Barilla, il marchio di pasta italiana più famoso nel mondo, da sempre importa il 30-40% di grano duro per preparare spaghetti, linguine e penne. La cosa è rimasta un segreto per decenni. La rivelazione ufficiale viene annunciata nel Rapporto di sostenibilità del 2011, poi diventa uno spot nel 2017 e una pagina web nel 2018, in cui si elencano persino i Paesi di origine (Francia, Stati Uniti e Australia)
Anche gli ingredienti di biscotti, cracker, merendine… Mulino Bianco (proprietà della Barilla) sono importati da Paesi europei e extra europei per il 60-70%. Gli arrivi dall’estero non riguardano solo cacao, spezie, olio di cocco e altri prodotti “tropicali”, ma anche il 56% del frumento tenero da cui si ricava la farina, buona parte dell’olio di girasole (Ucraina, Ungheria, Spagna e Francia), del burro (Francia, Germania, Gran Bretagna e Spagna) e persino l’olio extravergine è solo in parte italiano, una grossa percentuale arriva da: Spagna, Grecia e Tunisia.
Latte fresco, panna e yogurt sono italiani ma gli altri tipi di latte in polvere e anche tutto il burro, compreso quello bio, arriva dall’UE. Buona parte dello zucchero è italiano ma un po’ arriva da Olanda e Germania. Le confetture di pesche, frutti di bosco e fichi sono dell’Ue come pure tutte le puree di frutta, i succhi di limone e arancia UE e Sud America. Il 95% delle uova è italiano.
I motivi sono i più disparati, il prezzo, la quantità, la qualità… alla fine però il risultato è quello che conosciamo tutti. La stessa cosa avviene in decine di altre aziende italiane. La politica portata avanti dalla lobby di Coldiretti contro l’importazione di materie prime che ha convinto politici e media è frutto di una visione miope, volta a proteggere interessi di bottega, non certo quelli degli italiani e delle nostre aziende.
Fermo restando il corretto principio di privilegiare le materie prime nazionali, le storielle propagandate dalle lobby per svilire le importazioni alimentari sono davvero ridicole. Sono state inventate accuse contro il grano importato carico di micotossine e glifosato, è stata poi la volta della favola del concentrato di pomodoro cinese e delle cosce di maiale olandesi destinate ai prosciutti Dop. Qualcuno ignora che ogni anno almeno il 30-40% dell’olio extravergine viene importato da Grecia, Spagna e Tunisia perché quello italiano non basta; che il latte a lunga conservazione arriva dalla Germania perché quello nazionale non è sufficiente, per non parlare della carne e di decine di altre materie prime. Invitiamo i nuovi politici che si dovranno occupare di agricoltura e alimentazione, ad analizzare la situazione ignorando i comunicati allarmistici di Coldiretti e dei suoi fan.
La realtà è che buona parte delle aziende italiane non potrebbero produrre biscotti, pasta, cracker, e tanto olio senza importare materie prime. Chi si oppone al mondo globalizzato non è da biasimare, ma se si vuole presentare il made in Italy come un esempio di eccellenza bisogna conoscerne i meccanismi e accettarne le logiche altrimenti stiamo prendendoci in giro.
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Foto: Mulino Bianco
[sostieni]
Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
Mi permetto solo di sottolineare che l’Italia non importa farine di frumento tenero ma solo frumento tenero, in misura del 60 percento circa del suo fabbisogno. E il nostro Paese è carente in particolare in frumento tenero biscottiero e in frumento tenero di forza (per la produzione di prodotti di lunga lievitazione).
Grazie corretto
Gli interessi di bottega sono trasversali ed ognuno se li cura fregandosene ampiamente di quello degli altri appartenenti alla stessa filiera.
Non è questo lo spirito con cui si approccia la questione agroalimentare, successo italiano per molti, maledizione per molti altri.
Quote latte, prezzi di mercato globalizzato, politiche miopi e lobbistiche, territorio frazionato e scomodo, produttori isolati, costi energetici i più alti d’Europa e nel mondo, speculazioni, truffe commerciali, nascondimenti diffusi, scarsi investimenti infrastrutturali, ecc..
Se il presidente della nazione più ricca e sviluppata al mondo mette dazi doganali alle merci importate, forse qualche problema fuori portata e controllo di alcune categorie nostrane di produttori deve pur esserci.
Questioni irrisolte e gravose, di una situazione pesante e complessa che non si può risolvere con semplificazioni a carico di una sola categoria di operatori, ma richiedono un’analisi più ampia che speriamo la nuova classe dirigente politica metta in atto, altrimenti in Italia cambierà di nuovo nulla, come negli ultimi decenni.
Vivo in Brasile e compro sempre prodotti italiani, pagando anche più costosi, perché pensavo fossero veramente italiani, senza transgenici e senza pesticidi. Ora ho intenzione di ripensare. Il made in Italy non è più affidabile.
Cara signora da che mondo e mondo il Made in Italy è ciò che si produce in Italia a prescindere dalle materie prime che possono essere non italiane se quelle che si acquistano all’estero sono migliori delle nostrane.
Poi non vedo cosa centrino i transgenici e i pesticidi: di OGM non si lavora credo nulla in Italia.
Penso soltanto che se fosse possibile bisognerebbe sostenere una campagna a favore dei veri e seri controlli di tutta la filiera agroalimentare (dall’origine del seme alla vendita del prodotto vegetale, così come dall’origine dell’animale riproduttivo alla “fettina”di carne venduta), facendo accertamenti sui metodi e tempi di sospensione dell’uso ormai indiscriminato di anticrittogamici per i vegetali e di antibiotici per gli animali.
Sono d’accordo con l’autarchia alimentare.
Basta importare materie prima dall’estero! Il caffé italiano deve essere fatto solo con caffé colvitato in Italia.
E basta con tutta questa cioccolata fatta con cacao estero, pieno di pesticidi! Non inganniamo i consumatori: il cacao deve essere rigorosamente italiano, coltivato in maniera tradizionale sulle nostre colline che da millenni sono vocate a questa coltivazione.
Mi sono anche stufato che nelle lasagne si usi noce moscata di importazione. Compriamo quella valdostana che è ottima.
Dovrebbero fare così tutti i paesi. Sarebbe meraviglioso.
Se tutti i prodotti italiani restassero in Italia, senza alcuna esportazione o importazione, sparirebbe persino la preoccupazione dell’Italian sounding, perché non ci sarebbe più l’industria alimentare italiana.
Mi domando solo se consentire il baratto tra il proprietario di un orto e l’altro, oppure anche scambiando pomodori con il vicino si rischia di perdere il legame con il territorio?
Scusa La Pira, articolo sensato ma titolo fuorviante
Primo bisogna intenderci che Made in… deriva dal luogo di produzione e come sappiamo fare i prodotti noi italiani, per alcune tipologie di alimenti, non li fa nessuno in Europa e nel mondo, tanto che veniamo copiati.
Secondo, se le materie prime le acquistiamo dall’estero è perché qualche volta sono migliori delle nostre o perché le nostre sono dedicate a produzioni particolari (vedi i nostri numerosi DOP) e non sono sufficienti per coprire l’intero fabbisogno delle produzioni (vedi carni, frumento di grano tenero, olio che non sia quello EVO). Poi che ci sia qualche azienda che per la propria produzione si affida interamente a una filiera italiana o del biologico, tanto di cappello ma bisogna essere disposti a pagare i prodotti un po’ di più o a non trovarli nelle insegne più importanti.
Terzo, dato che tutte le materie prime ormai sono tracciate all’origine, alle aziende costerebbe poco ormai dichiarare l’origine almeno dell’ingrediente primario. Con buona pace di noi consumatori. Adesso c’è una pure specifica di legge che definisce i criteri dell’art. 26del Regolamento Info Consumatori sulla dichiarazione d’origine: non è perfetto ma è comunque qualcosa.
Concordo con Giuseppe per le sagge considerazioni ed aggiungo che al di là dei giusti principi, che sono soggettivamente giusti per ogni categoria di pensiero e di business, la mission di ogni produttore è quella di soddisfare la clientela che acquista e sceglie i suoi prodotti.
Il marketing aziendale e le varie associazioni di categoria non possono permettersi di fare astratte questioni di principio, ma devono ottimizzare e massimizzare la resa delle proprie attività, pena la sopravvivenza.
Quindi se il mercato (dei consumatori) chiede, i produttori saggi e previdenti producono secondo domanda.
I più bravi riescono ad anticiparla e spesso ad indirizzarla, la maggioranza segue ed i ritardatari subiranno la loro inerzia e rigidità con cali di fatturato e d’immagine.
Barilla non ha certo anticipato le tendenze di mercato, ma si adegua con proposte in linea di tendenza, che le permettono di non perdere l’onda.
Alla fine i consumatori chiedono solamente maggiore trasparenza per poter scegliere in modo informato e consapevole cosa portano a tavola ed alla fine verranno premiati quei produttori che intercettano e soddisfano queste richieste.
L’articolo non è stato scritto per colpevolizzzae le politiche di Mulino Bianco ma per evidenziare che in un mondo globalizzato le politiche delle lobby come Coldiretti sostenute da parlamentari e istituzioni varie contro grano, concentrato di pomodoro, olio, latte , carne e altri prodotti importati è solo uno specchietto per allodole.
L’articolo non è stato scritto per colpevolizzzare le politiche di Mulino Bianco ma per evidenziare che in un mondo globalizzato le politiche delle lobby come Coldiretti sostenute da parlamentari e istituzioni varie contro grano, concentrato di pomodoro, olio, latte , carne e altri prodotti importati è solo uno specchietto per allodole.
L’articolo non è stato scritto per colpevolizzare le politiche di Mulino Bianco ma per evidenziare che in un mondo globalizzato le politiche delle lobby come Coldiretti sostenute da parlamentari e istituzioni varie contro grano, concentrato di pomodoro, olio, latte , carne e altri prodotti importati è solo uno specchietto per allodole.
L’olio extravergine viene importato soprattutto perché ha un prezzo molto più basso del nostro (se il prezzo fosse uguale non lasceremmo raccolti sugli alberi come talvolta succede). Magari guardiamo anche il perché ha questo prezzo, se le condizioni climatiche e del terreno sono ottimali, lo sono anche i salari degli agricoltori che li producono? Hanno le stesse tutele contrattuali dei nostri (e non sono un gran ché…)? Vada per la Spagna, ma per la Grecia o per la Tunisia qualche dubbio mi viene. Indichiamo in etichetta la provenienza della materia prima, se il prodotto è ottimo non ci sarà nessuna ripercussione commerciale (… o no?!?).