A parte i ‘caffè non caffè’ di orzo, cicoria e altri vegetali, infinite sono le varianti del caffè che dipendono da varietà genetiche (Arabica e Robusta), modo di tostare i grani e metodi di preparazione con i più diversi sistemi dalla cuccuma alla napoletana, moka, macchine per l’espresso e ora quelle a capsule. Troviamo il caffè americano, caffè-filtro, per non parlare di quelli disidratati. Inoltre possono essere serviti caldi, freddi, shakerati, come granita e usati dentro a cioccolatini e dolci, bevuti in piedi al bar, seduti al tavolino o a tavola a fine pasto. Sorseggiati con diversi tipi di zucchero, latte, crema o panna, e soprattutto alcolici, dalla grappa alla sambuca. Un elenco questo certamente incompleto perché “paese che vai, caffè che trovi” con gli usi più diversi, come il cappuccino della colazione italiana che diviene una chiusura del pasto tedesco e con aggiunte le più differenti. Recentissimo, ma certamente non ultimo è il caffè all’olio di oliva, con il nome depositato di Oleato presentato prima in America, a Seattle, Los Angeles, Chicago e New York, e oggi anche in Italia, a Milano, nelle caffetterie della catena Starbucks.
“Ohibò – dirà qualcuno, forse bevendo un cappuccino, – cos’è questa assurdità, se non stramberia?” Niente di strano, bisogna rispondergli, se non che invece di un grasso animale, la panna, se ne usa uno vegetale, l’olio d’oliva, d’altra parte dotato di pregiate caratteristiche nutraceutiche e se proprio vogliamo dirle tutte, privo di colesterolo presente nella panna. “Ma io, – potrebbe aggiungere il nostro interlocutore, – soprattutto per il caffè che mi conforta più volte al giorno, sono per la tradizione e non per le innovazioni.” È che cos’è il caffè, si dovrebbe dirgli, se non un’infinita serie d’innovazioni e che proprio da queste deriva anche il suo successo identitario?
E poi che gusto ha il caffè all’olio d’oliva? L’olio d’oliva, nella bevanda calda o fredda, secondo chi l’ha provato, produce un sapore inaspettato, vellutato e burroso che esalta il caffè e indugia magnificamente sul palato. Concludendo che nessuno sarà obbligato a berlo, come ogni altro tipo di caffè dai diversi sapori, questa non ultima contaminazione potrebbe essere una non trascurabile via di valorizzazione dell’olio di oliva, una delle nostre inimitabili tipicità.
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Professore Emerito dell’Università degli Studi di Parma e docente nella Facoltà di Medicina Veterinaria dal 1953 al 2002
Perfettamente d’accordo con quanto dice l’articolo ! Di caffè ce n’è una moltitudine, perchè avere la presunzione che solo quello (anzi QUELLI, perchè sono tanti) che si bevono da noi vanno bene ? Se poi non piace, non si prende !