La fase in cui i bambini passano da un’alimentazione basata solo sul latte al cibo solido è sempre impegnativa, non solo per i piccoli ma per tutta la famiglia, che segue e accompagna questo passaggio. Chi si trova – o si è trovato – in questa situazione sa che esistono indicazioni, linee guida e raccomandazioni, non di rado in disaccordo fra loro. Fino a pochi anni fa (e in diversi casi ancora oggi) la maggior parte dei pediatri consigliava di introdurre gradualmente i cibi, iniziando con pochi – di solito mela, patata, carota e zucchina – da proporre sotto forma di passato o brodino.
Chi oggi ha bambini piccoli avrà certamente sentito parlare di autosvezzamento, un approccio diverso, definito anche, più precisamente, ‘alimentazione complementare a richiesta’. Con alimentazione complementare si intende l’introduzione nella dieta dei lattanti di alimenti diversi dal latte (materno o artificiale). In questa fase e per un periodo di tempo variabile a seconda dei bambini, il latte rimane l’alimento principale, per poi perdere progressivamente importanza.
L’alimentazione complementare a richiesta, sostenuta anche dall’Associazione culturale pediatri, non reputa necessario seguire ricette precise, o tanto meno acquistare pappe pronte, da aggiungere gradualmente alla dieta. Il sistema è molto più semplice, basta proporre al bambino quello che lui vuole assaggiare, prendendolo dalla tavola dei genitori. Naturalmente il cibo va ridotto in piccoli pezzi e l’operazione va sempre seguita dall’adulto.
I motivi per cui si consigliava un’introduzione graduale degli alimenti erano legati alla convinzione che questo fosse necessario per assecondare i tempi di maturazione dell’apparato digerente e per prevenire la comparsa di allergie. In realtà, diverse ricerche hanno dimostrato che intorno ai sei mesi l’apparato digerente del bambino è in grado di tollerare qualsiasi alimento. E anche per quanto riguarda le allergie, si è visto che non è utile rimandare l’introduzione di alimenti allergizzanti come il pomodoro, l’uovo e o i crostacei. Naturalmente si parla di bambini senza specifici problemi di salute; diversamente, nel caso di soggetti a rischio o che presentano allergie già note, l’introduzione degli alimenti allergizzanti dovrebbe avvenire sotto controllo medico.
Per potersi nutrire di cibi solidi, il bambino deve aver maturato adeguate capacità neuromotorie, come il controllo del tronco e la capacità di masticare e deglutire correttamente. Queste competenze si definiscono fra i 5 e i 9 mesi, quindi la maggior parte dei bambini intorno ai 6 è in grado di cominciare le prime esperienze con i cibi solidi.
Il presupposto per il passaggio agli alimenti solidi è che, oltre alle competenze digestive e neurologiche, il bambino manifesti il proprio interesse. Tutte queste condizioni si verificano in momenti diversi a seconda dei soggetti ed è l’attenzione di chi si prende cura dei piccoli che consente di individuare il momento giusto. Così, come ormai da tempo la maggior parte dei pediatri ritiene che l’allattamento debba essere fatto a richiesta, anche l’approccio ai cibi solidi dovrebbe seguire lo stesso criterio. L’autosvezzamento richiede che il bambino sia a tavola con la famiglia e possa osservare, manipolare e assaggiare quello che mangiano gli adulti. È quindi un approccio improntato a una grande spontaneità e fiducia nella capacità del piccolo di autoregolarsi.
Quale sarebbe il vantaggio dell’autosvezzamento? “L’industria alimentare – dice Sergio Conti Nibali, responsabile Gruppo Nutrizione dell’Acp e direttore della rivista Uppa (Un pediatra per amico) – punta molto sulla palatabilità dei prodotti per i bambini. I vasetti di verdure, per esempio, sono preparati in modo da mischiare o evitare quelle dal sapore amaro, rendendoli così più accettati. Il problema è che poi tanti bambini rifiuteranno i sapori ‘strani’ e diventeranno sempre più selettivi a tavola. È dimostrato che privare i bambini della possibilità di sperimentare tutta una serie di sapori, li condiziona nelle scelte future, facendo loro preferire alimenti con quel particolare sapore e consistenza. Le conseguenze sulla salute di una cattiva alimentazione sono sotto gli occhi di tutti: la percentuale di soggetti obesi e in sovrappeso sta raggiungendo livelli impressionanti e c’è da aspettarsi un progressivo aumento di patologie croniche gravi e invalidanti in età sempre più giovanile”.
Con l’autosvezzamento è possibile proporre precocemente un’alimentazione equilibrata e varia, che comprenda molta frutta e verdura, anche quelle dal sapore amaro che tutti mangiano malvolentieri. Se proposte in modo frequente, con piccoli assaggi ‘liberi’ e non con imposizioni, è più facile che siano accettate. I dubbi dei genitori riguardano di solito tre aspetti: il controllo dell’apporto nutrizionale (“mangerà abbastanza?”), l’opportunità di assaggiare piatti complessi come la pasta alla carbonara o l’impepata di cozze e il rischio di soffocamento.
“I bambini si autoregolano – sottolinea Conti Nibali – ed è stato dimostrato che se viene loro offerta un’alimentazione sana e variata riescono ad assumere i nutrienti necessari per la crescita. I genitori si devono fidare dei piccoli, li devono sapere ascoltare ed essere consapevoli che sono in grado di imparare dai genitori, anche a mangiare. Alimentarsi , per un bambino, è un atto naturale. Bisogna offrire cibi salutari, gli stessi portati a tavola dalla famiglia, e lasciare che facciano da soli. Questo approccio è approvato anche dalla Società europea di gastroenterologia, epatologia e nutrizione pediatrica (Espghan) secondo cui la condivisione dei pasti e un ruolo più attivo del bambino, possono incoraggiare uno stile genitoriale più responsivo, che consiste nell’osservare i segnali di fame e sazietà e rispondere in modo coerente. Questo approccio è fondamentale per una crescita sana, tanto da essere considerata un utilissimo alleato per la prevenzione dello sviluppo di sovrappeso e obesità nei primi due anni.”
I genitori devono imparare ad ‘ascoltare’, evitando di imporre il cibo o di usarlo come ‘consolazione’. Per quanto riguarda i dubbi sui piatti troppo complessi, bisogna ricordare che i bambini spontaneamente evitano alimenti molto salati, speziati o dai sapori forti. Del resto questa fase deve essere anche l’occasione perché la famiglia faccia una revisione delle abitudini culinarie, rendendole più equilibrate, proprio per condividere il pasto con il piccolo di casa.
Ma non c’è il rischio che il cibo ‘vada di traverso’ rischiando di soffocarlo? “Secondo studi recenti – dice Conti Nibali – il rischio di soffocamento è paragonabile a quello presente nello svezzamento tradizionale. È fondamentale però che i genitori conoscano il problema e che siano presenti e attenti mentre il piccolo mangia ed evitare cibo a rischio di soffocamento. Il tema è così importante che anche il Ministero della salute, poche settimane fa, ha pubblicato le linee guida per un pasto sicuro. Il testo contiene sia indicazioni sulla scelta e la preparazione dei cibi nei primi anni, sia le modalità corrette per proporre i cibi ai bambini al fine di ridurre il rischio di soffocamento. Si tratta di misure importanti per tutte le modalità di svezzamento .”
Insomma, il cibo deve avere dimensioni adeguate per essere manipolato e portato alla bocca in autonomia, avere una consistenza morbida evitando gli alimenti piccoli e scivolosi che possono sfuggire al controllo, come olive, würstel, uva o noccioline.
Non dimentichiamo che, per abbracciare l’alimentazione complementare a richiesta, i genitori devono resistere alle sirene del marketing che martella con proposte di alimenti e bevande ‘speciali’ per l’infanzia, apparentemente imprescindibili. Ai genitori si chiede una forza notevole, perché il marketing in questo settore è molto penetrante, inizia prima della nascita e prevede strumenti che vanno dalle offerte promozionali alle app sull’alimentazione infantile, alle mamme blogger pagate dalle aziende.
Compatibilmente con i ritmi di vita e gli impegni familiari, cucinare il proprio cibo anziché proporre alimenti pronti per l’infanzia, è conveniente dal punto di vista economico e più sostenibile per l’ambiente. “I genitori che cucinano – dice Conti Nibali – lo fanno perché hanno capito che la preparazione casalinga è un investimento imprescindibile. Sono i genitori, con le loro scelte alimentari a condizionare la salute dei loro bambini. Il messaggio è di riassaporare il piacere di cucinare, di ritrovare i sapori della nostra cucina; e, quando possibile, di farlo con i bambini accanto.”
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[sostieni]
Giornalista pubblicista, laureata in Scienze biologiche e in Scienze naturali. Dopo la laurea, ha collaborato per alcuni anni con l’Università di Bologna e con il CNR, per ricerche nell’ambito dell’ecologia marina. Dal 1990 al 2017 si è occupata della stesura di testi parascolastici di argomento chimico-biologico per Alpha Test. Ha collaborato per diversi anni con il Corriere della Sera. Dal 2016 collabora con Il Fatto Alimentare. Da sempre interessata ai temi legati ad ambiente e sostenibilità, da alcuni anni si occupa in particolare di alimentazione: dalle etichette alle filiere produttive, agli aspetti nutrizionali.
La mia esperienza di padre dice che se si cucina in casa e si mangia vario ed equilibrato (verdure e frutta in primis) i bambini provano ad assaggiare quello che vedono in tavola. Al 90% apprezzano quello che hanno desiderato assaggiare.
Mia figlia beve orzo amaro, mangia verdura cotta di molti generi, ama il cioccolato fondente, riconosce quasi tutti i cibi a 19 mesi.
L’ho anche coinvolta nella preparazione dei cibi con massimo divertimento e massimo sfacelo per la pulizia della casa, ritengo sia un gioco divertente ed istruttivo anche per i genitori.
Fino a 10 mesi si è nutrita quasi in esclusiva di latte materno ma poi è passata ad i cibi “normali” in modo molto spontaneo e naturale.
La prima cosa da considerare è che i bambini non hanno gli stessi gusti accreditati degli adulti dopo anni di cattive abitudini.
Il loro apprezzamento del gusto dolce e del salato non va oltre la dolcezza e la sapidità del latte materno, se gli proponiamo troppo presto sapori eccessivi ed amplificati perderanno la sensibilità verso i sapori naturali degli alimenti naturali.
Quindi lo svezzamento meglio se autodiretto con alimenti naturali vari minimamente conditi a loro disposizione, come fa giustamente Fabry.
“basta proporre al bambino quello che lui vuole assaggiare, prendendolo dalla tavola dei genitori.”
“Bisogna offrire cibi salutari, gli stessi portati a tavola dalla famiglia”
ma se la famiglia italiana media 9 volte su 10 presenta a tavola spazzatura preconfezionata immagina che disastro per queste povere creature…
piuttosto che l’autosvezzamento meglio obbligare i genitori a preparargli semolini, mais e tapioca e crema di riso, almeno così per il primo anno non fanno danni.
“la famiglia faccia una revisione delle abitudini culinarie, rendendole più equilibrate”
nel mondo dei sogni forse!
Ahahah… Condivido.. Quella frase “Bisogna offrire cibi salutari, gli stessi portati a tavola dalla famiglia” é inquietante 🙂
Sappiamo bene che la maggioranza degli italiani e degli occidentali porta a tavola quello che viene..
Gentili Claudio e Mattia,
penso che il punto sia proprio questo: non possiamo pensare di educare i nostri figli a mangiare in modo equilibrato se in famiglia si mangia cibo spazzatura.
Se anche in un primo momento prepariamo il semolino e le creme di verdura, rimandiamo di pochi mesi l’accesso del bambino al menù e alle abitudini della famiglia. Se queste sono scorrette, non serve proprio a niente aver fatto qualche mese a brodino di verdura.
Concordo che per educare serva essere prima di tutto ben educati.
Bisogna partire da una sana educazione famigliare, altrimenti possiamo solo replicare l’alimentazione spazzatura imperante, oppure scelte troppo teoriche, nel qual caso meglio seguire le linee guida pediatriche e le preparazioni standardizzate.
Con i miei 2 figli (2 e 6 anni) ho fatto così, per diffidenza verso il mondo del babyfood, perchè non avrei mai avuto il tempo di preparare piatti diversi anche per loro e sopratutto perchè credo fortemente che dobbiamo essere noi adulti i primi a nutrirci in modo sano (in questi anni, dalla prima gravidanza, ho iniziato un percorso che mi sta fecendo cambiare parecchio le mie abitudini alimentari).
Non ho avuto problemi con nessuno dei 2, il primo interessatissimo da subito, ha sempre mangiato di tutto, sta cambiando e cominciando a fare più “selezione” in questo ultimo anno di materna.
La piccola si è interessata più tardi, ma anche senza denti (ha messo i primi a 9 mesi) ha sempre mangiato di tutto.
Non abbiamo in famiglia particolari problemi di allergie alimentari e anche questo ha fatto sì che già da piccolissimi iniziassero a mangiare qualsiasi tipo di frutta e frutta secca di cui sono ghiotti.
Articolo interessante che però omette un punto molto importante e imprescindibile.
Gli alimenti per l’infanzia seguono una regolamentazione speciale volta a ridurre il contenuto di pesticidi e contaminanti vari che per legge sono presenti in quantitativi maggiori negli alimenti destinati agli adulti.
Sarebbe sempre corretto ricordarlo quando si propone una dieta per il bimbo mentre mi è sembrato che ci sia scarsa informazione su questo fronte.
nessuno nell’articolo e nei commenti parla dei rischi di contaminanti come metalli pesanti, pesticidi, ormoni, micotossine nei cibi che noi adulti mangiamo tutti i giorni, ma che in un organismo che è in via di sviluppo possono dare problemi molto più grossi. Inoltre pensate al rapporto tra peso del cibo ingerito quotidianamemte e massa corporea di un bimbo di uno o due anni e vi renderete conto di come questo sia diverso da quello di un adulto. Non sto dicendo di non fare assaggiare i nostri pasti, quello è giusto. Purtroppo viviamo in un mondo inquinato….e non possiamo dimenticarcene
In realtà l’Efsa esprime le soglie di rischio per i pesticidi, e altre sostanze tossiche, in rapporto al peso corporeo, in questo modo tiene conto anche della differenza fra adulti e bambini.
Sul sito dell’Efsa si legge:
“Nel suo parere l’EFSA riscontra che l’approccio TTC (soglia di allarme tossicologico – Threshold of Toxicological Concern) è sufficientemente protettivo per neonati e bambini. In linea di massima questo accade perché i valori TTC sono espressi sulla base del peso corporeo e quindi tengono conto del peso corporeo inferiore di neonati e bambini.”
Certamente negli alimenti per bambini ci sono soglie di tolleranza più basse e probabilmente più controlli, però le verdure e gli altri ingredienti utilizzati negli alimenti per l’infanzia non credo che abbiano caratteristiche così radicalmente diverse dagli alimenti che consumano di solito gli adulti.
La posizione dell’Associazione culturale pediatri è questa:
“In tutta l’ Unione Europea, da settembre 2008 è in vigore un regolamento che stabilisce la lista dei residui dei pesticidi ammessi nei cibi e ne indica i limiti quantitativi tollerabili per la sicurezza alimentare di tutti: adulti e bambini. In generale i rapporti in materia sono rassicuranti: la maggior parte degli alimenti contengono dosi di inquinanti di sintesi o naturali inferiori ai valori soglia di riferimento, anche se va ricordato che l’ unico valore soglia sicuro è lo zero.”
Osservo purtroppo, che anche chi si preoccupa per la presenza di residui chimici e pesticidi negli alimenti per i piccoli, non abbia pensato ne proposto di scegliere tra quelli bio, che anche se non a soglia zero come auspica Valeria Balboni, ci si avvicinano molto a questo valore, con magari un’unica traccia di contaminante occasionale.
Fa sempre parte del concetto dell’educazione famigliare che se scarsa, non può essere inculcata alla prole.
Non basta parlare di alimentazione sana, salutare ed equilibrata, se non diamo le coordinate per raggiungerla, sarà difficile metterla nella pratica quotidiana di tutta la famiglia.