Due tagli di carne rossa su una piastra di petri sul bancone di un laboratorio; concept: carne coltivata

Continua la marcia di avvicinamento della carne coltivata ai supermercati europei, anche se per ora solo fuori dall’UE. Dopo la Svizzera, l’israeliana Aleph Farms ha infatti chiesto l’approvazione all’agenzia per la sicurezza alimentare britannica, la Food Standards Agency, per le sue bistecche di manzo Angus coltivato. La notizia ci riguarda da vicino, perché il Regno Unito, dopo la Brexit, ha mantenuto le norme europee sui novel food, ma di recente ha iniziato una discussione su come modernizzarle e renderle più agili, in modo da rispondere ad aziende come la Aleph Farms con tempi più rapidi rispetto all’attuale stima di 12-24 mesi. Pertanto, quanto deciderà potrebbe a sua volta influenzare l’Efsa, ancora parecchio tentennante e lenta nel chiarire quali siano i criteri che ritiene necessari per approvare un prodotto a base di carne coltivata. Inoltre, nel Regno Unito ci sono ormai diverse aziende e start up che si stanno attrezzando per la produzione su larga scala, ma per ora progettano, nella maggior parte dei casi, di iniziare la commercializzazione da Singapore o dagli Stati Uniti, proprio per aggirare gli ostacoli burocratici ancora molto presenti nel continente europeo.

Il governo britannico, dal canto suo, sostiene con i 14 milioni di sterline dello UK Farming Innovation Fund tutto il settore, forte anche degli ultimi dati pubblicati dai ricercatori dell’Università di Delft, nei Paesi Bassi, su una rivista peer reviewed (International Journal of Life Cycle Assesments), secondo i quali la carne coltivata, rispetto a quella tradizionale, abbatte del 92% l’emissione dei gas serra e del 94% quella di inquinanti. Inoltre consuma il 66% di acqua in meno e il 90% di suolo in meno. Questi dati, peraltro, ne confermano diversi altri pubblicati negli ultimi anni. Al contrario, lo studio dell’Università della California di Davis di cui si è molto parlato, amatissimo dagli oppositori, che ridimensionava i benefici ambientali (soprattutto per il costo dei mezzi di coltura e per il consumo di elettricità), oltre a essere di fatto l’unico così negativo, per ora non è stato pubblicato dopo una revisione e su una rivista, ma solo in forma preliminare. 

Donna con camice e guanti da laboratorio tiene in mano provetta con carne trita; concept: carne coltivata
Dopo la Svizzera, l’azienda israeliana Aleph Farms ha presentato domanda di autorizzazione anche nel Regno Unito

Nel frattempo, i ricercatori di diverse università nordeuropee hanno esplorato un altro aspetto, altrettanto fondamentale per il successo dei prodotti che arriveranno: l’accettazione. Come illustrato su Food Quality and Preference, a un campione di oltre 700 tedeschi sono state poste domande che si articolavano su quattro temi principali: la volontà di acquistare carne coltivata, quella di farlo regolarmente, la disponibilità a spendere un po’ di più e quella a mangiarla al posto di quella tradizionale. Tra i fattori che maggiormente influenzano le decisioni è risultata esserci la neofobia, cioè la tendenza a evitare alimenti che non si conoscono, presente con diverse sfumature in molte persone. Tuttavia, una parte del campione è chiaramente ben disposta: si tratta, soprattutto, di chi mangia sempre carne, così come di chi da tempo l’ha sostituita con surrogati vegetali, cioè di due tipologie opposte di persone. Non sembra invece avere alcuna importanza la presenza, sul menu o sulla confezione, di immagini specifiche: la propensione non cambia se la carne coltivata è rappresentata evidenziando gli aspetti tecnologici, oppure facendo vedere che si cucina come quella tradizionale. Emergono poi due tipi di personalità con inclinazioni diverse: coloro che prendono decisioni in modo più emotivo tendono a voler almeno provare, mentre chi è più razionale più spesso ha un rifiuto. Lo stesso si vede con le informazioni relative agli impatti ambientali: non hanno una grande importanza sulle decisioni.

Infine, dai Paesi Bassi arrivano gli aggiornamenti sul denaro raccolto da una delle start up più ‘vecchie’ del settore, Meatable, fondata nel 2018, che attualmente ha circa 100 dipendenti (a conferma del fatto che, oltre ai benefici ambientali, la carne coltivata crea anche posti di lavoro). Con l’ultima raccolta fondi presso investitori di tutto il mondo ha ottenuto circa 35 milioni di dollari che, aggiunti agli altri, portano a poco meno di 100 i milioni di dollari in dotazione. Secondo FoodNavigator l’obiettivo è arrivare a chiedere l’approvazione per la sua carne di maiale a Singapore entro il 2024, per poi passare agli Stati Uniti e, quando ci saranno le condizioni, al mercato europeo. Nel frattempo, però, l’azienda approfitterà della nuova legge olandese, che permette di organizzare assaggi pubblici anche prima delle approvazioni, per iniziare a far conoscere i suoi prodotti.

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Paolo
Paolo
27 Agosto 2023 23:11

Sono sostenitore, il vostro servizio è uno squarcio di luce tra la disinformazione imperante. Grazie mille! Paolo Magnani.