allevamenti maiali

Appare indubbiamente esistente un interesse pubblico alla conoscenza delle condizioni in cui vengono allevati i suini, non solo per la tutela degli animali in sé, ma per il legittimo diritto dei consumatori a conoscere il processo produttivo.” Questa è stata la risposta del giudice quando ha archiviato una denuncia per “violazione di domicilio e interferenze illecite” da parte di alcuni giornalisti che stavano svolgendo un’inchiesta sulle condizioni di allevamento presso alcuni allevamenti suini.

Questa importante sentenza ha ribadito che le condizioni di vita degli animali allevati per produrre carni o alimenti di origine animale come latte uova o altro, non possono essere nascoste o taciute in ambienti o strutture inaccessibili soprattutto quando non sono garantite condizioni minime di benessere per gli animali.

allevamenti, musi di mucche
Arriva la proposta di un’etichetta a semaforo per classificare gli allevamenti intensivi

La salubrità di un alimento non può più limitarsi alla sicurezza alimentare o alla sua composizione nutrizionale. A determinarne il reale impatto sulla salute umana e del pianeta concorrono altri elementi essenziali: l’ambiente, le condizioni di vita degli animali, l’uso di antibiotici e quindi le pratiche produttive. Eppure, l’attuale etichettatura non li contempla, anche se nel 2011 il legislatore europeo con il Regolamento UE 1169/2011, riconosceva che l’informazione al consumatore è un diritto fondamentale. L’etichetta, strumento ufficiale e normato, deve infatti indicare ingredienti, allergeni e valori nutrizionali.

Le informazioni nutrizionali non bastano più

Se nel 2011 salute e benessere del consumatore venivano garantite attraverso etichette con informazioni di tipo dietetico-salutistico, oggi possiamo affermare con certezza che questi contenuti non bastano, poiché il bilancio sulla salubrità di un cibo non può prescindere dal suo impatto sull’ambiente, vale a dire sui danni, in termini di inquinamento di aria, acqua e suolo, che la produzione di quell’alimento ha causato. Senza questo tipo di informazioni, l’etichettatura degli alimenti rischia di risultare addirittura ingannevole, poiché non tiene conto di un gran numero di fattori in grado di incidere negativamente sulla nostra salute. Se, ad esempio, la carne in vendita proviene da animali allevati con modalità intensiva e, quindi, altamente inquinante, i danni alla salute del consumatore devono affiancare gli benefici di un alimento nutrizionalmente corretto.

Donna con carrello della spesa legge etichetta di una bottiglia di latte al supermercato
Le informazioni sulla provenienza degli alimenti restano largamente insufficienti, soprattutto con riferimento alle carni e ai prodotti a base di carne

Da questo punto di vista, le informazioni fornite in etichetta circa la provenienza degli alimenti, benché rappresentino un buon inizio, restano largamente insufficienti, soprattutto con riferimento alle carni e ai prodotti a base di carne. Inoltre, proprio in merito a questa tipologia di prodotti, un’accresciuta maturità nella sensibilità dei consumatori, impone che si diano risposte tangibili anche su questioni etiche legate alle condizioni di vita degli animali negli allevamenti, dal momento che per un sempre più largo numero di persone è accettabile che talune specie animali vengano allevate per la produzione di cibo destinato all’uomo, purché abbiano avuto una buona vita. In questo senso, le attuali etichettature non offrono alcuna indicazione utile a discriminare la tipologia di allevamento da cui proviene l’animale utilizzato.

Un’etichetta per premiare gli allevamenti virtuosi

L’assenza di trasparenza sull’origine zootecnica non permette ai consumatori di premiare allevamenti più virtuosi. Oggi, ad esempio, non è obbligatorio indicare in etichetta la categoria inquinante dell’allevamento dove è vissuto l’animale, anche se l’Unione Europea classifica gli allevamenti proprio in base all’impatto ambientale (*). La legge prevede solo standard minimi, più economici che compassionevoli.

Paradossalmente, il mercato ha colto prima della politica la domanda di trasparenza. Nei supermercati ci sono etichette che strizzano l’occhio alla sostenibilità, anche se spesso non sono supportate da basi scientifiche. È il fenomeno del greenwashing, ora regolamentato dalla Direttiva UE 2024/825, ma che ha avuto almeno il merito di evidenziare una nuova sensibilità collettiva.
Oggi i consumatori vogliono sapere cosa c’è davvero dietro ciò che mangiano. Per questo occorre fare un salto di qualità: l’etichettatura deve diventare un riflesso dell’intero ciclo produttivo, dalle stalle al piatto. Per questo motivo, dopo l’approvazione della revisione 2024 alla Direttiva Europea 010/75/UE e successive modifiche, (Dir. 2024/17859) è scaturita la proposta di due veterinari (Eva Rigonat, Antonio Lauriola) e un avvocato (Daria Scarciglia) di un’etichetta ‘a semaforo’ con cinque classi di allevamento (vedi foto sotto).

ISDE Modena etichetta ambientale delle carni

L’etichetta ambientale delle carni di ISDE

L’etichetta serve ai consumatori a fare scelte più consapevoli dal punto di vista ambientale, quando acquistano carni ottenute da animali allevati in relazione all’inquinamento di aria, terra e acqua alla densità dei capi, ossia al numero di animali che convivono in un ambiente rispetto alla dimensione dell’allevamento e al tempo di confinamento. Il semaforo prevede cinque colori: verde scuro e verde chiaro per gli allevamenti biologici e non confinati. Per quelli intensivi senza spazi all’aperto sono state individuate tre categorie di inquinamento: basso (giallo), medio (ocra) e alto (rosso). I criteri presi in esame sono basati sulla Direttiva Europea 2024/17859.

  • Verde: Allevamenti non confinati e certificati biologici, esclusi dalle categorie pericolose.
  • Giallo/Ocra/Rosso: Allevamenti confinati, classificati in base a un livello di inquinamento basso (giallo), medio (ocra) e alto (rosso).

Parleremo di questo e altro nel convegno che si terrà a Modena il 10 ottobre dal titolo: “Etichettatura ambientale delle carni: una scelta consapevole per i consumatori e un’opportunità per l’ambiente

Locandina convegno etichetta ambientale carne ISDE Modena 10.10.2025

(*) Note

I numeri raccontano bene il problema: in Emilia-Romagna gli allevamenti intensivi contribuiscono per il 19% alla produzione di polveri sottili. Solo a Modena si contano 986.167 animali da reddito, pari a 367 per km². Questo contribuisce a una perdita di 13 mesi di aspettativa di vita, di cui 2,5 imputabili all’allevamento e agricoltura connessa.

Ma l’inquinamento non si limita all’aria. Le deiezioni animali contaminano suolo e acque con azoto e nitrati, causando eutrofizzazione e rischi cancerogeni. In più, il massiccio uso di antibiotici negli allevamenti contribuisce alla resistenza antimicrobica: oggi 33mila persone l’anno muoiono in Europa per infezioni resistenti, 11mila solo in Italia.

  • AUA: autorizzazione Unica ambientale, dal punto di vista ambientale valuta principalmente le emissioni in atmosfera-valutazione a carico del richiedente
  • AIA: Autorizzazione Integrata Ambientale, dal punto di vista ambientale valuta tutti i tipi di inquinamento aria, acqua e suolo – valutazione a carico del richiedente
  • VIA: Valutazione di Impatto Ambientale, da fare da parte delle amministrazioni pubbliche in relazione alle condizioni territoriali.

Tabella delle categorie di densità della legge sempre riferite e associate alla condizione di vita in ambiente confinato, ossia prevalentemente al chiuso.

Tabella delle categorie di densità degli allevamenti

Antonio Lauriola – Medico Veterinario ISDE Modena
Daria Scarciglia – Avvocato ISDE Modena

© Riproduzione riservata Foto: AdobeStock- Depositphotos

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federico
federico
30 Settembre 2025 21:31

mi sembra una cosa assurda.
Non sarebbe meglio dare dei regolamenti sugli allevamenti ?

Roberto La Pira
Reply to  federico
1 Ottobre 2025 10:23

I regolamenti ci sono già

Giulia
Giulia
1 Ottobre 2025 09:57

Non credo davvero che l’Europa abbia bisogno di altre complicate regole. Certo, magari al consumatore medio fa piacere pulirsi la coscienza con un semaforo verde, ma sarebbe ora di dire chiaramente che non c’è un modo di sfruttare e uccidere gli animali che sia giusto e indolore. L’Europa dovrebbe favorire la dieta vegetale e le fonti proteiche alternative, che oltre ad essere più sane e meno inquinanti sono l’unica scelta davvero etica. Invece ancora si finanziano gli allevamenti, si impone l’IVA al 22% su prodotti vegetali trasformati e si fa tanta disinformazione.

Roberto La Pira
Reply to  Giulia
1 Ottobre 2025 10:22

L’etichetta a semaforo non è una complicazione. Per gli alimenti si usa in molti Paesi europei

Valeria
Valeria
1 Ottobre 2025 11:24

Vivendo a Mantova confermo che allevamenti intensivi + digestori comportano un aumento importante dell’ inquinamento aria e acqua ( ogni giorno assistiamo a spargimento di prodotti derivanti dalla digestione in modo continuativo ) .
Semplicemente vieterei allevamenti intensivi , digestori soprattutto in zone tipo la pianura padana in cui manca il vento ( digestori scaricano nell’ aria ammoniaca ed azoto che rimangono in sospensione ) e organizzerei un controllo in campo agricolo ( mai visto nessuno verificare )
Non parliamo delle falde acque sotterrane ormai completamente inquinate la cui acqua viene utilizzata per irrigare
Inoltre Obbligherei a ripiantumare canali e strade di campagna in quanto non ci sono più alberi …
La nostra campagna appare un deserto maleodorante e altamente inquinato.
Non per nulla registriamo la più alta percentuale di tumori

Fabrizio
Fabrizio
2 Ottobre 2025 18:07

Sistema assolutamente riduttivo in quanto il benessere animale non si può riassumere in soli 3 parametri ossia sistemi estensivi, biologico (per niente a che fare col benessere) e densità. Sorprende leggere articoli del genere. Se si vuol far bene allora bisognerebbe classificare gli allevamenti in funzione dello stato sanitario dei maiali, luminosità, igiene, rapporto e interazione con l’uomo e tra altri maiali, e posso scriverne altri 30. Quanto costerebbe tutto questo lavoro di classificazione al consumatore ?

Fabrizio
Fabrizio
2 Ottobre 2025 18:11

E gli allevamenti intensivi vegetali non inquinano ? Stiamo assistendo consapevoli ad un atto di inquinamento mondiale per produrre Soja, avocado, colza e cotone e nessuno li vieta. Ci sono sistemi intensivi animali che se gestiti bene e con una produzione di riciclo automatici di liquame possono dare energia green alla ditta stessa e a altre 20 case