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La didascalia fornisce informazioni che non hanno alcun collegamento con l’articolo, ma dimostrano l’intento pubblicitario

Il Tar del Lazio ha confermato la condanna a pagare complessivamente una multa di 190 mila euro ne confronti del direttore di Chi  Alfonso Signorini  (editore Mondadori) per avere fatto pubblicità occulta a favore di Philips Avent (produttrice di biberon) e  di Unifarm  (produttrice di latte in polvere). Il fatto si riferisce ad un lungo articolo che aveva come protagonista inconsapevole  Belen Rodriguez fotografata mentre acquista latte in polvere e biberon in una farmacia come aveva riferito  Il Fatto Alimentare riportando l’esito del giudizio espresso dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm).

 

Il Tar del Lazio ha  infatti rigettato i ricorsi di Mondadori e Philips per chiedere l’annullamento della multa e ha confermato  il provvedimento emesso dall’Agcm. Ma in cosa consisteva la pubblicità occulta? L’articolo del settimanale Chi intitolato “Belen con il suo Santiago” riportava due foto con alcuni prodotti per l’infanzia in mano a Belen: il biberon Avent prodotto da Philips e il latte artificiale ‘Neolatte’ di Unifarm S.p.A., pure sanzionata dall’Agcm. Le didascalie delle foto non lasciavano dubbi: venivano citate caratteristiche di prodotto e costi e per questo il Tar del Lazio ha stabilito che non ci potesse essere un altro motivo, all’infuori della trovata pubblicitaria, per pubblicarle. Anche in assenza di un rapporto di committenza, quindi, la pubblicità occulta può essere identificata attraverso altri elementi, come la presenza di informazioni non legate all’articolo, ma al prodotto.

 

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La copertina del settimanale “ChI” con il servizio ritenuto dall’Agcm un esempio di pubblicità occulta

In questo specifico caso, inoltre, lo scambio di email interne tra le aziende in cui si parlava con soddisfazione della visibilità acquisita dal marchio del biberon, ha sicuramente contribuito alla conferma del provvedimento. Il Tar le ha ritenuto congrue anche le sanzioni in ragione del principio secondo il quale, in materia di pubblicità ingannevole, l’entità della sanzione non deve commisurarsi ai ricavi sul singolo prodotto oggetto della pubblicità, bensì all’importanza e alle condizioni economiche dell’impresa, proprio al fine di garantirne un’efficacia deterrente.

Sara Rossi

© Riproduzione riservata

Foto: iStockphoto.com

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