In Europa sono più di 300 milioni gli animali (come conigli, galline, maiali e vitelli) allevati a scopo alimentare che trascorrono tutta o gran parte della loro esistenza in gabbia. «Costretti all’interno di questi spazi angusti, gli animali non sono nelle condizioni di esprimere i loro comportamenti naturali – spiega Annamaria Pisapia, direttrice di Compassion in World Farming (CiWF) Italia –, non hanno spazio per muoversi e non riescono a interagire adeguatamente con i loro simili. Tutto ciò provoca loro enormi sofferenze, che ne compromettono il benessere psicofisico». A tale aspetto si aggiunge poi anche la considerazione delle potenziali conseguenze di questa cattività sulla sicurezza e sulla qualità degli alimenti che derivano dagli animali ingabbiati.
Per chiedere la fine dell’uso di ogni tipo di gabbia negli allevamenti a scopo alimentare, nel 2018 CiWF ha lanciato a livello europeo la raccolta di firme End the Cage Age, sostenuta anche da ilfattoalimentare.it. Quest’iniziativa, portata avanti da più di 170 associazioni in 28 Paesi, ha visto nascere la più grande coalizione di organizzazioni non governative in difesa degli animali allevati mai riunitasi in Europa. Il risultato della mobilitazione è stato la raccolta di 1,4 milioni di firme certificate, cui nel 2021 ha fatto seguito lo storico annuncio, da parte della Commissione europea, dell’impegno a proporre, entro il 2023, una normativa per eliminare gradualmente le gabbie dagli allevamenti. “Tuttavia – prosegue Pisapia – sono molte le forze in gioco che premono affinché questa proposta di legge non veda la luce, non sia approvata dal Consiglio dell’Unione europea o, quantomeno, abbia lunghi tempi di applicazione».
In Italia, dove si contano più di 40 milioni di animali allevati in gabbia ogni anno, il Governo non ha ancora preso una posizione netta contro questa pratica. A oggi, l’unica iniziativa messa in campo dai ministeri della Salute e delle Politiche agricole per il futuro è l’entrata in vigore di un Sistema di qualità nazionale benessere animale: uno schema di certificazione, istituito a luglio del 2020 e di cui è pronto il decreto attuativo, che ha lo scopo di migliorare la sostenibilità degli allevamenti sotto diversi punti di vista, tra cui il benessere e la salute degli animali, che dovrà essere valutato da un ente interministeriale istituito ad hoc (Comitato tecnico scientifico per il benessere animale). «Il provvedimento, però, è fortemente contestato dalla società civile in quanto la definizione tecnico-normativa del benessere animale prevista non si accompagna all’indicazione di standard realmente migliorativi – sottolinea Pisapia –. In particolare, tra le obiezioni avanzate dalle associazioni che si sono unite nel tweetstorm #BugieInEtichetta, c’è proprio l’assenza di un’esplicita messa al bando delle gabbie».
Per ottenere un risultato più concreto, 22 organizzazioni italiane si sono poi impegnate ulteriormente per rinnovare l’impegno già assunto con l’adesione a End the Cage Age. Queste organizzazioni, tra cui la già citata CiWF Italia, ma anche Animal Equality, Essere Animali, Lega anti vivisezione, Lega nazionale per la difesa del cane, Ente nazionale protezione degli animali, Legambiente, Animal Law Italia e Humane Society International Italia, hanno dato vita a una coalizione per smuovere le istituzioni nazionali e comunitarie. «L’appello, lanciato al presidente del Consiglio Mario Draghi e ai ministri Stefano Patuanelli e Roberto Speranza, chiede che l’Italia faccia sentire la propria voce in Europa – continua Pisapia –, non solo sostenendo la proposta della normativa che vieterà le gabbie, se e quando verrà formulata dalla Commissione europea, ma anche prendendo l’iniziativa legislativa a livello nazionale, attivandosi realmente per favorire la rapida transizione a sistemi di allevamento cage-free sul territorio nazionale».
Un aspetto importante per favorire l’abolizione delle gabbie prevede però anche che siano previsti strumenti economici per aiutare gli allevatori europei a realizzare la transizione. Nel caso specifico dell’Italia, poi, è decisivo che ci sia un input a livello nazionale per gestire la questione in modo omogeneo sul territorio, senza affidarsi all’iniziativa e alle risoluzioni delle amministrazioni regionali, come è avvenuto finora. «Sin dall’anno scorso la giunta dell’Emilia Romagna si è impegnata a promuovere politiche e strumenti a supporto degli allevamenti che non fanno uso delle gabbie – conclude l’esperta –. Altre regioni, come l’Abruzzo e la Campania, hanno seguito. Occorre ora rendere questo sforzo più sistematico, anche attingendo alle risorse dei Programmi di sviluppo rurale per finanziare la transizione».
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