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Secondo il Modello di profilo nutrizionale e promozionale (NPPM) dell’Ufficio Regionale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per l’Europa, gli alimenti per neonati e bambini (baby food) non dovrebbero recare, sulla confezione, claim relativi ai nutrienti, alla composizione, a effetti sulla salute o frasi ispirate da una strategia commerciale, ma dovrebbero limitarsi a descrivere con veridicità il prodotto, senza enfasi improprie. Quanto è rispettata quell’indicazione? Per scoprirlo, gli epidemiologi della Facoltà di medicina e scienze della salute dell’Università di Aukland, in Nuova Zelanda, hanno analizzato decine di prodotti venduti sul mercato nazionale, e scoperto che la realtà, purtroppo, è molto lontana da quelle indicazioni.

L’indagine sul baby food

Per avere un quadro realistico, i ricercatori hanno selezionato oltre 210 prodotti, 167 dei quali per neonati fino a 11 mesi e 43 per bambini di età compresa tra uno e tre anni, lasciando fuori il settore dei latti artificiali. Tra le categorie studiate rientravano i latticini, i cereali, i dolci, le puree e gli smoothie di frutta, pappe e omogeneizzati salati e i finger food. Quindi hanno controllato che cosa c’era scritto sulle confezioni, e la conformità con le indicazioni dell’OMS.

Come hanno poi riferito su Nutrition & Dietetics, il primo elemento a risultare evidente è stato il fatto che tutti i prodotti presi in considerazione, nessuno escluso, avevano diciture di vario tipo. E non si trattava mai di una sola: in media ne avevano 7,5 a confezione, in un range che andava da 3 ad addirittura 15. I claim più numerosi riguardavano l’aspetto nutrizionale (4 in media), seguiti dalle diciture di marketing (3,3 per prodotto), e da quelle legate alla salute (0,2).

Le scritte più popolari

Andando poi a vedere la tipologia delle affermazioni, i ricercatori hanno visto che la più sfruttata era quella che escludeva la presenza di qualcosa, per esempio: senza conservanti, coloranti o aromi artificiali, senza zuccheri aggiunti, senza sale, senza OGM, senza pesticidi, senza solfiti, senza grassi aggiunti e così via. Un’altra grande categoria era quella relativa al marketing, con frasi relative, per esempio, alla presenza di uno o più ingredienti biologici, o all’equivalenza a un certo numero di porzioni di frutta o verdura, o all’aggiunta di elementi quali le vitamine e i sali minerali (che a casa non può essere fatta). 

bambino che gioca con tre vasetti di omogeneizzato, baby food
Lo studio ha rilevato la presenza di un qualche tipo di claim su tutto il baby food analizzato

Infine, anche le diciture sulla salute andavano forte, con le sottolineature su effetti quali l’aiuto a uno sviluppo armonico, il rinforzo del sistema immunitario, quello della masticazione (dato da biscotti) e del coordinamento bocca-mani, o lo stimolo alla curiosità dei bambini. Il 77% dei cereali ne aveva una, seguito dal 34% degli snack e finger food.

Frutta e verdura spopolano (sulle confezioni)

Due terzi (il 68%) dei prodotti aveva una qualche dicitura relativa alla naturalezza (intesa come assenza o riduzione delle lavorazioni) e alla freschezza. Inoltre, anche se il 60% aveva immagini di frutta, nella maggior parte dei casi la quantità di frutta presente era davvero minima, c’erano quasi sempre zuccheri della frutta e in un caso su cinque la frutta era meno del 5%. Lo stesso vale per la verdura, rappresentata sul 40% delle confezioni. 

La stessa imprecisione si ritrovava nelle frasi esplicative, che sembravano studiate per confondere i genitori. Per esempio, nei prodotti salati come gli omogeneizzati si parlava spesso di carne, lasciando intendere che fosse il componente principale, quando invece si trattava di una percentuale minoritaria. Così, un ragù di manzo e verdure in realtà era un ragù vegetale al 90%, con un 10% di carne.

Vietare tutti i claim sul baby food?

In attesa che le leggi nazionali recepiscano le indicazioni dell’OMS, traguardo che al momento non si intravede, secondo gli autori è indispensabile porre un freno a questo caos, anche perché a rimetterci sono i più vulnerabili, che una volta acquisite abitudini scorrette se le porteranno dietro per molto tempo, se non per sempre. Secondo loro si dovrebbero obbligare i produttori a rispettare la verità, e a dire che un pasto è manzo solo se il manzo è maggioritario, o che un dolce è alla frutta se contiene quasi solo frutta, e non zuccheri della frutta e altro. Lo stesso principio dovrebbe valere per il grande ambito delle diciture naturalistiche che, in Nuova Zelanda come altrove, sono una specie di far west, dove ognuno scrive quello che crede, pur di ammantare il proprio alimento di un’aura di naturalezza.

In ogni caso il campo è talmente vasto che la soluzione più semplice sarebbe proprio quella dell’OMS: se si vietasse qualunque claim e si permettesse di scrivere solo il contenuto in modo chiaro i genitori potrebbero davvero scegliere consapevolmente il meglio, senza farsi incantare dalle sirene di un marketing troppo spesso scorretto.

© Riproduzione riservata Foto: Fotolia, Depositphotos

Giallone 03.07.2025 dona ora

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Claudia
Claudia
2 Ottobre 2025 11:37

Sempre traguardi lenti.
Ho 60 anni e non ho idea di quanto siano migliorati questi prodotti per bambini, anzi per genitori che sempre più di corsa usano prodotti confezionati, anche condizionati da suggerimenti errati
Su questi prodotti in particolare, ma anche a succhi di frutta e bibite varie, in riferimento soprattutto agli zuccheri contenuti, ci vorrebbe una etichetta aggiuntiva: nuoce alla salute, con fotografie varie, denti cariati per esempio, come per le sigarette!