Oli essenziali di origano e rosmarino per conservare il formaggio. Dall’Università di Valencia creato un Biofilm antibatterico e commestibile
Oli essenziali di origano e rosmarino per conservare il formaggio. Dall’Università di Valencia creato un Biofilm antibatterico e commestibile
Agnese Codignola 23 Dicembre 2014Il problema principale del formaggio fresco è la proliferazione di diversi tipi di funghi, che ne possono compromettere qualità organolettiche, gusto e aspetto, e talvolta comportare qualche rischio, oltreché un danno economico.
Per inibire la crescita dei miceti di solito si utilizza un farmaco chiamato pimaricina o natamicina (E235), spruzzato o polverizzato sulla superficie esterna (non deve essere presente 5 millimetri sotto la crosta, secondo la normativa europea), che assicura al formaggio una shelf life di tre settimane circa, oppure il rivestimento con polietilene. Nessuna delle due soluzioni, tuttavia, è del tutto soddisfacente, e per questo le ricercatrici dell’Institute of Food Engineering for Development dell’Università di Valencia, in Spagna, hanno sviluppato una pellicola del tutto commestibile, di bioplastica, contenente chitosano (una sostanza presente nello scheletro dei gamberetti, che serve a dare consistenza alla soluzione del biofilm) e oli essenziali dotati di una potente attività antibatterica e antifungina: quelli di origano e rosmarino.
Tutti i test effettuati hanno infatti confermato che il biofilm, nel quale il formaggio viene immerso, protegge senza necessità di ricorso all’antibiotico né alla plastica. Non solo. Cento volontari, invitati a esprimere un giudizio sul formaggio con il biofilm, hanno affermato di trovarlo gradevole, anche più di quello senza rivestimento.
L’essenza più potente è quella di origano, e secondo gli autori la pellicola commestibile all’origano, come quella al rosmarino, aiuterebbe i produttori e i rivenditori a risolvere un altro problema: quello delle piccole crepe che si formano spesso nei formaggi, nelle quali i funghi possono crescere indisturbati perché lì la pimaricina non arriva. Il biofilm, al contrario – concludono gli autori su International Journal of Food Studies – arriva in profondità, e da lì può contribuire a ridurre un significativo e inevitabile danno economico.
Agnese Codignola
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Giornalista scientifica
Spero che per produrre questa pellicola non si debba veramente usare lo scheletro dei gamberetti e che il chitosano sia riproducibile in laboratorio. Sennò per risolvere un problema se ne crea uno mille volte maggiore.