dei terreni di coltura cellulare, ad esempio aumentando gli acidi grassi omega-3 o vitamine e minerali, e controllando il contenuto di grassi e il profilo degli acidi grassi. Purtroppo a oggi non sono disponibili dati consolidati utili per eventuali comparazioni, e anche la fattibilità tecnologica ed economica di queste soluzioni, soprattutto su larga scala, non è sempre scontata. Con l’ingegneria genetica poi, se consentita, si potrebbero fortificare i prodotti con precursori della vitamina A, non presenti nelle carni convenzionali, creare una nutrizione personalizzata per categorie di consumatori o popolazioni, ma anche rimuovere allergeni o molecole collegate al rischio di cancro”.
Si dice che questi prodotti presenteranno rischi analoghi a quelli presenti nella carne allevata, ma è possibile confrontare le attuali sperimentazioni di laboratorio con una produzione di massa? E quali sono i rischi specifici, legati alle sostanze utilizzate?
“Parliamo di un settore non ancora sviluppato su scala industriale, e caratterizzato da un elevato livello di incertezza: FAO e OMS elencano una serie di pericoli biologici (contaminazioni batteriche o virali) e chimici (es. presenza di antibiotici) potenzialmente associati alle diverse fasi di produzione, praticamente analoghi a quelli della carne prodotta secondo le tecniche convenzionali. Per quanto riguarda invece i rischi, specie quelli microbiologici, potrebbero essere inferiori per la carne coltivata in quanto la produzione avviene in laboratori dotati di efficaci sistemi di controllo con procedure rigide e monitoraggio superiore a quella della carne.
Riguardo alle linee cellulari, sicuramente il rischio di modificazioni genetiche è un elemento di preoccupazione dei consumatori, come sottolineato in precedenza. In ambito europeo con l’EFSA, e globale con il Codex (lo standard di sicurezza alimentare internazionale, ndr) , gli sforzi dovrebbero essere orientati verso la definizione di criteri per la valutazione della sicurezza tenendo in considerazione gli ultimi sviluppi scientifici anche attraverso la condivisione di banche dati del settore pubblico e privato, in collaborazione con i produttori”.
In sintesi, possiamo provare a fare un bilancio costi benefici: quali sono i vantaggi della carne coltivata, anche rispetto ai surrogati a base vegetale?
“Sia la carne di origine vegetale che quella coltivata presentano benefici e svantaggi. Di sicuro la carne coltivata offre vantaggi di tipo etico, ambientale e di sicurezza (minor rischio di trovare antibiotici o patogeni zoonotici).Tuttavia, pur avvalendosi di procedure impiegate da decenni nell’industria farmaceutica per la produzione di biotessuti e biofarmaci, è ancora nelle sue fasi iniziali ed è ostacolata da elevati costi di produzione e lacune nelle conoscenze fondamentali su come impiegare la coltura cellulare per le applicazioni alimentari.
Il surrogato di carne a base vegetale non è una novità, anche se ha guadagnato popolarità solo di recente nel mondo alimentare e accademico e l’accettazione da parte dei consumatori è in crescita. Ciò che ne ha influenzato principalmente lo sviluppo sono i vantaggi per l’ambiente, la salute umana e il benessere degli animali. Il processo di produzione dei surrogati vegetali, poi, ha costi energetici e ambientali, anche se significativamente più bassi rispetto alla carne coltivata in laboratorio. Gli ostacoli da superare riguardano l’ottimizzazione del sapore, i controlli di sicurezza biologica e chimica e la scelta delle giuste fonti proteiche. Esistono però opportunità per prodotti ibridi a base vegetale e cellulare: ad esempio, combinare carne vegetale con grasso coltivato può migliorare le proprietà sensoriali dell’analogo pur rimanendo meno costoso di un prodotto di carne coltivata”.
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giornalista scientifica