
Sempre più vicino lo sviluppo di un antidiabetico orale. La terapia del diabete di tipo 2 e quella dell’obesità, strettamente connesse, già rivoluzionata dall’arrivo dell’Ozempic e dei suoi simili, potrebbe subire presto una nuova rivoluzione, per certi aspetti ancora più significativa. Potrebbero essere in arrivo i farmaci che agiscono in modo molto simile all’Ozempic, e cioè stimolando un recettore che si chiama GLP-1 (da glucagon-like peptide 1), ma riescono a farlo anche se dati per via orale. I primi esponenti della categoria come Ozempic non potevano farlo, essendo degradati nello stomaco come l’insulina.
E la prova del fatto che le novità siano ormai alle porte è la pubblicazione dei risultati della molecola più avanti nelle sperimentazioni, un farmaco chiamato Orforglipron dell’americana Eli Lilly. Stando a quanto reso noto dalla stessa azienda i risultati di uno studio di fase 1 mostrerebbero la sostanziale equivalenza con Ozempic, candidando il farmaco orale a un ruolo di primaria importanza.
Le sperimentazioni ACHIEVE
L’Orforglipron è in studio da diversi anni e, visti i buoni risultati ottenuti nelle fasi preliminari, l’azienda ha lanciato un programma assai ambizioso di studi chiamati ACHIEVE, che dovrebbero coinvolgere oltre 6.000 persone con diabete in cinque diversi bracci.
In quello reso noto nei giorni scorsi, l’ACHIEVE-1, gli effetti di tre dosaggi del farmaco (3, 12 e 36 milligrammi giornalieri, assunti per 40 settimane) sono stati messi a confronto con un placebo in una platea di oltre 550 persone con diabete di tipo 2, nessuna delle quali sapeva che cosa stava assumendo, così come non lo sapevano i medici, reclutate tra USA, Giappone, India, Cina e Messico. Gli obbiettivi erano primariamente il controllo dei parametri associati al diabete e poi, secondariamente, quelli sul peso.

I risultati hanno mostrato che Orforglipron funziona, perché fa diminuire l’emoglobina glicata (il principale parametro che indica lo stato del metabolismo del glucosio) rispettivamente dell’1,3, 1,6 e 1,5%, con i tre dosaggi crescenti, mentre il placebo si ferma allo 0,1%.
Per quanto riguarda il peso, la diminuzione è, sempre rispettivamente, del 4,7, 6,1 e 7,9%, contro l’1,6% del placebo.
Gli effetti collaterali sono analoghi a quelli riscontrati con Ozempic, e cioè soprattutto a carico dello stomaco e dell’intestino (nausea, diarrea o stitichezza, difficoltà di digestione), e hanno costretto il 6, il 4 e l’8% dei partecipanti a interrompere lo studio, contro l’1% di coloro che avevano assunto il placebo. Tutto autorizza quindi a pensare che entro il 2026 la molecola possa ricevere il via libera, come previsto da Eli Lilly.
È indubbio che poter assumere un farmaco per via orale potrebbe costituire un cambiamento epocale, per i pazienti. Tuttavia, bisogna tenere sempre presenti alcuni aspetti ancora da chiarire.
I punti da chiarire
Si tratta innanzitutto di risultati per ora comunicati solo dall’azienda, e non pubblicati su riviste scientifiche né comunicati in assise adeguate come i congressi (fatti, entrambi, che dovrebbero avvenire presto). I numeri, poi, non costituiscono un passo in avanti deciso dal punto di vista della perdita del peso: l’8% dopo circa dieci mesi di terapia non è un effetto estremamente potente. Alcuni dei farmaci iniettabili raggiungono percentuali attorno al 20%. L’entusiasmo e l’enfasi non sono quindi associati all’entità del dimagrimento, e non è detto che siano sufficienti a convincere le persone a sopportare gli effetti collaterali per lunghi mesi, a fronte di una perdita di peso non sempre risolutiva.
Gli effetti sul lungo periodo
Inoltre, anche se non sono emersi segni di tossicità epatica acuta o di altro tipo, così come è accaduto per Ozempic & soci, ci potrebbero essere effetti associati ad assunzioni di lungo periodo, che oggi non è possibile prevedere. Va ricordato che un altro farmaco della stessa categoria, il danuglipron (-glipron è il suffisso scelto per la classe) messo a punto da Pfizer, pochi giorni prima aveva subito un brusco stop. La sperimentazione clinica, che era in corso su 1.400 pazienti, è stata interrotta a causa proprio di una tossicità epatica grave sviluppata da un paziente, e da altri casi meno gravi, fatto che ha condannato la molecola all’oblio.
Gli studiosi avevano modificato la versione attuale rispetto alla precedente, che prevedeva due assunzioni giornaliere, ma che si era già accantonata perché i pazienti coinvolti nelle sperimentazioni non riuscivano ad assumerla, a causa dell’eccesso si nausea e sintomi simili. Per Orforglipron non è accaduto nulla del genere, ma è presto per escludere qualunque problema di sicurezza.
L’Orforglipron è una molecola non peptidica, e quindi non soggetta a degradazione nello stomaco, messa a punto dall’azienda giapponese Chugai Pharmaceutical Company, che ha poi venduto il brevetto alla Lilly nel 2018. Di -glipron ce ne sono diversi in sperimentazione, ed è quindi probabile che qualcuno di essi superi tutte le prove e arrivi presto in clinica.
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Giornalista scientifica