Nel febbraio 2022 scoppia la guerra in Ucraina e il prezzo dell’olio di girasole in poche settimane schizza alle stelle. Il prezzo, da 1.290 €/t,  lievita in modo incredibile per le difficoltà di approvvigionamento dovute al blocco navale imposto dalla Russia. Solo a novembre l’olio torna ad essere quotato sulla piazza di Milano a 1.500 €/t. Gli effetti al supermercato sono immediati e i titoli sui giornali riassumono bene la situazione: “Olio di girasole come oro”, “Prezzi alle stelle” e diversi servizi segnalano la scomparsa delle bottiglie dagli scaffali nonostante la lievitazione dei listini.

A distanza di 13 mesi dall’inizio della guerra la situazione sembra stabilizzata: l’olio di girasole si trova regolarmente e il prezzo è tornato ai livelli di un anno fa. Questa situazione di normalità viene rimarcata da Assitol (Associazione Italiana dell’Industria olearia aderente) che in una nota ricorda l’importanza dell’olio di girasole per l’industria alimentare italiana. Ne consumiamo circa 800mila tonnellate l’anno soprattutto per la produzione di conserve, salse, biscotti, merendine, prodotti da forno, maionese, creme spalmabili oltre all’impiego come olio di frittura. L’industria italiana ne produce soltanto 150mila tonnellate e il resto veniva importato, soprattutto dall’Ucraina che, insieme alla Russia, prima della guerra, rappresentava il 60% della produzione mondiale di olio di girasole e circa il 75% dell’export mondiale. Il dato positivo è che l’Ucraina, nonostante la guerra, è riuscita a garantire l’esportazione puntando oltre al trasporto via mare, anche su quello ferroviario e su gomma e i prezzi si sono progressivamente sgonfiati dall’estate dell’anno scorso allineandosi ai livelli precedenti la guerra.

crema spalmabile cacao e nocciole biscotti
In Italia consumiamo circa 800mila tonnellate l’anno soprattutto in conserve, salse, biscotti, merendine, prodotti da forno, maionese e creme spalmabili

Per questo motivo da alcuni mesi, le associazioni dei consumatori e le organizzazioni agricole chiedono che sulle confezioni dei prodotti alimentari si ritorni all’etichettatura di un anno fa, che prevedeva l’indicazione chiara di tutti gli oli presenti. Si tratta di sospendere la deroga che consente di riportare nella lista degli ingredienti vegetali potenzialmente la dizione generica della categoria oli e grassi vegetali, seguita dalle origini presenti, in considerazione delle forniture disponibili – es. “oli e grassi vegetali (girasole, palma, mais, soia, ecc.)”

Un anno fa la deroga è stata salutata con una certa soddisfazione da molte aziende che, poco attente alla salute del consumatore e più al portafoglio, hanno colto l’occasione per reintrodurre in grande quantità nei prodotti da forno e di molti altri alimenti l’olio di palma in sostituzione del girasole. Si è tornati indietro di qualche anno quando non si doveva dichiarare in etichetta la natura dei grassi utilizzati e il 90% delle aziende alimentari usava grasso tropicale di palma di mediocre qualità. L’impiego di questo grasso ha un grosso impatto sia a livello nutrizionale per  l’elevata presenza di grassi saturi, sia economico visto che costa almeno tre volte meno del burro e decisamente meno del girasole. Con l’entrata in vigore della legge 1169 (del 2011) nel 2014, non è stato più possibile nascondere l’olio di palma dietro la generica scritta in etichetta “oli vegetali”, ma va indicata con precisione la natura dell’olio usato.

La campagna con la raccolta firme contro l’olio di palma del 2014

In Italia grazie alla campagna contro la presenza esagerata dell’olio di palma, portata avanti nove anni fa da Il Fatto Alimentare con Great Italian food trade, e alla crescente pressione da parte dei consumatori, l’industria alimentare ha progressivamente abbandonato il grasso tropicale. La campagna invitava i produttori a limitarne l’uso trattandosi di un ingrediente con una quantità di acidi grassi saturi simile al burro, i consumatori non si rendevano conto che bastava mangiare durante la giornata una brioche, 4 biscotti e una cotoletta per assumere quasi 20 grammi di grassi saturi. La resistenza delle aziende veniva giustificata con la falsa motivazione che l’olio di palma  era necessario per garantire la giusta consistenza a torte, merendine e creme spalmabili. Dopo la nostra campagna la stragrande maggioranza delle industrie alimentari italiane ha sostituito il grasso tropicale con l’olio di girasole e in misura minore con altri oli di semi (colza, mais…) senza ledere la texture dei prodotti ma migliorandone decisamente e il valore nutrizionale.

La scelta del tipo di grasso nei prodotti da forno è fondamentale per un’impresa perché rappresenta l’ingrediente più costoso visto che farina, zucchero e uova hanno prezzi decisamente inferiori. Adesso il prezzo dell’olio di girasole è tornato a essere quello di un anno fa per cui le aziende alimentari che hanno modificato le loro ricette, adesso possono ricominciare a utilizzarlo, eliminando l’olio di palma. Anche i consumatori dovrebbero scegliere con attenzione i prodotti, evitando quelli che riportano in etichetta la presenza del mediocre olio tropicale che infatti, anche se costa poco, non si trova sugli scaffali del supermercato.

NOTA. L’elemento che accomuna burro e palma è l’aspetto solido a temperatura ambiente e la composizione di acidi grassi saturi simile. Per  questo motivo è bene consumare con moderazione i prodotti che li contengono. La differenza sostanziale è che il burro è considerato il grasso di eccellenza dei prodotti da forno per il sapore inconfondibile. Il grasso di palma è invece considerato di mediocre qualità ma viene utilizzato dalle aziende più attente ai costi di produzione  che alla qualità del prodotto e agli aspetti nutrizionali dei consumatori. L’olio di girasole è più costoso del palma svolge una funzione simile nei prodotti da forno e ha il vantaggio di avere pochi grassi saturi e quindi non risulta problematico da un punto di vista nutrizionale.

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Roberto La Pira - 15 Marzo 2023
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