Antitrust: Belen Rodriguez in un servizio fotografico su “Chi” compra biberon e latte in polvere in farmacia. È pubblicità occulta: 190 mila euro di multa per il settimanale e le aziende
Antitrust: Belen Rodriguez in un servizio fotografico su “Chi” compra biberon e latte in polvere in farmacia. È pubblicità occulta: 190 mila euro di multa per il settimanale e le aziende
Roberto La Pira 22 Febbraio 2014La foto sul settimanale “Chi” di Belen Rodriguez che, dopo una lunga passeggiata al parco, compra in farmacia biberon e latte in polvere per il suo bambino, sono una forma di pubblicità occulta. Per questo motivo, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm), in una sentenza del 29 gennaio 2014 ha condannato l’editore Mondadori, l’azienda produttrice di biberon (Philips Avent) e quella del latte (Unifarm) a pagare complessivamente una multa di 190 mila euro.
Si tratta di una sentenza importante perché censura pesantemente l’iniziativa del direttore Alfonso Signorini, che propone il servizio di copertina dedicato a Belén Rodríguez rimandando a un articolo di otto pagine interne. Il reportage, datato aprile 2013, è arricchito con numerose fotografie della neo mamma e del suo compagno al parco e di una pagina che riprende i due mentre fanno spese in farmacia e comprano un biberon e una scatola di latte in polvere. A fianco ci sono due fotografie più piccole che mostrano in primo piano il biberon Avent e il latte in polvere Neolatte con didascalie in cui viene descritta la tipologia e il prezzo. Secondo l’Agcm, si tratta di pubblicità occulta, perché le foto e le didascalie sono un tutt’uno con l’articolo giornalistico, anche se si possono considerare a tutti gli effetti una promozione.
Secondo la sentenza, che dovrebbe uscire nei prossimi giorni e che Il Fatto Alimentare ha esaminato in anteprima, si tratta di pubblicità occulta, non esistendo alcun motivo per dedicare una pagina intera del servizio alla foto di Belen in farmacia e a focalizzare l’attenzione sui due prodotti. Nell’intervista, la showgirl dice di allattare il suo bambino al seno e di integrare in parte con il biberon, e una frase del genere non giustifica la presenza di fotografie così grandi e particolareggiate, in cui si specifica in modo puntuale il tipo di latte e di biberon affiancati da marchi e prezzi.
Leggendo la sentenza sembra che il progetto sia una scelta del direttore Alfonso Signorini, visto che non sono state trovate prove dirette del coinvolgimento delle due società (Avent Philips e Unifarm). Infatti per l’inserimento dei prodotti non sembrano siano state interpellate due aziende prima del servizio e non risulta alcun pagamento a fronte del reportage fotografico. Una prova del mancato accordo emerge da alcuni elementi acquisiti nel corso delle indagini e dal fatto che il biberon pubblicizzato risulta un articolo in esaurimento e sarebbe abbastanza inutile per un’azienda promuovere un prodotto destinato a non essere più venduto. Anche per Neolatte non sembrano esserci accordi, inoltre la policy aziendale non prevede pubblicità per il latte in polvere quando si parla di bambini con meno di sei mesi. C’è di più: dalla sentenza emerge che la Unifarm, informata delle indagini in corso, abbia comunicato alla Mondadori l’intenzione di rivalersi e di chiedere i danni o quanto meno il rimborso dell’eventuale multa. Anche se tutto il servizio è incentrato sulla famiglia di Belen Rodriguez, la showgirl non sembra avere un ruolo attivo nella vicenda, e si può quindi ritenere che l’inserimento della pubblicità occulta sia avvenuto a sua insaputa.
L’Autorità pur evidenziando elementi che lascerebbero ipotizzare l’assenza di committenza tra le due aziende e la rivista “Chi”, alla fine ha deciso di condannare anche i due produttori. Siamo di fronte a una sentenza esemplare che farà molto discutere, perché focalizza l’attenzione dei media sul malcostume diffuso in diverse testate di proporre all’interno di veri articoli, alcune parti dedicate alla pubblicità occulta dei prodotti.
Roberto La Pira
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
Ma su quale base si possono condannare due aziende senza che venga provato il loro coinvolgimento nella questione?
Sulla base di “si presume che…”?
Oltre ad essere una pubblicità occulta viola pesantemente il Codice Internazionale sulla Commercializzazione dei sostituti del latte materno (www.ibfanitalia.org). In Italia la legge è meno restrittiva rispetto al codice stesso, ma è comunque vietato fare QUALSIASI pubblicità al latte in formula di tipo 1 (come quello della foto). Quindi c’è pure un altro reato da considerare.
Sì è vero, la norma vieta la pubblicità del latte per bambini molto piccoli. La sentenza accenna a questo aspetto.
SINCERAMENTE MI SEMBRA UNA ” CAVOLATA “. I reati da perseguire sono ben altri !
Ribadisco. Tanti soldi e tempo dei Magistrati ecc. sprecati per UNA CAVOLATA. BASTA CON I TALEBANI DEL LATTE IN POLVERE.Come Pediatra so che in molti casi è INDISPENSABILE. Da perseguire sarebbero i PEDIATRI e i CENTRI DI NEONATOLOGIA CHE VENGONO ” SPONSORIZZATI ” DALLE CASE PRODUTTRICI !!
Letto l’articolo, solo se vi sia veramente la PROVA PROVATA del dolo, nulla da obbiettare alla multa, che comunque dalle risultanze riportate da La Pira, sembrerebbe inutile ed eccessiva, e col dubbio di obbiettivi velatamente diversi. Sembra comunque molto strano che l’Authority si interessi così a fondo di Belèn e di uno “spillo” pubblicitario, quando invece dall’altra parte si fa sfuggire “l’elefante”: per alimenti (yogurt, latti altopastorizzati di proseguimento, perfino un latte UHT sardo, etc.) destinati soprattutto ai bambini, si propaganda su stampati ed etichette di prodotti finiti e perfino in televisione (YO-YO) fuori da ogni evidenza legale, l’utilizzo, come materia prima, di “latte fresco di Alta Qualità”, quando la legge (169) è chiarissima e attribuisce tale dizione(Latte fresco pastorizzato di A.Q.) esclusivamente come norma di etichettatura ,a fronte di requisiti chimico-fisici conseguenti a precisi trattamenti tecnologici e dimostrabili obbligatoriamente sul prodotto finito confezionato destinato alla vendita. E non ci si vuol accorgere che NON ESISTE legalmente la materia prima “Latte crudo di Alta Qualità”, ma solo latte ormai di usuale buona qualità, destinABILE anche (D.M.185), alla produzione di “latte fresco pastorizzato di Alta Qualità” destinato al consumatore finale, a fronte di trattamento termico blando e preciso, entro tempi e modalità prescitti ,con parametri dimostrabili (sieroproteine non denaturate etc.) sul prodotto GIA’ destinato al consumatore ( quindi già confezionato, in vendita come LATTE ALIMENTARE). E pensare che questi argomenti sono stati già evidenziati e dibattuti sulla stampa specializzata(ALIMENTA) , evidentemente sfuggiti all’Authority che legge attentamente il settimanale CHI.
Speriamo che l’Authority legga IL FATTO ALIMENTARE.
Sono 2 argomenti completamente diversi.
Qui parliamo di azioni minatorie contro l’allattamento al seno a promozione di latti nella maggior parte inutili se non dannosi, oltreché costosi.
Suggerisco la lettura del Codice Violato
http://www.ibfanitalia.org/wp-content/uploads/2012/10/ICV2011.pdf
PS: Inverosimile che non via sia il coinvolgimento dei produttori, suvvia…
Che sia inverosimile sono d’accordo…ma condannare le aziende senza le prove…
Ecco il documento AGCM:
http://46.37.15.22/trasp-statistiche/doc_download/4100-ps8967.html