Il sistema delle regole e dei controlli, così come le abitudini e la cultura alimentare, sono assai diversi tra Stati Uniti ed Europa. Eppure la recente, prima approvazione della carne coltivata di pollo dell’azienda Upside Foods da parte della Fda, arrivata a metà novembre (ne abbiamo parlato qui), potrebbe avere ripercussioni molto profonde sul mercato europeo, così come su quello britannico. Dopo l’autorizzazione concessa nel 2020 a Eat Just dall’autorità sanitaria di Singapore, e il relativo lancio sul mercato dei suoi nugget di pollo, che ha reso il paese asiatico molto attraente per decine di start up e aziende di tutto il mondo, l’attenzione potrebbe spostarsi nel vecchio continente. Inoltre, anche i produttori di carne coltivata più avanti con gli impianti e i progetti, ma che non hanno ancora inviato all’Efsa alcun dossier di valutazione, potrebbero sentirsi rassicurati, imitare l’approccio di Upside Foods e accelerare i tempi.
Su tutto ciò FoodNavigator ha chiesto un’opinione ad alcuni dei protagonisti, ottenendo risposte molto simili: il via libera statunitense è un punto di svolta. Così, secondo l’associazione di produttori Cellular Agricolture Europe, con sede a Bruxelles, la decisione della Fda avrà conseguenze non solo in Europa, ma in tutto il mondo, perché di fatto gli orientamenti dell’agenzia statunitense rappresentano un modello che, sia pure con variazioni locali, viene di solito seguito da molti altri paesi. Ammettere la carne di Eat Just alla recente COP27 svoltasi a Sharm-el-Sheik sarebbe una prova indiretta dell’interesse dei governi, che non vorrebbero restare indietro e starebbero iniziando a cercare di agevolare l’arrivo della carne coltivata nei propri paesi (anche per contribuire a mitigare la crisi climatica).
Interessante, poi, l’opinione di Mosa Meat, l’azienda creata da Mark Post, l’ingegnere tissutale dell’Università di Maastricht che per primo ha realizzato un hamburger di carne coltivata e l’ha presentato al pubblico nel 2013. Secondo il CEO Marteen Bosch, il pronunciamento della Fda, che arriva dopo la dichiarazione di totale sicurezza dell’agenzia regolatoria di Singapore, è un segnale chiaro “a tutto l’ecosistema del settore”, che comprende anche gli investitori e i decisori politici. Fin qui, tuttavia, si tratta di commenti, e di speranze.
Più in concreto, quanto avvenuto negli Stati Uniti dovrebbe essere osservato con attenzione, e imitato negli aspetti più virtuosi, per arrivare agli stessi risultati. In particolare, Upside Foods e il panel della Fda hanno proceduto sempre insieme, ragionando passo dopo passo su ciò che si sarebbe dovuto fare per arrivare a soddisfare in pieno gli standard di sicurezza e le specifiche delle nuove carni, e per delineare un protocollo che, da ora in avanti, sarà valido anche per gli altri produttori. Essendo quello dell’agricoltura cellulare un ambito del tutto nuovo, anche gli enti regolatori si sono trovati in difficoltà, non avendo riferimenti precisi cui appellarsi. Per questo la Fda ha chiamato i produttori, e per questo l’Europa sembra essere in ritardo: le aziende, non altrettanto coinvolte nell’elaborazione dei protocolli, temono di non procedere correttamente e di esser fermate in un secondo momento da richieste che non sono ancora chiare.
Secondo Bosch, con ogni probabilità non ci sarà una riscrittura delle regole, ma solo qualche aggiustamento, perché quelle già esistenti possono essere utilizzate anche per la carne coltivata, ma è indispensabile avere certezze che, a oggi, non ci sono, se si vuole che l’Europa non resti indietro. Sarà anche interessante, per i produttori europei – prosegue Bosch – studiare ciò che resta da completare, negli Stati Uniti, prima delle autorizzazioni finali: quella relativa alle ispezioni agli impianti di produzione da parte del Dipartimento dell’Agricoltura, un’autentica novità. Che cosa analizzeranno gli ispettori? Quali saranno i controlli cui saranno sottoposti gli impianti? Con quale frequenza e modalità saranno svolti? Anche per questi aspetti Cellular Agricultural Europe si augura una collaborazione diretta tra Efsa e Fda, che consenta uno scambio di opinioni e determini procedimenti standardizzati.
Se così fosse, le aziende europee che stanno guardando a mercati non europei potrebbero cambiare idea. Per esempio, la francese Gourmey, che sta ultimando la costruzione di un grande stabilimento vicino a Parigi per la produzione di foie gras coltivato, orientata verso Stati Uniti e Asia, potrebbe cercare di entrare anche nel mercato europeo.La stessa cosa potrebbe fare l’olandese Meatable, che dovrebbe lanciare i suoi prodotti a Singapore, ma che vorrebbe arrivare anche in Regno Unito, Stati Uniti ed Europa. Analogamente, anche Mosa Meat guarda all’Europa, ma senza fretta perché, come ha commentato Bosch, ciò che rende i consumatori fiduciosi è la severità e l’affidabilità delle procedure europee, che vanno rispettate. Queste ultime, comunque, dovrebbero essere positive nei confronti di prodotti come i loro, che non contengono siero fetale bovino né alcun tipo di Ogm o derivato nei terreni di coltura. Del resto, ha concluso Bosch, nessuna azienda che voglia realmente incidere sulla porzione della crisi climatica associata alla produzione di cibo può prescindere dal mercato europeo: sarebbe molto meno rilevante.
Per quanto riguarda il Regno Unito, infine, i protocolli attuali sono ancora quelli europei del regolamento 2469 del 2017, anche se vi sono diversi ambiti, come quello sulle modifiche del Dna, in cui i legislatori stanno cercando di riformare le norme per rendere la ricerca più snella, e il raggiungimento di ogbiettivi di mercato più vicino. Con le regole attuali, spiega infatti Jessica Burt, un’esperta britannica in legislazione in ambito alimentare, ci vorrebbero mediamente 18 mesi per ottenere un responso per la carne coltivata, ma il paese vuole tempi più rapidi, a maggior ragione dopo la luce verde della Fda. Per tale ragione, potrebbe introdurre nuove norme per il percorso specifico dei Novel Food.
Ma ci sono tre ordini di motivi che fanno pensare che, al contrario, non succederà nulla quando, a fine 2023, il paese dovrà decidere se far decadere le norme europee oppure no. Dal punto di vista pratico, ci vorrebbero anni per mettere a punto nuove norme, approvarle in parlamento e renderle esecutive. Da quello politico, i consumatori britannici potrebbero sentirsi non abbastanza tutelati da regole diverse da quelle europee, cui sono abituati. Infine, dal punto di vista del mercato globale, regole nazionali diverse da quelle dei partner principali, UE e USA, renderebbero probabilmente gli scambi assai complessi, talvolta impossibili: una prospettiva che nessuno si auspica. Tuttavia, alcuni investitori stanno facendo pressione affinché il Regno Unito si svincoli da regole giudicate anacronistiche e inutilmente restrittive: se lo facesse, potrebbe velocemente diventare leader nella produzione e nella vendita a livello continentale, analogamente a ciò che è successo a Singapore, diventato, nel giro di pochissimo tempo, riferimento per le aziende asiatiche e non solo. E ciò significherebbe migliaia di posti di lavoro, esportazioni in crescita e sicurezza alimentare. Nei prossimi mesi si capiranno meglio gli orientamenti europei e britannici dopo l’accelerazione impressa dalla Fda.
© Riproduzione riservata Foto: Depositphotos, Upside Foods, Mosa Meat, AdobeStock
Siamo un sito di giornalisti indipendenti senza un editore e senza conflitti di interesse. Da 13 anni ci occupiamo di alimenti, etichette, nutrizione, prezzi, allerte e sicurezza. L'accesso al sito è gratuito. Non accettiamo pubblicità di junk food, acqua minerale, bibite zuccherate, integratori, diete. Sostienici anche tu, basta un minuto.
Dona ora
Giornalista scientifica
L’importanza fondamentale della alimentazione nella salute universale, con rispetto per tutti gli attori è una cosa troppo seria e
i critici non si stancheranno di richiedere risposte certe su studi, regole, controlli ecc.
Sembra, a me, che il primo principio guida qui esposto sia di superare le regole esistenti, noiosi intralci che impediscono o allontanano il tintinnio dei soldi, bisogna correre per non restare indietro, mandare segnali precisi altrimenti gli investitori vanno altrove…….
Il secondo principio guida è che una cosa ( riferita a qualsiasi campo: sanità, sicurezza alimentare, tecnologia ) sia sicura fino a
prova contraria, la cui applicazione ristretta, sempre per velocizzare le decisioni, recita che bastano gli studi dei produttori per entrare in azione poi si vedrà.
Unendo a questi principi alcuni claim degni della miglior comunicazione “dipinta di verde” viene fuori solo un bel cartello pubblicitario, nè più nè meno.
Posto il convincimento che se si critica la scienza lo si fa per ignoranza iniziamo un capitolo di ricerca finora in ombra:
accertato che gli scienziati a favore della alimentazione carnea usano la mitologica B12, ultimo idolo scagliato contro i vegani, vorrei una spiegazione su come la carne “coltivata” ( il termine è inappropriato ma non si trova di meglio ) potrà continuare a rassicurare i consumatori con la sua miracolosa presenza.
Che dire poi di tutte le altre vitamine di cui la carne attuale si fregia gruppo B, D, K, acido folico, acidi grassi, minerali vari, come saranno apportate al nuovo alimento??????? ( domanda retorica )…..onesti farmacisti industriali cercasi, da posizionare vicino alle ciminiere dei reattori………
Se non altro si smetterà di prendere in giro i vegani con la scusa degli integratori obbligati che non si trovano negli alimenti.
Qualcun altro si preoccupa del sapore e aspetto esteriore, ma queste sono ansie non giustificate perchè nel trucco dei cibi l’industria fa miracoli, con migliaia di sostanzine pronte all’uopo e altre in incubatrice, tutta roba buona.
Riguardo alle sofferenze animali, sacrosanta preoccupazione, alcune scelte personali già acquisite sono state facili da fare per sensibilità e anche se i vegetariani contribuiscono comunque al pesante sistema allevatorio attuale posso affermare che esistono aziende, per lo più piccole realtà, molto più rispettose degli animali di tutte le altre note, basta cercarle con cura e frequentarle attentamente.
Ma il primo principio che ho riferito sopra non permette ai finanziatori degli allevatori intensivi di aggiustare il tiro e migliorare veramente le condizioni degli schiavi animali…..meglio cambiare paradigma ( in vitro )…… prima che i quadri normativi e la consapevolezza si sintonizzi sulla realtà delle cose passerà chissa quanto tempo, schema vincente già visto innumerevoli volte ma così vuole qualcuno che conta.
Sulla carne “coltivata” si sta facendo (credo deliberatamente) confusione con la carne “finta” fatta industrialmente partendo da materie prime vegetali con complesse lavorazioni industriali allo scopo di imitare consistenza e gusto della carne vera.
La carne “coltivata” è di fatto indistinguibile dalla carne “macellata” esattamente come il glutammato prodotto dai lieviti è identico a quello che si trova nelle alghe o nel parmigiano, con buonma pace di chi crede nei claim pubblicitari, e poiché la carne viene “coltivata” partendo da cellule di carne vera (non certo da pastoni vegani) contiene esattamente le stesse vitamine e sali minerali, purché ovviamente nella “coltivazione” facciano parte del nutrimento fornito alle cellule in moltiplicazione.
Tutte le altre considerazioni riguardano l’aspetto organolettico (se non sa di “vera” carne farà la fine della carne finta, che dopo l’iniziale boom mediatico è rientrata nella sua nicchia vegana e ha smesso di essere il “business del futuro”) e quello dell’impatto ambientale (da quale livello un laboratorio di coltivazione inizia a esere meno impattante sull’ambiente rispetto a un normale allevamento?).