Il 62% di tutto ciò che bevono i bambini e i ragazzi americani è rappresentato da bibite zuccherate o dolcificate, in un mercato – quello delle bevande per i più giovani – che, nel suo insieme, frutta 2,2 miliardi di dollari. Si capisce quindi perché, nel solo 2018, le aziende abbiano speso 20,7 milioni di dollari per pubblicizzare prodotti con zuccheri aggiunti soprattutto verso gli under 12, come confermato anche dal fatto che i bambini di questa fascia di età vedono il doppio di spot pubblicitari di bibite zuccherate rispetto a quelli di bevande senza zuccheri o dolcificanti.
Questi sono alcuni dei principali dati contenuti nel rapporto sui consumi di bibite tra bambini e ragazzi relativo al 2018, elaborato dal Rudd Center for Food Policy & Obesity dell’Università del Connecticut, in risposta all’impegno ufficiale assunto pochi mesi fa dalle principali associazioni di nutrizionisti per raggiungere un obiettivo. F ar sì che i bambini con meno di 5 anni bevano solo acqua, latte vaccino, e succhi di frutta in quantità assai limitate. Il rapporto fornisce anche una dettagliata analisi dei comportamenti delle aziende, identificando alcuni dei punti più critici così come i piccoli passi in avanti, e indicando i settori nei quali sarebbe più urgente intervenire.
Per inquadrare la situazione, gli autori hanno esaminato le vendite, la pubblicità, il contenuto nutrizionale e il packaging delle 34 bevande zuccherate e/o dolcificate artificialmente e delle 33 bibite senza zuccheri o edulcoranti più vendute, e hanno tratto alcune conclusioni importanti su ciascuno degli aspetti valutati.
Per quanto riguarda il packaging, secondo gli autori, i claim sulle etichette, così come la similitudine tra le confezioni delle diverse bevande, con e senza zuccheri, confonde i genitori. Per esempio i succhi di frutta in genere contengono attorno al 5% di zuccheri, ma l’80% delle confezioni, oltre a riportare frutta in vario modo, reca anche scritte come “privo di” o “con meno” ingredienti, come gli zuccheri o lo sciroppo di glucosio, e lo stesso vale per i prodotti dolcificati. Oltre a ciò, alcune bevande contengono un mix di dolcificanti di varia natura come la stevia e gli zuccheri: nel 74% di quelle zuccherate è stato trovato anche un dolcificante, ma la presenza di edulcoranti spesso non è evidenziata a sufficienza. Infine, moltissime bibite hanno confezioni che suggeriscono un prodotto sano, con frutta o verdura, anche quando non è così. E per comprendere di che cosa si tratta, è necessario leggere le etichette nutrizionali e conoscere i nomi tecnici, come per esempio l’acesulfame K o il sucralosio. Il commento degli autori è lapidario: “Il genitore non dovrebbe essere un nutrizionista per capire che cosa c’è dentro”.
Vanno comunque registrati alcuni piccoli progressi. Tra gli altri, le aziende hanno iniziato a vendere acque aromatizzate non zuccherate, che contengono solo acqua e succhi, la maggior parte delle quali apporta 50 calorie o meno a porzione: un passo in avanti. Inoltre, personaggi famosi dei cartoni appaiono solo in succhi di frutta al 100%, con una sola eccezione di una bevanda alla frutta, con un netto miglioramento rispetto al 2014. Infine, solo la Kraft Heinz continua a pagare pubblicità televisive nei programmi per bambini; le altre aziende, che pure spendono molto, hanno diversificato e formalmente tenuto fede all’impegno di evitare questo tipo di spot.
Gli autori suggeriscono quindi alcuni interventi per fare altri passi avanti. Per esempio, un terzo delle bevande contiene ancora 16 grammi di zucchero o più per porzione, equivalenti a quattro cucchiaini di zucchero, cioè a più della metà di tutto lo zucchero consigliato in un giorno: si può fare di più sulle ricette. Inoltre, solo quattro dei 13 succhi al 100% analizzati erano in confezioni appropriate per un bambino da 1 a 3 anni, e alcuni contenevano quantità di zucchero vicine al massimo raccomandato per tutta la giornata tra i 4 e i 6 anni. Anche da questo punto di vista c’è spazio per un significativo miglioramento.
I produttori dovrebbero migliorare – e non di poco – anche il packaging, quanto a chiarezza delle informazioni, almeno su zuccheri, dolcificanti e succhi naturali. Dal canto loro, le aziende che hanno aderito alla Children’s food and beverage advertising initiative (o Cfbal, iniziativa volontaria per la limitazione e regolazione della pubblicità) dovrebbero definire degli standard validi per tutti in linea con quanto indicato dai nutrizionisti, e soprattutto dovrebbero abolire qualunque forma di pubblicità rivolta a bambini e ragazzi.
La Fda, dal canto suo, dovrebbe obbligare chi vuole apporre un claim a rispettare alcuni standard e vietare le immagini di frutta e verdura sulle confezioni che contengono pochissimo succo, o che non ne contengono affatto. Infine, le sugar tax locali e statali dovrebbero includere sempre anche i succhi di frutta e le acque aromatizzate per bambini, per scoraggiarne l’acquisto.
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Giornalista scientifica