Carne di cavallo: 5% dei campioni positivi in Europa, in Italia quasi il 4%. La truffa è grande ma non c’è stato pericolo per la salute. Il parere degli esperti
Carne di cavallo: 5% dei campioni positivi in Europa, in Italia quasi il 4%. La truffa è grande ma non c’è stato pericolo per la salute. Il parere degli esperti
Roberto La Pira 19 Aprile 2013Il primo e anche il più importante messaggio sullo scandalo della carne di cavallo è quello espresso da Tonio Borg, Commissario europeo per la salute: «I risultati confermano che si tratta di un problema di frodi alimentari e non di rischio per la salute umana». La tesi è suffragata anche dai numeri, visto che la carne di cavallo utilizzata nei prodotti alimentari a base di macinato venduti in Europa, nella maggior parte dei casi, stando alle analisi effettuate, non contiene farmaci vietati come il fenilbutazone (antinfiammatorio proibito negli alimenti destinati all’alimentazione umana). Nei prodotti in cui è stata riscontrata la presenza di questo farmaco, le concentrazioni sono così basse da non costituire un reale pericolo.
In generale, secondo quanto reso noto dall’Unione Europea, meno del 5% degli oltre 7.000 campioni analizzati in 27 Paesi presenta tracce di carne di cavallo e meno dello 0,5% di fenilbutazone. Ma i numeri sono diversi a seconda degli Stati. La Francia è risultata la nazione con più positività: 47 su 353, pari a circa il 13%; al secondo posto si colloca la Grecia, con 36 esami positivi su 288 (12,5%), mentre in Germania la carne di cavallo è stata trovata nel 3,3% dei campioni. In Italia, secondo i dati forniti dal Ministero della salute, solo 14 campioni sui 361 analizzati sono risultati positivi, con una percentuale del 3,87%. Dopo questa prima fase, il ministero ha realizzato altre 93 analisi nelle aziende risultate coinvolte riscontrando, nei loro prodotti, una percentuale molto più alta, pari al 20%. I Lettonia, Danimarca ed Estonia la percentuale è stata di circa l’1%, mentre in Olanda i valori sono inferiori.
«In Italia – spiega Giorgio Varisco, direttore sanitario dell’Istituto zooprofilattico della Lombardia e dell’Emilia Romagna, che ha condotto parte degli esami – non si è mai riscontrato il fenilbutazone. I risultati confermano l’esistenza di circuiti illegali che agiscono al di fuori delle filiere, riuscendo a volte a far entrare la carne di cavallo nei prodotti che dovrebbero contenere solo carne bovina. Tuttavia, a oggi, non ci sono concreti pericoli per la salute: non abbiamo riscontrato nessun tipo di farmaco presente nella carne di cavallo. Il problema è quindi di carattere prettamente commerciale e di etichettatura. D’altro canto, secondo la normativa europea vigente, se un ingrediente è presente in quantità inferiori al 2% non deve necessariamente essere indicato in etichetta, e questo può spingere qualche produttore a cercare di abbassare i costi con carni non conformi a quanto dichiarato. Va comunque detto che nella maggior parte dei casi, quando i test erano positivi la percentuale era ben superiore al 2%».
Al di là dei risultati dei laboratori, una domanda comunque resta: come mai all’improvviso si è verificata questa contraffazione che ha coinvolto tutta l’Europa? «L’origine- spiega Antonio Limone, commissario dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno di Portici, che ha partecipato alle analisi sulla ricerca di farmaci vietati – è da ricercare in più fattori: la crisi e il declino delle competizioni equine che ha spinto molti maneggi a chiudere, le nuove normative imposte in Romania sul divieto di circolazione dei cavalli nelle strade e la diffusione di pratiche commerciali sempre più complesse, grazie alle quali i produttori trovano nelle triangolazioni un terreno ideale per le truffe».
«Il problema – aggiunge Limone – si ripresenterà fino a quando non sarà istituita un’anagrafe equina seria, che distingua gli animali destinati alle competizioni da quelli destinati all’alimentazione umana, sulla scorta di quella che opera a Teramo per i bovini. Bisogna inoltre, nel rispetto della normativa, regolamentare la filiera con controlli ancora più restrittivi per garantire al consumatore margini di frode a tolleranza zero. Il consumatore deve sempre sapere che cosa sta comprando. Può non esserci nulla di pericoloso nell’aggiunta di percentuali più o meno marcate di carne di specie diverse da quelle principali, ma chi compra ha il diritto di sapere, per evitare reazioni allergiche ma soprattutto per scegliere consapevolmente».
Un altro fatto lascia perplessi: visto che i controlli sono stati fatti a oltre un mese di distanza dai primi casi, come si può essere certi che l’assenza di fenilbutazone e altri farmaci non dipenda dal ritiro repentino dal mercato degli animali provenienti dal circuito delle corse e che, una volta che i riflettori sul caso saranno spenti, non si torni a immettere nel circuito alimentare anche la carne di quei cavalli?
Risponde Limone «L’unico strumento oggi a disposizione, in attesa di nuove regole più efficaci, è intensificare i controlli». Ciò che però forse l’opinione pubblica si aspetta non è solo questo meritorio lavoro. È anche e soprattutto il fatto che le autorità sanitarie europee e nazionali riescano a trarre una lezione utile dall’ennesimo scandalo, ponendo il cittadino al centro del loro lavoro e dotando finalmente le autorità di controllo di strumenti più adeguati.
Agnese Codignola
© Riproduzione riservata
Foto: Photos.com, Lemonde.fr
Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24