L’ondata di caldo delle ultime settimane ha fatto centinaia di morti in Italia e non solo. Ma che effetti hanno le temperature particolarmente elevate sulla produzione di cibo, siccità a parte? Esiste un danno associato solo ai gradi? A questa domanda rispondono tre studi usciti negli ultimi giorni, che affrontano il tema analizzando che cosa succede a tre fonti essenziali di cibo: gli ortaggi, i polli broiler e le vacche da latte. E tutti giungono alla stessa conclusione: il caldo provoca gravi danni, ed è importante iniziare a pensare a misure adeguate.
Cereali e verdure con più zuccheri e meno vitamine e Sali
Il primo, presentato al recente congresso annuale della Society for Experimental Biology svoltosi ad Anversa, in Belgio, dai ricercatori dell’università di Liverpool, in Gran Bretagna, è uno studio sperimentale nel quale è stato verificato l’effetto di concentrazioni di CO2 e temperature elevate su cavolo, rucola e spinaci cresciuti in condizioni controllate.
Il risultato è stato che, quando aumenta l’anidride carbonica, le piante crescono prima e hanno un volume maggiore, ma non per questo hanno una qualità superiore, anzi. I test fatti con marcatori fluorescenti, e le indagini condotte con raggi X e cromatografia hanno mostrato una parallela diminuzione del contenuto in calcio e altri minerali fondamentali, e un calo generale degli antiossidanti.
L’innalzamento delle temperature (che negli esperimenti ha simulato gli scenari previsti per i prossimi anni in Europa) conduce a danni dello stesso tipo, ma ancora più marcati. In particolare, fa aumentare la concentrazione di zuccheri, ma non quella degli altri nutrienti come le vitamine e i sali, che diminuiscono, così come fanno gli antiossidanti. L’effetto finale sono verdure di qualità nettamente inferiore.
Anche se non si può generalizzare, secondo gli autori, che hanno appena pubblicato una review sul tema, è probabile che lo stress termico abbia conseguenze simili in quasi tutte le piante commestibili, non adattate ai picchi di calore degli ultimi anni. Oltretutto, nel mondo reale le stesse devono fare i conti anche con terreni sempre più poveri, contaminanti, parassiti, siccità e altri fattori stressogeni.

Polli più grassi
Il secondo studio, condotto dai ricercatori dell’Università Shinshu di Nagano, in Giappone, e pubblicato sulla rivista del gruppo Nature Scientific Reports, riguarda animali tra i più diffusi in tutto il mondo: i polli broiler, a crescita rapida, allevati in milioni di capi a tutte le latitudini. Anche in questo caso gli autori hanno sperimentato scenari diversi: polli tenuti in condizioni ottimali, oppure sottoposti a stress termico o, ancora, con meno cibo a disposizione. Il caldo limita molto l’appetito dei broiler, e si voleva verificare anche se gli effetti sulla loro salute fossero solo la conseguenza di una minore assunzione di cibo, o fossero dovuti proprio alle temperature più elevate.
Nello specifico, gli autori hanno esposto broiler di 21 giorni a 32°C per due settimane, mantenendo il gruppo di controllo e quello con poco cibo a 24°C , cioè a una temperatura ottimale. Quindi hanno controllato il peso, diversi parametri del sangue e la composizione del grasso ma, soprattutto, l’espressione dei geni. E hanno così visto che i polli esposti a 32°C non perdono peso, anche se mangiano nettamente di meno. Questo accade perché accumulano più tessuto adiposo, perché lo stress termico induce un cambiamento metabolico che ha questo risultato. Le conferme? Il caldo cambia l’espressione di ben 459 geni associati a grasso e metabolismo, e modifica anche diversi parametri ematici anch’essi relativi all’equilibrio dei grassi. D’altro canto, i polli tenuti a 24°C ma con poco cibo perdono peso armonicamente.
Anche in questo caso, quindi, l’innalzamento della temperatura porta a cibo (proteine animali) di qualità decisamente inferiore.
Meno latte se fa caldo
Infine, le vacche da latte risentono anch’esse pesantemente del caldo, nonostante si cerchi di mitigare le temperature con ventilatori, sistemi di vaporizzazione o altro. Lo dimostra il terzo studio, pubblicato su Science Advances dai ricercatori delle Università di Chicago e Parigi, che hanno lavorato sui dati di 130.000 vacche raccolti negli ultimi 12 anni, e intervistato 300 produttori di latte che avevano adottato sistemi di raffreddamento. Il risultato è che un giorno solo di caldo non particolarmente estremo (oltre i 26°C) può ridurre la produzione di latte del 10%, e che tali effetti impiegano dieci giorni prima di svanire.
Come per gli esseri umani, poi, le vacche soffrono di più quando c’è più umidità: dopo i giorni peggiori, dieci giorni non sono sufficienti per tornare alla normalità. Inoltre, purtroppo gli sforzi per mantenere le mucche al fresco sono meno efficaci di quanto sarebbe auspicabile. Già a 20°C si riesce a compensare solo la metà delle perdite, e quando la temperatura sale a 24°C, il recupero si ferma al 40%. E ciò implica che anche le fattorie e gli allevamenti più tecnologicamente avanzati potrebbero non essere pronti per le conseguenze del riscaldamento climatico.
Calo della produzione
Estendendo poi i calcoli ai primi dieci paesi produttori di latte, gli autori hanno previsto un calo della produzione del 4%, con ampie variazioni. Infatti, paesi come India, Pakistan e Brasile avrebbero una diminuzione compresa tra il 3,5 e il 4% al giorno, ma quelli che riescono a compensare meglio, perché investono sui sistemi di raffrescamento come Stati Uniti e Cina, avrebbero un calo compreso tra l’1,5 e il 2,7% sempre per ogni giorno di temperature elevate. Il tutto poi è aggravato da altri fattori di stress come il confinamento e la separazione dai vitelli, che rendono i bovini più fragili e sensibili agli effetti del caldo.
Anche in questo caso, quindi, è necessario un profondo ripensamento dei sistemi attuali di allevamento, perché anche le gestioni più virtuose non riescono a neutralizzare le conseguenze del caldo.
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Giornalista scientifica



Lo studio citato evidenzia chiaramente che un solo giorno oltre i 26 °C riduce la produzione di latte di circa il 10 %, e che i sistemi di raffrescamento compensano solo parzialmente il calo. Un approfondimento utile potrebbe riguardare l’analisi comparativa tra diverse razze bovine italiane nel recupero post‑stress termico, valutando anche la qualità nutrizionale del latte prodotto in estate.
Per quanto riguarda le mucche da latte forse sarebbe interessante una comparazione con quelle allevate nei pascoli di alta montagna, dove le notti sono più fresche e la piovosità non si interrompe completamente anche in estate e non si verificano condizioni di vera e propria siccità. Ma lo stesso può valere per i polli e per alcuni prodotti agricoli.
Lo stress termico sta provocando un cambiamento che nessuno ancora può prevedere un risultato positivo per un problema così grave,e a farne le spese i primi saranno proprio le colture che abbiamo sempre avuto, l’inaridimento del suolo,la perdita di specie autoctone, il valore nutritivo ,in sostanza chi ci rimetterà saranno le fasce più deboli,chi lavora i campi, in maniera corretta,con conseguenze negative sulla salubrità del prodotto,e sulla sulla salute di deve nutrirsi, ed è solamente l’inizio.
Gentile Redazione,
è da qualche decina d’anni che l’IPPC ammonisce gli stolti governanti del pianeta che papà sole non perdonerà chi squilibra l’armonioso equilibrio millenario della nostra atmosfera.
Purtroppo inseguono i fantasmi del potere e di un’economia fittizia, trascurando la salute e l’armonia dei bisogni fondamentali di TUTTI gli essere viventi: l’aria, l’acqua e il cibo, attualmente in fase di progressivo e irreversibile degrado se non si rallenterà, per fermalo, l’utilizzo dei combustibili fossili che utilizzati attualmente per l’80% sul totale delle energie utilizzate, porteranno ireversibilmente all’invibilità del pianeta.
Mamme piante stanno soffrendo, gli amici animali stanno soffrendo, e come avete descritto nell’articolo, noi dipendiamo da loro sempre di più e loro stanno sempre più soffrendo con noi.
Fino a quando? Perchè papà sole ha già deciso da millenni: se non metterete la testa a posto prima vi punirò lessandovi e poi arrostendovi.
Gianluigi
Nel mio piccolo orto casalingo ho notato un fenomeno analogo a quello descritto nello studio.
Ho piantato delle zucche. sia lo scorso anno che questo. Lo scorso anno con tre piante ho raccolto 11 zucche di ottima qualità
Quest’anno se ne sono formate parecchie ma molte si sono disseccate dopo il caldo di fine giugno. Quelle 5/6 rimaste ( su 4 piante) sono molto più voluminose. Per la qualità devo aspettare il raccolto ma dubito che saranno altrettanto gustose.
Preciso che vivo in un’area del nord est, vicina al mare.
Sarà la volta buona che ripopoleremo i paesi abbandonati dell’appennino ritornando ad una agricoltura di sussistenza che obbliga a rapporti sociali più solidi e comporranno una vita più difficile na più umana.
Grazie